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Pronti mirare fuoco, un anno dalla guerra in Ucraina


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Ci sono le ragioni della guerra e le ragioni della pace, i dibattiti geopolitici e le analisi più rassicuranti, le reazioni indignate e le opinioni così assertive che, volendo fugare ogni dubbio, inducono alla diffidenza. E poi ci sono le persone. Noi e loro. Noi che guardiamo e cerchiamo di capire, e di reagire. Loro che a molti chilometri di distanza, anche se non moltissimi, vengono privati di tutto, vivono in condizioni militari pur essendo civili e incontrano per le strade un invasore che prima era un vicino ingombrante e che ora è, o vorrebbe essere, un occupante. Le persone che muoiono, soffrono, si stringono nelle metropolitane o nei teatri per sopravvivere alla guerra sono comparse nel videogioco della storia, che puzza di sangue e di violenza come non pensavamo potesse essere più possibile.

Chi lo ha progettato? Quali sono gli attori reali e quali quelli apparenti? Qual è la posta in gioco e, soprattutto, siamo solo all’inizio di questo scontro oppure è lecito confidare in un cessate il fuoco definitivo?
Una linea del tempo per leggere questo primo mese di guerra, nove approfondimenti per capire di più di quanto accade e delle sue conseguenze.
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Guerra aperta


“Per quasi trent’anni, larga parte dell’opinione pubblica si era abituata a ritenere che la guerra, almeno nella sua forma classica, avesse cessato di costituire un elemento-cardine della politica internazionale, per lasciare spazio a due tipi residuali e, appunto, marginali di conflitti armati: le guerre civili combattute al di fuori dello spazio centrale del sistema internazionale da fazioni a propria volta marginali delle rispettive società; e il complesso delle “guerre di polizia” condotte dai paesi occidentali nelle aree periferiche, attraverso l’uso di uno strumento militare incomparabilmente superiore per capacità tecnologiche e organizzative ai propri nemici. La guerra in Ucraina ci riporta, invece, alla più tradizionale delle guerre interstatali. Con l’aggravante che a questa eventualità torneranno a prepararsi anche tutti gli altri Stati, aumentando come prima cosa le rispettive spese per la difesa“.
Sono le parole con cui Alessandro Colombo, professore dell’Università degli Studi di Milano, apre il contributo proposto in questo speciale.
Uno speciale che pubblichiamo a un mese dall’inizio di un conflitto che ha già provocato la morte di quasi 1.000 civili, secondo i dati dell’Onu, e che ha precipitato l’Europa e il mondo intero in una condizione di estrema incertezza politica.

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Una linea del tempo:
dodici date per leggere questo mese di guerra

La giungla della storia è tornata
ha commentato lo storico e politologo americano
Robert Kagan.

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The day Putin invaded UkraineMappa confini Russia

Eppure quel fatidico 24 febbraio non irrompe inaspettato.
Provoca un profondo shock a Kiev,
come documenta il podcast del Guardian The day Putin invaded Ukraine.

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Tuttavia, mesi di allarmi e indiscrezioni avevano preceduto l’offensiva.
È il 3 dicembre quando il Washington Post diffonde la notizia:

Il Cremlino sta pianificando un attacco su più fronti in Ucraina all’inizio del prossimo anno

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Disordine globale: i giochi olimpici di Pechino

PutinSecondo una ricostruzione del New York Times basata su fonti di intelligence, anche il regime cinese era a conoscenza dei piani di Putin e avrebbe chiesto al Cremlino di non invadere l’Ucraina prima della fine delle Olimpiadi invernali di Pechino, notizia smentita dall’ambasciata cinese a Washington che l’ha definita una “ipotesi senza fondamento”.

I Giochi olimpici, letti soprattutto alla luce di questo mese drammatico, assumono la valenza di un affare geopolitico: una nuova linea di conflitto nel fronte della Guerra Fredda tra Cina e Stati Uniti, l’aveva definita un articolo comparso a inizio febbraio sul Financial Times.

Nelle scorse settimane avevamo ricordato come proprio la “diplomazia del pingpong” – l’incontro del 1971 tra la nazione cinese di pingpong e quella americana a Nagoya, in Giappone, per il campionato del mondo – avesse favorito un avvicinamento tra gli Stati Uniti e la Cina di Mao.
Oggi torniamo ai giochi di Pechino, boicottati dall’amministrazione Biden, scorgendone i presagi di assetti internazionali destinati ad inasprirsi a fronte dell’aggressione russa.


Verso nuovi equilibri internazionali

Difficile fare previsioni circa un accordo di pace, è certo però che questo mese, destinato a cambiare gli equilibri internazionali e la stessa idea di futuro, ha una lunga storia alle spalle e trova proprio nella storia un oggetto di manipolazione.

Oltre le strumentalizzazioni, bisognerebbe interrogare il revanscismo imperiale di Putin e leggere nel lungo periodo la crisi politica tra Russia e Occidente, come suggerisce Cristina Carpinelli.

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Stop war Ukraine

 È certo anche che chiami in causa un nuovo ordine del mondo, nel pieno della “crisi costituente” che la società internazionale sta attraversando e che vede l’Unione Europea dare una apparentemente risposta più compatta ed unitaria, sebbene si abbia l’impressione che il centro della politica stia progressivamente abbandonando l’Atlantico per spostarsi nel Pacifico.

È certo anche che produca uno shock economico ed energetico nel quadro di una guerra ibrida che, come osserva Andrea Muratore, si combatte anche sfruttando l’interconnessione dei mercati delle materie prime, la finanziarizzazione, la fluidità delle catene del valore.

Ukraine flag
È certo che stia producendo una grave crisi umanitaria, con oltre 10 milioni di profughi obbligati a lasciare le proprie case. Questi milioni di rifugiati – osserva Étienne Balibar – non torneranno presto “a casa”. L’Ue sarà pronta a “farsi casa”, sapremo allestire processi di integrazione oltre lo stato d’emergenza?
È certo che ci porti anche a interrogare i nostri meccanismi di identificazione, di empatia e di capacità di elaborare memorie traumatiche. Forme di riconoscimento possibili grazie alle immagini che bucano lo schermo di cui ci parla Mauro Carbone, ma anche grazie allo straordinario lavoro di inchiesta e reportage di chi, sul campo e a rischio della vita, ci racconto la furia del conflitto: per dirla con la parole di Francesca Mannocchi, “credo che raccontare la guerra oggi significhi essenzialmente questo: essere pronti a percorrere spazi di disorientamento, provare uno stupore antico dinanzi alla brutalità,
essere pronti ad accogliere le contraddizioni del reale.

È lì che dovremmo condurre il lettore, non già in uno spazio di sicurezza,
ma in uno spazio talvolta inospitale”.

 

Per capirne di più
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