«La voglia di ridere non scomparirà mai», dice Riss, direttore editoriale di Charlie Hebdo, nel numero di martedì 7 gennaio 2025, numero speciale per un anniversario che lega la satira alla morte e al terrorismo: dieci anni esatti dopo l’attacco jihadista a Parigi che provocò dodici morti, tra cui otto membri della redazione del giornale. Tra loro il fumettista Charb e due leggende della caricatura in Francia: Cabu e Wolinski. La copertina ha per protagonista un personaggio seduto su un fucile che legge proprio questo numero di Charlie Hebdo (in un esempio del cosiddetto effetto Droste, che si ottiene quando un’immagine contiene e riproduce se stessa). Sotto alla testata c’è invece la parola Increvable!, cioè instancabile, indistruttibile.
La forza indistruttibile di Charlie Hebdo
«Dieci anni dopo, Charlie Hebdo è sempre lì. Le cause della tragedia anche. Così come la determinazione della redazione del giornale». Che è un giornale satirico, anarchico, libertario, sfottente. Prima dell’attentato Charlie Hebdo tirava 60mila copie e aveva i conti in rosso. Dopo l’attentato ha venduto 8 milioni di copie del numero del 14 gennaio ed è arrivato a 240mila abbonati nel 2015. Questi vendite straordinarie e aiuti vari hanno permesso di rimettere a posto i conti per decenni.
Da alcuni anni le vendite sono stabili a 20mila copie in edicola ogni settimana e 30mila abbonati. Sono numeri notevoli nel contesto della crisi globale dei giornali, segno di vitalità della satira e amore per lo sberleffo nella cultura francese. Per un fenomeno analogo in Italia bisogna ritornare agli analogici anni Novanta quando Michele Serra faceva Cuore a Bologna e io stesso Comix a Modena. Cuore vendeva più di centomila copie, Comix arrivò a ottanta, numeri che oggi farebbero la gioia dei quotidiani, nel 1996 muoiono entrambi, è il digitale bellezza!
Anche Topolino si Inginocchia al Potere
Nelle 32 pagine del Charlie Hebdo di oggi ce ne sono quattro di caricature di Dio inviate da vignettisti di tutto il mondo. La voglia di ridere di Dio. Giustamente. Perché l’umorismo, la satira, la libertà di espressione, la laicità, il femminismo, l’ecologia non sono mai stati così messi in discussione. Forse perché è la democrazia stessa, e pertanto la libertà, a trovarsi minacciata da rinnovate forze oscurantiste.
E dalle forbici della censura. Come è accaduto venerdì 4 gennaio a un disegno su un quotidiano americano di Ann Telnaes, una vignettista del Washington Post, Premio Pulitzer e collaboratrice del giornale dal 2008. Ha detto che si sarebbe dimessa dopo che la sezione opinioni del giornale ha respinto una vignetta che mostra Jeff Bezos e altri tre dirigenti del settore tecnologico inginocchiarsi davanti a una statua di Donald Trump mentre offrono al presidente neo eletto sacchi di dollari. Con loro c’è anche Topolino che si prostra davanti alla statua.
I personaggi disegnati sono riconoscibili, manca Musk ma c’è tutto il nuovo potere della tecno-destra turbo populista: oltre a Jeff Bezos, proprietario del quotidiano e fondatore di Amazon; Mark Zuckerberg, capo fondatore di Meta; Sam Altman, boss di Open AI e Patrick Soon-Shiong, editore del Los Angeles Times, mentre Topolino è la mascotte aziendale della Walt Disney Company che ha accettato, tra la sorpresa di tutti, di pagare 15 milioni di dollari (14,5 milioni di euro) per risolvere una denuncia per diffamazione contro Donald Trump. In una breve dichiarazione pubblicata su Substack, Ann Telnaes ha definito la decisione del giornale di eliminare la sua vignetta un «punto di svolta pericoloso per una stampa libera.
In tutto questo tempo non mi è mai capitato che una vignetta venisse uccisa a causa di chi o cosa avessi scelto di colpire con la penna». «Fino ad ora» ha scritto.
La caricatura – questo specifico genere visivo satirico che si fa beffe del suo bersaglio rappresentandolo in maniera grottesca e derisoria – è un simbolo della libertà di espressione e della libera critica verso ogni potere. Tuttavia, il numero dei vignettisti continua a diminuire in tutto il mondo, così come lo spazio dato loro dai media. La vignetta giornalistica è in declino, come il suo mezzo storico, la stampa scritta.
