Il viaggio
Capitolo 1
La notte […] guardavamo il mare immenso, […] ognuno lontano dall’altro, volando sul proprio aereo verso le stratosferiche regioni del sonno. Lì abbiamo capito che la nostra vocazione, la vera vocazione, era viaggiare in eterno […] osservando tutto ciò che potesse comparire alla vista, […] senza piantare radici in nessuna terra, nè fermandoci ad osservare il substrato di qualcosa. La periferia ci bastava.
Cile, al largo di Valparaiso, 1952
Introduzione
Ernesto Guevara de La Serna, noto al mondo come il “Che”: un eroe nazionale per il popolo cubano, un mito politico per i rivoluzionari di ogni paese, un mito generazionale – vivo ancora oggi – per milioni di giovani di tutto il globo. Un’icona del Novecento, un volto su una maglietta.Tutto questo è venuto dopo. Quando Ernesto ha vent’anni, ha una sua formazione – umana e intellettuale – alle spalle e una vaga coscienza politica maturata soprattutto in seno alla famiglia. E un grande desiderio: viaggiare.
Viaggiare per conoscersi
Ernesto è un lettore, ma non si accontenta di quello che può imparare sui libri. Ernesto vuole vivere. Vuole conoscere nuovi posti, nuovi paesaggi, nuove persone. Vuole mettere alla prova se stesso, i suoi limiti – anche fisici – le sue paure. Ma soprattutto vuole costruirsi una nuova consapevolezza del mondo che lo circonda, facendo lavorare a pieno ritmo i suoi cinque sensi.
E questa nuova consapevolezza del mondo diventerà anche nuova consapevolezza di sé.
Nei suoi viaggi, Ernesto sprofonda nella realtà. Nel confronto con la realtà, esplora i suoi
personalissimi miti per desacralizzarli, per smontarli con ironia, per avvolgerli nella polvere della strada e misurarne l’inconsistenza.
Il viaggio non riguarda solo gli esploratori o gli avventurieri.
Il viaggio è prima di tutto incontrare l’ignoto, ma anche misurarsi con le novità che si è o non si è disposti ad accogliere.
Il ritorno
Il problema, per tutti, è sempre stato come si torna a casa, che cosa si è appreso, la delusione, l’entusiasmo, la sfida che da quegli incontri si è portato con e dentro di sé.
Per tutti tornare non è mai stato ritrovare il proprio “io” di prima, è stato un misurarsi con le emozioni, le passioni che sono state parte del proprio vissuto andando “fuori” e “lontano da” casa.
Tornare da un viaggio è essere consapevoli che un altro viaggio sta per cominciare.
Così anche per Ernesto Guevara de la Serna.
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Le immagini che seguono, tratte dal patrimonio della Fondazione Feltrinelli e dal Centro de Estudios Che Guevara dell’Avana, ritraggono alcuni momenti della giovinezza di Ernesto Guevara e, in particolare, dai suoi celebri viaggi da cui sono tratti i Diari della motocicletta.
Come si può notare, siamo ancora lontani dalle immagini iconiche del Che rivoluzionario, ma queste foto documentano alcuni momenti fondamentali dell’esistenza e della formazione politica e umana di Ernesto Guevara.
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«”Che cosa visiti?” mi ha chiesto uno di loro. La domanda è rimasta senza risposta perché non c’era nulla da rispondere; infatti, in realtà, che cosa visito io? So che almeno non viaggio come un turista e che mi sorprende vedere nei volantini pubblicitari […] cose come l’Altare della Patria, la cattedrale dove fu benedetta la bandiera, il gioiello del pulpito e la miracolosa Madonnina di Río Blanco e di Pompeya, la casa in cui fu ucciso Lavalle, il Cabildo della rivoluzione, il museo della provincia eccetera. In quel modo non si conosce un popolo […]. Quelle cose ne rappresentano solo la lussuosa facciata, ma il suo animo si rispecchia nei malati degli ospedali, negli ospiti del commissariato o nel viandante ansioso con cui si fa amicizia, mentre il Río Grande mostra il suo turbolento letto in piena. Ma tutto ciò è lungo da spiegare e chissà se può essere capito.»
Argentina, 1950
Kit didattico: Oltre il confine: la storia della rivoluzione di ottobre (I grado)
’900: un secolo di rivoluzioni e conquiste
Che Guevara: oltre la storia e fuori dal mito
Più di un’icona. Sull’eredità di Che Guevara a 50 anni dalla morte
Kit didattico: Oltre il confine: la storia della rivoluzione di ottobre (I grado)

Proposta percorso scuole secondarie di I grado
A cent’anni dall’inizio della Rivoluzione Russa si analizzano le trasformazioni e l’impatto, anche a livello globale, che ha comportato un avvenimento storico di questa portata.
