Articoli e inchieste

La scuola democratica. Un progetto incompiuto


Tempo di lettura: minuti
Youngonly

Introduzione

di Pietro Savastio e Niccolò Donati

Il secondo appuntamento della rubrica Cose di Sinistra ci porta ad affrontare un tema che, nel contesto COVID-19, rappresenta un’emergenza nell’emergenza: la scuola. Ne parliamo con Mauro Piras, insegnante e ricercatore, rileggendo Tristano Codignola, uno dei protagonisti della stagione di riforme progressiste che interessò la società italiana negli anni ’60. “Una scuola democratica per una società democratica”: oggi, più che mai, questa programma appare incompiuto.

Le politiche di distanziamento sociale, e la chiusura delle scuole, mettono in luce come differenze sociali, culturali, etniche possano condizionare la possibilità di apprendimento dei ragazzi, perpetuando e rafforzando disuguaglianze esistenti e inficiando le future opportunità di vita. La palese ingiustizia di una scuola che non riesce a garantire un futuro migliore ai suoi allievi è il terreno dove dovrebbero misurarsi le forze progressiste. Come auspicato da Tristano Codignola: “è dalla scuola che possono nascere le condizioni di un nuovo schieramento democratico di far compiere al paese un decisivo passo in avanti.”

La scuola democratica. Un progetto incompiuto – di Mauro Piras


1.

Tra il 1958 e il 1962 l’Italia viene investita dal boom economico: in pochi anni entra nella società di massa, che libera aspirazioni collettive al benessere e alla democrazia. Negli stessi anni si costruiscono i presupposti dei governi di centro-sinistra. In questo contesto nascono i primi progetti di riforma della scuola. Dopo il 1945, la politica scolastica non aveva ancora affrontato i problemi di fondo del sistema di istruzione: analfabetismo, bassa scolarizzazione, evasione dell’obbligo, abbandono, selezione sociale. È solo a partire dal 1958 che si comincia a parlare di riforme di ampia portata. Nel 1959 viene presentato dal governo il Piano della scuola, che pone le basi della più importante riforma scolastica di quegli anni, la scuola media unica. La legge che la introduce viene approvata alla fine del 1962. È un compromesso tra le opposte soluzioni in campo, ma è insieme una rivoluzione.

Per capirlo, è importante comprendere qual è la situazione della scuola italiana in quegli anni. Nel 1961 gli analfabeti sono ancora l’8.3% della popolazione. I tassi di scolarizzazione sono molto bassi: nel 1961 le elementari sono frequentate dal 95% della popolazione di età tra i 6 e gli 11 anni, ma alle medie si scende al 36% della fascia 11-14 anni; in quella dai 14 ai 18 solo il 20% frequenta una scuola superiore. I tassi di abbandono scolastico sono elevatissimi: nella scuola elementare sono intorno al 20% degli iscritti, alle medie intorno al 60%.

La struttura del sistema scolastico è ancora quella ereditata dalla riforma Gentile del 1923, pur con le modifiche introdotte da Bottai nel 1940: una scuola elementare di cinque anni, seguita da un segmento intermedio (11-14 anni) diviso tra la scuola media, che permette di continuare gli studi, e le scuole di avviamento professionale; segue poi un’istruzione di secondo grado differenziata in numerosi indirizzi: licei classico, scientifico, artistico, istituto magistrale, quattro tipi di istituti tecnici, istituti professionali, istituti femminili. Le scuole superiori sono  gerarchizzate: solo il classico permette di accedere a qualsiasi facoltà universitaria, mentre lo scientifico esclude Lettere e Giurisprudenza, e gli istituti hanno sbocchi limitati, o non li hanno affatto.

In sintesi, una struttura fortemente gerarchica e selettiva, pensata da Gentile per dare una formazione elementare a tutti, ma poi separata secondo le classi sociali. Il sistema, in effetti, funziona: fino al 1962 la metà degli studenti che frequentano le scuole medie inferiori non può proseguire gli studi, perché sono iscritti all’avviamento, e la scelta tra scuola media e avviamento è determinata dalle condizioni socio-economiche e culturali delle famiglie.

2.

La figura di Tristano Codignola (1913-1981) si colloca in questo quadro. Figlio del  pedagogista Ernesto, che aveva contribuito attivamente alla riforma Gentile, Tristano è invece antifascista, ha partecipato alla Resistenza ed è stato tra i fondatori del Partito d’Azione, per essere poi eletto all’Assemblea Costituente. Nel 1957 entra nel PSI e nel 1958 ne diviene il responsabile nazionale per la scuola.

Il suo articolo Una scuola democratica per una società democratica è una tappa fondamentale verso la riforma della scuola media. Tra il 1959 e il 1960 vengono depositati i primi disegni di legge per la scuola media unica: quello del PCI propone un percorso unitario, abolendo il latino e ponendo al centro della formazione scienze e storia; quello della DC preserva invece una certa differenziazione interna per “sezioni”, e il latino. Codignola interviene proponendo una prospettiva fortemente innovatrice che scavalca la contingenza del momento storico ed è  pertinente anche per la scuola di oggi.

L’articolo propone la riforma della scuola media a partire da una visione sistemica, sia delle trasformazioni sociali sia della scuola. La società di massa pone due esigenze contraddittorie: da un lato promuove la formazione della persona e del cittadino, per l’immanente spinta alla democratizzazione; dall’altra richiede competenze specialistiche differenziate (121). Le forze conservatrici vedono solo la seconda esigenza, e si adeguano quindi alla richiesta, anche dei ceti sociali subalterni, di “soluzioni scolastiche di ‘pronto impiego’”. In realtà, proprio la mancanza di una solida formazione generale penalizza i lavoratori, oltre a impedirgli di formarsi come persone e come cittadini (123).