Dove Sono Finiti i Comici?
Il problema è che in un un’epoca di intelligenza artificiale, algoritmi, piattaforme, newsletter in cui podcaster, influencer e content creator sostituiscono quasi tutti i vecchi attori in gioco, la satira politica, un po’ come l’egemonia culturale, squaderna tutto un immaginario vintage fatto di vignette intelligenti, di Altan o di Ellekappa su Repubblica, di imitazioni in tv di Maurizio Crozza che parodizza meravigliosamente la eroscomica vicenda epica tra Gennaro Sangiuliano e Maria Rosaria Boccia, di qualche felice monologo a Propaganda live, la messa celebrata da Diego Bianchi e Makkox nel rito laico del venerdì. Sono tutti pezzi di modernariato intellettuale. Spesso di qualità eccellente. Ma da profondo Novecento. Il problema è che il declino dei giornali come luoghi di formazione delle opinioni è ormai irreversibile e che la tv è il mezzo di comunicazione che è invecchiato peggio di tutto il Novecento.
E di là c’è internet, il web che tutto tritura, sminuzza in formato di meme, già pronto per le repliche nei tempi brevi di TikTok.
Dunque la satira è sparita, sciolta nella rete digitale, la satira è morta? Lo si ripete ormai da anni. Dove sono i nuovi Corrado Guzzanti, i Daniele Luttazzi, gli Antonio Albanese, le nuove Anna Marchesini? C’è ancora spazio per i comici nella tv o finiranno tutti a Lol, come in una riserva, la metafora impietosa di un vero ospizio per artisti?
Da un’altra parte, nei club dove fermenta e nei teatri dove si afferma la stand-up, i riferimenti ai personaggi politici, un tempo rifugio sicuro, si sono fatti sempre più radi e svogliati, e sono praticamente scomparsi dal repertorio dei giovani comici, che preferiscono concentrarsi sugli aspetti grotteschi del quotidiano.
Qualcuno dirà che, in fondo, è sempre stato così (a Non Stop e L’altra domenica non si parlava certo di Andreotti e di Berlinguer).
Mentre al cinema e nei romanzi il problema proprio non si pone, il cinema e la narrativa italiana, nonostante il prezioso pioneristico lavoro di Ennio Flaiano per entrambi, per larga parte non sono ironici, li si pretende seriosi, dolenti, solenni, altisonanti, e per di più i cinepanettoni non si fanno più.
Quando la Satira fa a Pezzi la Letteratura
In contrappunto prendiamo dal presente un riuscito esempio di satira letteraria, preso dall’incipit del libro di Stefano Rapone, (quello di Tintoria, assieme a Daniele Tinti, il primo podcast italiano condotto da comici) Racconti scritti da donne nude, Rizzoli Lizard.
Spettabile gruppo de ‘Gli Amici della Domenica’,
mi chiamo Stefano Rapone e sono un giovane e promettente scrittore. Vi scrivo, per l’appunto, per informarvi del fatto che sto ultimando un testo che sicuramente rientrerà nelle vostre corde e sarà da voi giudicato idoneo a ottenere la vittoria del vostro premio più prestigioso, il famigerato “Premio Strega”.
Ho dato un’occhiata ai vincitori degli ultimi tempi e non penso di essere da meno: ho una prosa più aggraziata di Walter Siti, sono più coinvolgente di Sandro Veronesi, più attraente di Antonio Scurati e a differenza di candidati notabili come Saviano vengo spesso apprezzato anche dai Casalesi.
Quanto al testo, ha insisto in sé tutto ciò che serve per trionfare nella oramai celebre cinquina: critica sociale, riferimenti frequenti al nazifascismo, spaccati neorealisti di province italiane e i relativi buffi dialetti, personaggi in crisi esistenziale interpretabili da Margherita Buy, bella scrittura, belle donne emancipate o in fase di emancipazione, cronaca nera resa divertente, effetti speciali.
Inoltre, laddove non specificato, il lettore o la lettrice è liberissimo di immaginare le preferenze sessuali o il colore della pelle dei vari personaggi come più lo aggrada, sebbene l’autore incoraggi a pensarli bianchi ed eterosessuali.