Il kit didattico affronta questo tema proponendo alcuni spunti di attivazione del lavoro in classe, sia sui concetti riferiti al vocabolario politico del ‘900, attualizzabili nel tempo presente, sia su una metodologia basata sulla lettura e sulla verbalizzazione di un sintetico atlante di mappe geo-storiche che ripercorre gli snodi cronologici dal 1917 al 1922.
’900: un secolo di rivoluzioni e conquiste

Proponiamo alcuni estratti dall’introduzione di Marcello Flores, Spartaco Puttini, Sara Troglio al testo ‘900, la stagione dei Diritti. Quando la piazza faceva la storia, Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2018.
Le trasformazioni economiche, sociali, politiche e culturali in corso nella nostra società e nel sistema democratico interrogano le basi stesse sulle quali si fonda il patto di cittadinanza.
A partire da questo contesto, si può riflettere su almeno tre piani.
Il primo ci spinge a non dare per scontati i diritti dei quali oggi godiamo e a indagare sulla loro origine. Il loro ottenimento è stato frutto di lotte e sacrifici da parte di uomini e donne che spesso si sono giocati tutto quello che avevano per conquistare condizioni di vita migliori e una maggiore giustizia. La loro storia ci parla di gruppi sociali tenuti ai margini o ignorati, considerati “oggetto” dell’iniziativa altrui e non “soggetti” attivi, legittimamente portatori di istanze, aspettative e rivendicazioni. La loro azione ha prodotto un allargamento dello spazio di cittadinanza. Quali sono le condizioni che hanno determinato le grandi conquiste del Novecento? In quale clima culturale si sono sprigionati i movimenti sociali e rivendicativi? Queste sono alcune delle domande che vogliamo porci, mentre guardiamo al nostro passato recente e alle sue eredità.
Il secondo livello di lettura invita a riflettere sul fatto che il processo di acquisizione dei diritti individuali e collettivi non è stato lineare. Ha dovuto affrontare battute d’arresto e ripiegamenti, comportando un continuo braccio di ferro tra interessi e forze contrapposti.
Infine, si vuole sottolineare come, proprio alla luce di questi insegnamenti del passato, i diritti non possano mai essere considerati definitivi. Richiedono, al contrario, uno sforzo continuo di difesa, ridefinizione e impegno collettivo.
[…]
Con sempre maggiore enfasi, la comunità internazionale ha accettato l’idea che tutti i diritti, come ha affermato la Dichiarazione di Vienna del 1993, sono “inalienabili, universali, indipendenti e indivisibili”, rifiutando una gerarchia al loro interno. Ogni diritto, in sostanza, è necessario alla realizzazione degli altri e la violazione di alcuni comporta generalmente la violazione anche di altri.
Oggi la discussione sui diritti umani sembra focalizzata su alcune questioni, tra loro strettamente legate. La prima riguarda l’“universalità” dei diritti, la possibilità di una visione universale che riesca a coinvolgere culture e tradizioni di pensiero diverse e spesso distanti.
La seconda questione riguarda la distanza che esisterebbe tra il riconoscimento dei diritti civili e politici e quello dei diritti economici e sociali. È vero che si è fatta strada negli ultimi anni una tendenza a riproporre come “veri” diritti umani soprattutto o esclusivamente quelli civili e politici, perché si tratta di diritti “negativi” che si possono facilmente introdurre abolendo le leggi che li contrastano (abolire la censura, introdurre il diritto di voto, garantire l’indipendenza della magistratura). Ed è vero che è molto più difficile rendere concreti i diritti “positivi” economici e sociali, che hanno bisogno di un fattivo e intenzionale intervento dello stato per essere garantiti (salute e istruzione hanno bisogno di ospedali e scuole, di medici e insegnanti, e quindi di risorse importanti per garantirle a tutti).
