Perché tornare oggi sul Governo Moro?
Il 5 dicembre 1963, dopo una lunga preparazione ed estenuanti trattative, si formò, presieduto da Aldo Moro, il primo governo “organico” di centro-sinistra, con la diretta partecipazione di ministri socialisti (Nenni vicepresidente del Consiglio, Giolitti al Bilancio, Pieraccini ai Lavori Pubblici, Mancini alla Sanità, Corona al Turismo e Arnaudi alla Ricerca scientifica, ministero istituito in questa occasione).
Il giorno dopo il quotidiano del partito, Avanti!, esce con il titolo (opera del vice-direttore Franco Gerardi) Da oggi ognuno è più libero:
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, attraverso uno speciale editoriale, prova a mettere a fuoco le tappe che hanno portato alla nascita del primo governo moderno del centro-sinistra.
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con testi di Giovanni Scirocco, Mauro Piras, Simona Colarizi,
Jacopo Perazzoli, Giorgio Bigatti, Extinction Rebellion Italia
L’ambizione delle riforme…
Riteniamo sia utile richiamare l’ambizione che, già nei mesi precedenti, aveva portato al cosiddetto governo di “centrosinistra di fatto”, il IV governo Fanfani, rimasto alla storia come il governo più riformista – pur non essendolo, appunto – fra quelli di centro-sinistra.
Quel governo, sostenuto dall’esterno dai socialisti, realizzò, fra le altre cose, la cosiddetta nazionalizzazione dell’industria elettrica e la riforma della scuola media, che cercò di spezzare il tradizionale classismo della scuola italiana e l’eredità della riforma Gentile.
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a cura di Simona Colarizi, professoressa emerita di Storia contemporanea
…e l’importanza di recuperarle oggi
Oggi, perché di quelle esperienze è utile recuperare, da una parte, l’ambizione di trasformare il paese, e dall’altra il coraggio di reperire le risorse per farlo.
Oggi, perché ci sentiamo in un panorama politico in cui manca l’ambizione d’immaginare un processo trasformativo reale.
Oggi, perché servirebbe un progetto trasformativo capace di sfidare il ciclo corto della politica.
Oggi, perché – al contrario – servirebbe un intervento radicale capace d’incidere sulle strutture materiali e sociali, sulle inerzie che perpetuano disuguaglianze, sulle ingiustizie. È urgente agire contro le povertà che stanno di nuovo aggredendo il paese.
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a cura di Giovanni Scirocco, Università degli studi di Bergamo
Come si arrivò a quei governi di centro-sinistra?
L’Italia la II guerra mondiale l’aveva persa, ma aveva guadagnato uno status particolare grazie alla Resistenza. L’Italia era un paese che aveva scelto di stare nel solco della Nato, ma ospitava il più grande partito comunista dell’Occidente. La divisione in due blocchi del mondo aveva prodotto da subito effetti politici e culturali di enorme portata, su scala mondiale. Lo stalinismo influenzava tutti i partiti comunisti del mondo, in entrambi i lati della cortina di ferro.
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a cura di Mauro Piras, docente di Filosofia
Il contesto internazionale
Questo schema iniziò a vacillare solo nel 1953, con la morte di Stalin, e permise un primo timido avvio della cosiddetta “destalinizzazione”, a partire dal 1956. Quello stesso anno registrò l’inizio della rivoluzione castrista e guevarista a Cuba.
Negli Stati Uniti e nel resto del mondo occidentale cresceva la paura del comunismo, e dei comunisti.
Ancora, il 1956 fu anche l’anno in cui Charlie Chaplin decise di non tornare più negli Stati Uniti (lo avrebbe fatto soltanto dopo quasi vent’anni), perché il maccartismo lo aveva messo sotto accusa.
Il maccartismo, che si era diffuso sempre più negli Stati Uniti d’America a partire dalla fine degli anni Quaranta, fu un atteggiamento diffuso caratterizzato da un esasperato clima di sospetto nei confronti di persone e di gruppi ritenuti comunisti e sovversivi. Veniva chiamato maccartismo dal nome del senatore J.R. McCarthy, che dirigeva una commissione per la repressione delle attività antiamericane e faceva porre sotto vigilanza centinaia di persone, attaccandole pubblicamente con accuse non dimostrate,
a tutti i livelli della società (nella politica, nella cultura, nello spettacolo…).
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con l’articolo a cura di Jacopo Perazzoli, Storico
Il proletariato cittadino
Intanto, in Italia affioravano nuovi soggetti sociali, rappresentati innanzitutto dalle masse sradicate dalle campagne a causa del fallimento della riforma agraria del 1950, che aveva fallito nel favorire la transizione
capitalistica dell’agricoltura e la formazione di una solida classe media agricola.
Tutto ciò alimentò l’impressionante crescita del proletariato cittadino – soprattutto nelle tre città del triangolo industriale
(Milano, Torino, Genova) – e dei nuclei operai tradizionali, che furono trasformati nella loro composizione qualitativa e quantitativa dall’arrivo dei nuovi operai “massa” dal sud (dunque con un aumento vertiginoso degli immigrati dal sud nelle tre città del nord). Fu inevitabile l’esplosione di una nuova conflittualità che si manifestò in modo fragoroso a Torino in Piazza Statuto, con le magliette “a strisce”, nel 1962.
