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L’alternativa all’austerità è una scelta politica |

Un’intervista
a Clara Mattei

 


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L’economia non è una scienza neutra o incontestabile, ma uno strumento politico che plasma le nostre vite e le opportunità di cambiamento. Negli ultimi decenni, il paradigma economico neoliberista in Occidente ha accelerato significativamente la concentrazione della ricchezza in poche mani, alimentando crescenti disuguaglianze e ingiustizie sociali, un aumento delle povertà nelle classi popolari, la precarizzazione delle giovani generazioni, la perdita di sicurezza da parte di ceti medi che si stanno assottigliando. La domanda è: sappiamo uscire dalla scatola? Sappiamo pensare a un’alternativa a quest’ordine economico?

Ne abbiamo parlato con l’economista Clara Mattei, Professore Ordinario di Economia e Direttore del nuovo Centro di Economia Eterodossa (CHE) presso l’Università di Tulsa, Oklahoma, che sarà inaugurato a febbraio 2025. Il suo ultimo libro è L’economia è politica (Fuoriscena 2023).

“L’Economia è politica” è il titolo del suo ultimo libro. Cosa dovrebbe promuovere una visione politica dell’economia?

L’economia siamo noi: sono le relazioni sociali tra lavoratori e datori di lavoro. Non è un oggetto che gli esperti devono manipolare e non per forza deve assecondare la logica del profitto. Serve, al contrario, reintrodurre la “logica del bisogno”, una logica purtroppo strutturalmente incompatibile con il tipo di paradigma economico – quello capitalista – in cui siamo immersi. La logica del profitto prevede che la maggioranza della popolazione venda la propria capacità di lavorare in cambio di un salario (spesso molto basso), perdendo qualsiasi soggettività nel processo produttivo. Siamo in una condizione di oppressione strumentale all’accumulazione di capitale. Ma, a differenza di quanto ci fanno pensare, questa situazione profondamente antidemocratica non è certamente eterna e immutabile: soltanto per lo 0,1 percento del tempo trascorso dall’homo sapiens sulla terra ci siamo organizzati attraverso il capitalismo industriale.

Assistiamo a un cambio di paradigma: dal capitalismo americano al capitalismo cinese, con l’emersione delle rivendicazioni del sud globale. Quali saranno gli effetti di questa metamorfosi?

Non so predire gli effetti di queste trasformazioni, ma posso dire che la sottrazione di risorse al sud globale è parte integrante anche del modello di sviluppo di molti dei BRICS. Negli ultimi anni, la Cina è stata tra i principali attori di land grabbing (accaparramento di terreni ndr), con un incremento della dipendenza dal mercato delle popolazioni che subiscono la corsa alla terra e che perdono accesso ai propri mezzi di sussistenza. L’imposizione di austerità al sud del mondo per il momento non è cambiata: il Fondo Monetario Internazionale ancora domina sulle decisioni della ristrutturazione del debito.

Ci tengo a sottolineare un aspetto: il sottosviluppo non è un effetto collaterale, ma è creato attivamente dallo sviluppo: ne è un aspetto funzionale. L’Africa, per esempio, è un creditore netto. Nel 2015, i paesi africani hanno ricevuto 162 miliardi di dollari, principalmente sotto forma di prestiti, aiuti e rimesse personali. Tuttavia, nello stesso anno, 203 miliardi di dollari sono stati sottratti al continente, sia direttamente attraverso le multinazionali che rimpatriavano i profitti nei loro paesi d’origine, sia indirettamente tramite il pagamento degli interessi sui debiti. Questa emorragia ha subito un’accelerazione dall’inizio del secolo, con una media di 65 miliardi di dollari all’anno, una somma che supera di gran lunga gli afflussi annuali di aiuti ufficiali allo sviluppo. Quanto più gli Stati periferici sono spinti a privatizzare, tanto più questi paesi ricchi di risorse trasformano la loro ricchezza in dividendi per gli azionisti privati internazionali.

In che modo analizzare l’austerità ci offre un’occasione per elaborare un modello più inclusivo dell’economia?

L’austerità, è bene evidenziarlo, nasce in parallelo ad alcune conquiste politiche, quando si affermano pratiche partecipative tese a democratizzare le decisioni politiche. È il caso della Gran Bretagna dopo la Prima guerra mondiale, quando si ottiene il suffragio universale e fa la sua comparsa l’austerità come reazione alla volontà di immaginare principi differenti per l’economia: gestione democratica della produzione tramite consigli, spesa sociale da parte dello Stato, forme di nazionalizzazione con il lavoratore al centro delle decisioni economiche.