La maggiore lentezza con cui i diritti sociali ed economici possono venire implementati, e la maggiore rapidità con cui si possono abolire o limitare reintroducendo discriminazioni sui diritti che sembravano superate, in realtà sono accompagnate da un identico processo che coinvolge anche i diritti civili e politici, e in qualche caso in modo ancora più marcato i diritti di solidarietà o quelli di ultima generazione. Sono le decisioni politiche di governi e stati che modificano la loro impostazione a seguito di vittorie elettorali (o di restrizioni autoritarie di varia natura) a costituire il terreno di arretramento dei diritti, dati troppo facilmente per permanenti una volta acquisiti. Quello cui assistiamo in questi ultimi anni mostra come la battaglia per difendere i diritti faticosamente conquistati chiama in causa la vigilanza, l’attivismo e il senso di responsabilità di tutti.
Che Guevara: oltre la storia e fuori dal mito

Che Guevara è stato per molti un simbolo, per alcuni un esempio. Dei grandi miti del Novecento, è forse quello che più di altri ha superato il passaggio del secolo. Ma appiattirsi sulla sua dimensione mitica non sarebbe rendere giustizia al personaggio storico e al suo slancio ideale.
Occorre guardare invece al contesto nel quale si è formato e alle idee forza, alle sfide alle quali la sua azione voleva rispondere.
Allora troveremo un’agenda di temi, di problemi, non ancora risolti e tuttora acuti.
Si tratta di ritrovare il percorso in cui curiosità diventa conoscenza e la conoscenza il lievito della scelta e dell’impegno politico.
Ernesto Guevara muove i suoi primi passi per amore dell’avventura e per sete di conoscenza. Il suo viaggio con l’amico Granado è un viaggio nel senso proprio del termine: non solo di scoperta di un contesto ma anche di formazione della sua persona. Guevara vuole sempre mescolarsi agli ultimi, alle persone comuni, alle masse dei diseredati dell’America Latina. Come medico prende contatto con la miseria. Come appassionato di archeologia non può che misurare la distanza che corre tra le grandezze raggiunte dalle civiltà precolombiane travolte dal colonialismo e la marginalità cui sono costretti gli indios a metà degli anni Cinquanta.
Ernesto Guevara
Durante il suo secondo viaggio è già cambiato. Vuole essere dove accade la storia, nelle pieghe del tormentato processo di cambiamento che sembra possibile nella regione: in Bolivia nel 1952 e in Guatemala nel 1954. Sono allora in corso in quei paesi tentativi diversi e parziali di cambiare la sorte delle masse popolari con politiche di riforme radicali: riforma agraria, riconoscimento dei diritti sindacali. Tentativi destinati a fallire e il cui fallimento segna il giovane Guevara. E’ in un contesto segnato da delusioni che Guevara conosce Fidel Castro e aderisce al suo movimento rivoluzionario.
Lungo le strade della sua “Mayúscula América”, Guevara incontra una realtà che lo rimanda costantemente a questo problema: le economie, anche quelle apparentemente floride, vivono in funzione dell’esportazione, non generano processi di sviluppo consistenti e solidi.
Risollevare queste economie implica riorientare la produzione verso il mercato interno, ovvero tenere conto dei bisogni delle popolazioni. Uscire dalla condizione di dipendenza economica in cui il continente latinoamericano si trova implica affrontare la questione del rapporto tra il Nord e il Sud del mondo, tra il centro e la periferia. È il tema della decolonizzazione. È la ricerca di trovare una propria strada per lo sviluppo: quella della cooperazione e dell’integrazione regionale; quella della redistribuzione della ricchezza e dell’uso consapevole delle risorse; della definizione delle forme dell’intervento pubblico e della costruzione di una cittadinanza cosciente e partecipe del processo di emancipazione.
Si esce dalla condizione di sottosviluppo adottando uno sguardo alle dimensioni umane per lo sviluppo. Includendo le popolazioni indie degli altipiani e delle migrazioni verso le città e non dimenticando le masse popolari urbane delle periferie delle megalopoli.
Una sfida aperta, che interroga il futuro dell’America Latina e non solo dell’America Latina.
Più di un’icona. Sull’eredità di Che Guevara a 50 anni dalla morte

L’anniversario della morte di Che Guevara ha rappresentato, com’era naturale e prevedibile, un’occasione per interrogarsi, al di qua e al di là dell’Atlantico, sulla forza del suo mito rivoluzionario. È rimasto per lo più in sordina il discorso sui contenuti della sua azione e della sua eredità politica. Un’eredità che pure è ancora viva e operante per il futuro dell’America Latina.