Sui nuovi assetti sociali,
ne parla Giorgio Bigatti, direttore scientifico di Fondazione Isec
Le crescenti inquietudini e la conflittualità sociale furono vissute dallo Stato in modo ambivalente, dapprima nel nome della repressione, con il crescente impiego della celere nelle piazze italiane e la riorganizzazione delle destre, e poi – appunto – con le riforme. In un primo momento, in alcuni settori della DC si era fatta strada l’idea che un nuovo governo di centro potesse cercare proprio in quella parte politica di destra i voti necessari a sostenere un governo, e un tentativo in tal senso fu fatto con il governo Tambroni a partire dalla primavera del 1960.
Questa scelta, però, acuì la tensione nel paese, fino agli scontri del luglio 1960 connessi al famigerato congresso del Movimento Sociale Italiano (il partito neofascista) a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza che non accettò la presenza del partito di destra in città.
Centrismo sbilanciato
Fu il punto massimo di una crisi che segnò di fatto l’apertura dello spazio politico in cui si generarono le prove generali del centrosinistra. La caduta del governo Tambroni chiudeva gli spazi a quello che è stato definito un “centrismo sbilanciato a destra”, quel centrismo che praticava una netta chiusura a sinistra e in maniera asimmetrica un’equivoca chiusura a destra. L’esito di centrosinistra, insomma, appariva ormai inevitabile.
Lo sviluppo degli anni Cinquanta, però, pur avendo modificato e compromesso le condizioni che avevano reso possibile la mediazione centrista, non aveva eliminato gli ostacoli alla creazione di un nuovo equilibrio politico capace di rispondere in maniera adeguata all’irruzione sulla scena di un movimento operaio quantitativamente così ampio.
Se una parte del mondo produttivo e di quello politico guardavano con interesse a una trasformazione incentrata sulla politica di programmazione, e con essa alla costituzione del Ministero della Partecipazioni Statali e alla nazionalizzazione dell’energia elettrica, un’altra parte faticò enormemente ad adattarsi alle pressioni della società in trasformazione e dunque all’idea che fosse necessaria una svolta politica.
Punto nevralgico, già allora, diventava il ruolo da affidare allo Stato.
Se i grandi gruppi oligopolistici (come Fiat, Olivetti e Pirelli) avvertivano ormai i limiti e le strozzature del meccanismo produttivo italiano, e dunque tendevano a considerare opportuno un orientamento equilibratore dello Stato appunto, opposto era l’orientamento delle forze raccolte attorno all’Assolombarda, a cominciare dagli industriali elettrici.
Ecco perché divenne così dirompente il quarto governo Fanfani nel 1962, primo governo di “centrosinistra di fatto”, che riformò la scuola media e “nazionalizzò” l’industria elettrica, per garantire innanzitutto un accesso alle fonti energetiche a costi contenuti all’insieme del mondo produttivo italiano.
Quell’esperienza riformista fu resa effettiva dal governo Moro, nel 1963.
Un processo che era stato favorito, oltre che dai processi sociali già ricordati, anche:
- dalla rottura nel 1956 del patto fra socialisti e comunisti (la prima volta dalla “solidarietà
antifascista” della Resistenza, a causa della grave crisi indotta dalla repressione sovietica in
Ungheria); - dal concilio Vaticano II nel 1962, che tentò di avvicinare la Chiesa alla modernità;
- dal viaggio in Italia del presidente americano Kennedy nel 1963.
Passaggi della storia che sembrarono aver detto che, in effetti, una sinistra emendata dai comunisti (fra il
1961 e il 1962, intanto, c’erano state l’invasione della Baia dei Porci e la crisi dei missili, sempre a Cuba)
avrebbe anche potuto aspirare a uno spazio di governo. Su queste tappe esplora le fonti della Fondazione Feltrinelli.
Esplora le fonti
del patrimonio della Fondazione
Tre settimane prima del giuramento del governo Moro sulle colonne di «Rinascita», settimanale del PCI, interviene Palmiro Togliatti per confermare l’opposizione, già manifestata in sede parlamentare, del principale partito della sinistra, denunciando l’atlantismo del programma e il velleitarismo del PSI nell’ auspicio di influenzare dall’interno le dinamiche del potere democristiano.
Le colonne di Rinascita
16 novembre 1963
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La rassegna di Giorgio Galli restituisce invece il quadro completo di quella esperienza, individuando le premesse e gli sviluppi contrastati del primo Centrosinistra, le spinte e controspinte e il ruolo dello scenario internazionale (in particolare dell’amministrazione Kennedy negli Stati Uniti) e post conciliare nel depotenziare i settori più conservatori del Vaticano e favorire la realizzazione dell’esperimento.
Rassegna di Giorgio Galli,
Il parlamento italiano, 1992
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In conclusione
La società italiana, dunque, ribolliva. Nuovi soggetti sociali spingevano per una trasformazione.
La politica sembrò almeno provare a recepire quella spinta alla trasformazione, quell’ambizione radicale, appunto. Tuttavia, da lì a poco, con la Contestazione e l’avvio della strategia della tensione, nel 1969,
si aprì una nuova fase della storia italiana, nuovamente rivolta all’indietro.
Su questi temi leggi l’approfondimento
di Extinction Rebellion Italia
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