Per semplificarvi ulteriormente la vita, avevo scelto di chiamare il libro con un titolo facile da ricordare: Il libro vincitore del Premio Strega, in modo che i più anziani tra di voi non si potessero confondere e chiarire subito come stanno le cose con gli altri candidati. Purtroppo il Direttore Generale di Rizzoli ha avuto all’ultimo momento un attacco di pavidità acuta, ritenendo che la comprensione di un titolo di tale calibro fosse uno sforzo troppo intenso per le vostre capacità mentali.
Motivo per cui ho deciso di intitolarlo Racconti scritti da donne nude, così da far indubbiamente schizzare in alto le vendite e anche per renderlo più affine alla casa editrice che spero pubblicherà i miei prossimi capolavori, la Silvio Berlusconi Editore, che ha inaugurato la sua storia editoriale con un saggio di Tony Blair e dove spero che presto trovino spazio altri nomi illustri di amici personali del nostro compianto Presidente, come George W. Bush, Vladimir Putin e altre personalità che hanno scatenato o avallato una guerra negli ultimi trent’anni.
Tornando a noi, ci tengo molto a vincere il premio perché penso sia un bel punto di arrivo ma anche di partenza e, soprattutto, per dare un po’ di gioia alla mia nonna che vi segue sempre ma è tanto malata e per lei sarebbe proprio un bel regalo, specialmente il liquore.
Cordiali saluti.
Cari amici della domenica, amici i miei coglioni.
Così conclude Rapone qualche pagina dopo, consapevole che nessuno degli amici della Domenica ha preso in considerazione il suo libro comico.
Ora io sono un amico della Domenica e penso che candiderò il libro di Rapone per il Premio Strega, prendendo sul serio la sua satirica autocandidatura. In Italia la letteratura se è umoristica e satirica letteratura non è. Rapone fa Tintoria, è un stand up comedian, ha un eccellente curriculum: è laureato in Lingua e Traduzione giapponese alla Sapienza e ha iniziato proprio in Giappone a esibirsi in inglese.
La Satira è Morta?
Lo ha detto bene una volta Flaiano: «La satira in Italia non è molto coltivata, per motivi che forse possono trovarsi nell’Estetica di Croce, la quale considera la Satira come la Cenerentola della letteratura. Qui regna il culto dell’arte e della poesia in senso assoluto. Ognuno, scrivendo, ha per modelli la Divina Commedia, I Promessi Sposi, I Malavoglia […], e nessuno si guarda attorno per capire i lati assurdi, non diciamo ridicoli ma comunque sfrenati della vita che ci circonda. Farlo è mettersi in una posizione di isolamento».
È La solitudine del satiro, per citare ancora Flaiano. Col titolo di un libro che è attraversato da una intensità intellettuale che pochi dei nostri scrittori hanno posseduto: l’intelligenza messa al servizio del disincanto, una lucidità che è insieme cinica, satirica e persino malinconica, confortata soltanto dalla propria ironia.
In Italia, al contrario, tutti si prendono moltissimo sul serio, soprattutto gli scrittori.
Oltre a Stefano Rapone, tra gli isolati: Maurizio Milani, Walter Fontana, Rocco Tanica, Valerio Lundini, Chiara Galeazzi, Alessandro Gori. Sono capaci di capire i lati assurdi e sfrenati della vita, ne scrivono e, facendo molto ridere, presidiano questa sentina di scelleratezze.
«A un certo punto della vita adulta bisogna fare una scelta e decidere da che parte stare. C’è la parte di Flaiano, che pensava che la cosa più importante fosse sorridere e far sorridere, senza pronunciare proclami, elaborare visioni del mondo, firmare manifesti; e c’è la parte di Fortini, che – come Jorge da Burgos nel Nome della rosa – pensava che con tutto il male che c’è nel mondo ridere è nella migliore delle ipotesi una leggerezza e nella peggiore un crimine, o la complicità in un crimine.
Qui si sta con Flaiano, anche solo per sedersi una volta tanto davvero dalla parte del torto.»
Lo scrive Claudio Giunta, in un libro di prossima pubblicazione sulla cultura pop, e come dargli torto.
Perché la satira certo non può cambiare il mondo ma sfidare il potere, e anche la letteratura, sì: la satira ride, è fatta di piccole cose, vignette, caricature, parodie, battute, canzoncine, sfottò: microorganismi del pensiero che rendono fluorescenti e visibili gli aspetti della realtà che il potere vuole nascondere.
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