Nella ricorrenza del mezzo secolo dalla scomparsa di uno dei più celebri uomini del Novecento, il discorso pubblico si è concentrato prevalentemente sulle ragioni di una forza simbolica che si è mostrata capace di rompere ogni barriera del tempo e dello spazio: di sopravvivere alla fine del socialismo e al trionfo del neoliberismo, di suscitare commosso rimpianto – o anche indignato rigetto – in esponenti di più generazioni, di riverberare dall’America Latina fino ai più remoti angoli del pianeta.
In linea di massima, non sembra che questo anniversario sia servito a sollecitare riflessioni che provassero a dare davvero dei contenuti all’aura mitologica del personaggio, in particolare collocando la vicenda di Ernesto Che Guevara – la sua vita di rivoluzionario, la sua morte – nello scenario dell’America Latina, magari per provare a interrogarsi su quale apporto concreto, al di là delle illusioni e dei fallimenti, ha dato Guevara al cammino del continente e su quale eredità politica ha lasciato.
Per trovare qualcosa di interessante in questo senso dobbiamo lasciar perdere il discorso pubblico sollecitato dalla ricorrenza e rifarci a un articolo di qualche anno fa, pubblicato sulla rivista Recherches internationales (n° 93, janvier-mars 2012, pp.143-160) e liberamente consultabile sul sito dell’associazione francese Mémoire des luttes: La pensée du Che et les processus actuels d’émancipation en Amérique latine.
Il ragionamento dei due autori, Jean Ortiz e Marielle Nicholas, entrambi specialisti di storia e cultura dell’America Latina, lega il pensiero politico di Che Guevara ai successivi movimenti politici e sociali che, fino a oggi, hanno attraversato il subcontinente.
Copertina della rivista Bohemia sull’iconografia di Ernesto Guevara tratta dal patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
L’eredità politica di Guevara – sedimentata in una ricchissima messe di scritti ufficiali e appunti, che dà l’impressione di una formazione ideologica e culturale sempre in fieri, mai data per acquisita – coincide con un’idea di socialismo che non è mai dottrina: come fu, anche se in modo molto diverso, per Gramsci (il paragone è espressamente formulato dagli autori), per Guevara il marxismo è un processo e ciò che egli traccia con la sua vita di rivoluzionario è «una traiettoria insieme intellettuale e pratica, una convinzione in atto, un pensiero laboratorio» (p. 144).
È proprio questa dimensione “laboratoriale” a fare di Che Guevara, più che un’icona eterea e lontana, una vera e propria «cassetta degli attrezzi» per quanti dopo di lui hanno agito per l’emancipazione dell’America Latina dalla sua secolare dipendenza dalle logiche economiche e politiche dell’imperialismo. Che Guevara trova il suo posto in una filiera ideale che parte da Simon Bolivar e passa attraverso José Martí, proponendo una «visione continentale» dei problemi sudamericani che fa da sfondo alla ricerca di soluzioni condivise tra tutti i paesi dell’area. In un processo che è altro e diverso rispetto alle vicende del mondo occidentale, una differenza che – secondo gli autori – sta anche alla base di tanti degli equivoci che viziano la lettura eurocentrica della storia più recente dell’America Latina.
Il dibattito di questi giorni è stato invece pigro ed indolente, mancando di leggere in chiave problematica e critica le vicende di Ernesto Guevara.
La discussione globale sul mito del Che si è indissolubilmente legata a quella della sua rappresentazione iconica, cristallizzata nel ritratto dai toni messianici di Alberto Korda: un’immagine che proprio in clima di anniversario ha riconfermato la sua forza pervasiva, rimbalzando nella rete nelle sue molte declinazioni, dalle più filologiche alle più pop, e basta farsi un giro sull’hashtag cheguevara di Twitter per farsi un’idea della portata del fenomeno.
Mentre anche l’accademia si interroga sulla forza simbolica di Guevara (si veda per esempio il ricco programma di un convegno internazionale che si terrà a giorni presso l’Université Versailles Saint Quentin) e si susseguono le iniziative pubbliche che ruotano attorno all’icona (ha fatto discutere, a tal proposito, la scelta delle Poste irlandesi di dedicare al Che di Korda un francobollo, onorando le antiche radici del padre dell’eroe), sui media si è riproposta la diatriba tra la radicata memoria di sinistra che esalta lo spirito umanitario del comandante argentino e il revisionismo di chi – per lo più da destra – fa leva sui trascorsi guerriglieri di Guevara per farne emergere, come verità a lungo taciuta, i tratti più sanguinari, mentre l’Economist ha pubblicato un articolo in cui si invitano le sinistre a «seppellire Che Guevara una volta per tutte» per scegliersi dei simboli meno radicali e più dem.