Per questo l’obbiettivo fondamentale del sistema scolastico deve essere quello di “evitare lo spreco dei talenti” (124): fare in modo cioè che “ognuno trovi nella società il posto più adatto alle sue possibilità e alle sue capacità”; creare “condizioni effettivamente eguali di partenza, cancellando le tracce psicologiche e culturali derivanti dalla diversità di origine” (124).

La scuola dell’obbligo deve essere quindi formativa e non selettiva; caratterizzata da un tronco comune di formazione di base, uguale per tutti, e dalla possibilità di scegliere materie opzionali; estesa anche al pomeriggio, “al fine di sostituire i compiti a casa”; fondata su una programmazione di massima, non su programmi dettagliati; aperta a tutti gli sbocchi futuri (124-125).

Questo quadro ci può sembrare scontato, poiché come abbiamo visto la scuola dei primi anni sessanta è molto diversa dalla nostra, almeno a un primo sguardo, e quanto è avvenuto dopo ha realizzato molto di questo progetto. Tuttavia, le cose non sono così lineari, anzi la nostra scuola continua ad avere gravi aspetti di selettività.

3.

Vediamo alcuni dati e i problemi di struttura dell’attuale sistema di istruzione. Prima di tutto, i tassi di scolarizzazione: oggi, nella fascia di età tra i 14 e i 18 anni circa il 93% della popolazione frequenta la scuola, e un restante 6-7% frequenta l’istruzione e formazione professionale (dati 2016). Abbiamo raggiunto quindi la scolarizzazione di massa. Va sottolineato però che questo è avvenuto nei primi anni 2000. Ancora nel 1990 il tasso di scolarizzazione tra i 14 e i 18 anni non arrivava al 70%. La scuola di massa in Italia è un fenomeno molto recente. Dal punto di vista delle bocciature e della dispersione il quadro è molto diverso rispetto agli anni sessanta: le bocciature nella primaria e nella scuola media sono ormai residuali (rispettivamente lo 0,2 e l’1,9% degli iscritti dell’a. s. 2017-18; tutti i dati che seguono si riferiscono a quest’anno); alle superiori si aggirano intorno al 9%, ma sono molto più alte negli istituti tecnici (11,6%) e professionali (13,6%) rispetto ai licei (5,3%). Questi sono i dati della media dei quattro anni. Se si guardano i bocciati al primo anno delle superiori i divari sono drammatici: 13,1% in tutti i tipi di scuole, ma 17,1% nei tecnici e 21% nei professionali, contro il 7,9% dei licei. Ora, nei tecnici e nei professionali si concentrano i figli dei gruppi sociali più deboli, dal punto di vista socio-economico e culturale, e i disabili. Il nostro sistema si fonda ancora su una forte segregazione sociale per indirizzi, a partire dai 14 anni. Questo quadro è confermato dai dati sull’abbandono scolastico: nella scuola superiore, l’abbandono scolastico calcolato come differenza tra gli iscritti all’inizio di un quinquennio (calcoli di Tuttoscuola) è del 24,7% (a.s. 2017-18), ma è ben più alto nei tecnici (27,3%) e professionali (32,1%) rispetto ai licei (19,2%).

Va aggiunto un elemento fondamentale, per comprendere la gravità del quadro: oggi l’obbligo scolastico in Italia non è più a 14 anni, come nel 1960, ma a 16 anni. Ci troviamo quindi di fronte a una discriminazione sociale che per certi versi non si discosta da quello di sessant’anni fa: in pieno obbligo scolastico, a 14 anni, i ragazzi entrano in un sistema selettivo e fortemente differenziato per indirizzi, in cui questi sono gerarchizzati e segreganti dal punto di vista sociale. Questo perché il sistema scolastico è rimasto fermo a una struttura del secondo ciclo fortemente differenziata e selettiva.

È qui il nodo che la nostra politica scolastica non ha saputo affrontare: la riforma della scuola secondaria di secondo grado. Dopo la riforma della scuola media, in molti hanno visto subito che il passo successivo doveva essere la riforma della scuola superiore. Lo stesso Codignola lo ha visto lucidamente (“la scuola media si è trovata ad operare come un’isola riformata, in mezzo a strutture antiquate”, scrive nel 1977); già tra gli anni sessanta e settanta vengono presentati diversi progetti per un percorso unitario fino ai sedici anni. Nessuno è andato in porto. Negli anni ottanta e novanta questo fronte è stato abbandonato. La legge Berlinguer del 2000 ha ripreso in mano la riforma dei cicli scolastici, ma, come è noto, è stata subito abrogata dal governo successivo. Da allora la struttura tradizionale della scuola superiore non è stata mai toccata. Il risultato è questa contraddizione stridente: il nostro sistema è selettivo, cioè boccia e esclude, nel momento più fragile dell’obbligo, quello conclusivo. Tradisce così, nel passaggio alle scuole superiori, la sua vocazione democratica e inclusiva. Il passaggio dalla scuola di massa alla scuola democratica fallisce a causa della quasi intoccabilità delle scuole superiori, ereditate dal sistema liberale prima e gentiliano poi. La sfida, la stessa che ha posto Codignola nel 1960, ora si colloca qui: la riforma dei cicli, pensare cioè una formazione unitaria e generale fino a 16 anni, affinché tutto il periodo dell’obbligo sia di crescita della persona e del cittadino, e non ne predetermini socialmente il destino.

Consulta le fonti


Una scuola democratica per una società democraticaTristano Codignola,
Scarica la fonte

La Fondazione ti consiglia

Resta in contatto