In questi momenti l’austerità si prefigge fondamentalmente il compito di proteggere la proprietà privata dei mezzi di produzione. Quando si parla di austerità è importante dire che non è semplicemente lo Stato che spende meno e tassa di più, ma è lo Stato che spende appunto meno per la spesa sociale e molto per tutelare gli shareholders (gli azionisti ndr) e tassa in senso regressivo.

L’Austerità fiscale si accompagna a austerità monetaria – le banche centrali che alzano i tassi di interesse con l’effetto di aumentare i livelli di disoccupazione – e austerità’ industriale: deregolamentazione del lavoro, privatizzazioni. L’austerità non è un errore, sta nel DNA del capitalismo e gioca un ruolo fondamentale: mantenere i rapporti di forza che sono fondativi della nostra economia. Per questo, una recessione economica può fare bene al capitalismo: si indeboliscono i lavoratori incrementando la disoccupazione.

In questo senso qual è la sua valutazione del piano Draghi, il “Piano Marshall” per l’Europa?

Si tratta di un repackaging della stessa identica politica di austerità che è stata portata avanti da Draghi da quando è al potere, quindi dagli anni Ottanta, con l’idea che lo Stato debba finanziare – invece che le scuole, gli ospedali e la spesa sociale – l’industria bellica, con i risultati esplosivi e autodistruttivi che vediamo. Più investimento statale non significa altro che sussidi e incentivi ai privati. È una perfetta rappresentazione del fatto che le politiche economiche dei nostri “esperti” tengono in vita un sistema economico che fa l’interesse di pochissimi e si nutre di distruzione. Vorrei ricordare che mentre in Italia il numero dei minori in povertà assoluta continua ad aumentare (e parliamo di quasi uno su sette), i dividendi pagati agli azionisti delle 1200 maggiori società per capitalizzazione di mercato hanno raggiunto il loro massimo storico nel primo trimestre del 2024, rappresentato da 339,2 miliardi di dollari in soli tre mesi. In testa ci sono le grandi aziende belliche.

Perché la sinistra ha faticato a costruire una narrativa economica alternativa convincente in risposta al capitalismo neoliberale? 

In Italia la classe dirigente della cosiddetta sinistra ha perso il proprio referente sociale. Parla a un elettorato borghese, non certo alla base dei lavoratori. Già questo dimostra come non ci sia nessun afflato di cambiamento effettivo. La sinistra ha fatto sua una modalità tecnocratica, già iscritta dentro a un compromesso con il capitale e di dipendenza dal mercato, che non può fare davvero l’interesse delle persone e dei lavoratori. Eppure, non mancano esperienze a cui ispirarsi. Penso al caso GKN e al collettivo di fabbrica che sta elaborando una serie di piani di riconversione ecologica e democratica della produzione tramite azionariato popolare. Queste sono realtà possibili.

Ma la sinistra propone lo schema dello stato contro il mercato. Questa bellissima dicotomia fa proprio l’interesse del sistema, perché lo stato svolge un ruolo sostanziale nella protezione del mercato all’interno dell’economia capitalistica. A proposito di quanto dicevamo prima, questo è quello che fa l’austerità: toglie risorse ai tanti per sostenere e incentivare i pochi.

Lei vive negli Stati Uniti. Come giudica questi quattro anni di Presidenza Biden e cosa possiamo aspettarci dai democratici americani?

La situazione negli Stati Uniti è allarmante: metà della popolazione fa fatica a pagare l’affitto. Quasi il 65% dei lavoratori vive a salario: se perdesse il lavoro e per un mese non percepisse lo stipendio, finirebbe in mezzo a una strada. Stiamo parlando di cifre di povertà incredibili. E Biden, va detto, ha tolto i sussidi per le famiglie in povertà, duplicando il fenomeno della povertà infantile. Si tolgono i sussidi e con le tasse dei contribuenti si finanzia la spesa militare per massacrare le famiglie palestinesi e libanesi. I democrats hanno perso consenso e le persone si lasciano sempre più sedurre dalla destra anti-immigrazione.

Ma anche quest’onda durerà poco: credo davvero che si sia in un momento storico in cui il velo dell’ideologia che ha sostenuto il sistema si stia sgretolando. C’ è una volontà di cambiamento che il sistema attuale non è in grado di gestire. Per questo se c’è un soggetto a cui guardare è la società civile. È lì che possono nascere esperimenti per superare la crisi nera che stiamo vivendo.

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