Putin e il sogno di una “Piccola Russia” nei Balcani

approfondimento


Articolo tratto dal N. 40 di I complici di Srebrenica Immagine copertina della newsletter

Sindrome da secondo fronte

Dall’invasione dell’Ucraina ordinata dal presidente russo Vladimir Putin nel febbraio 2022, è così che – con una formula ad effetto – potremmo sintetizzare l’angolo con cui l’Occidente guarda sempre di più ai Balcani.  

Segnata da faglie di instabilità e tradizionalmente permeata di influenze russe, storiche, economiche, culturali e religiose, l’Europa sud-orientale è stata presto individuata come possibile teatro di manovre diversive da parte del Cremlino.  

Un “secondo fronte” appunto, dove creare situazioni di disturbo in grado di assorbire parte delle energie di Unione europea e Nato o addirittura – secondo le visioni più allarmistiche – riaccendere le braci dei conflitti degli anni ‘90, che hanno decretato la fine violenta della Jugoslavia lasciando ferite aperte e questioni irrisolte.  

Tre anni più tardi, le previsioni più apocalittiche non si sono avverate, e il secondo fronte è rimasto in buona parte dormiente. Questo non significa però che la Russia di Putin abbia smesso di guardare ai Balcani secondo le linee tradizionali del proprio sguardo strategico: un’area in cui è possibile mettere in difficoltà l’Occidente mantenendo una tensione latente ma palpabile con un impegno relativamente basso, mantenendo al tempo stesso alcuni capisaldi diplomatici ed economici.  

Come ad esempio il Turkstream, l’ultimo gasdotto che, lontano dai riflettori, attraverso Turchia e Bulgaria continua a trasportare gas russo verso l’Europa centrale.  

Putin e l’equilibrismo di Vučić 

Al centro della strategia russa resta la Serbia: gli storici legami tra Belgrado e Mosca si sono significativamente rafforzati durante la lunga battaglia sullo status del Kosovo. La Russia ha sempre difeso a spada tratta la posizione serba, considerando la dichiarazione di indipendenza del Kosovo illegale (per poi cambiare idea sull’inviolabilità dei confini prima con l’annessione della Crimea e poi con l’invasione dell’Ucraina nel 2022).  

Belgrado ha ricambiato, rimanendo insieme alla Bielorussia l’unico paese in Europa a non aver imposto sanzioni a Mosca. Una mossa che ha avuto un importante corollario: nei mesi successivi all’attacco contro Kyiv, alcune centinaia di migliaia di russi hanno utilizzato la Serbia come piattaforma per uscire dalla Russia, mentre più di 50mila sono rimasti a vivere nel paese.  

Una “Piccola Russia”, fatta soprattutto di giovani, in fuga dalle conseguenze della guerra, che potrebbe ridisegnare nel lungo periodo il rapporto tra i due paesi.  

Nel frattempo, scosso da mesi di proteste studentesche contro il suo regime autoritario, il presidente serbo Vučić continua il suo gioco di difficile equilibrismo tra Mosca e l’Occidente: lo spazio informativo serbo resta largamente favorevole alle posizioni di Mosca, ma negli scorsi mesi armi serbe sono arrivate in sordina all’esercito ucraino. 

L’influenza in Kosovo e Bosnia 

Kosovo e Bosnia Erzegovina, i paesi più segnati dai conflitti degli anni ‘90, restano le faglie lungo cui la Russia riesce a mettere più in luce l’irresolutezza di Bruxelles e Washington nel creare stabilità e prospettive sul lungo termine nella regione.  

Il governo kosovaro ha più volte accusato Mosca di lavorare contro l’integrità del paese e di fomentare tensioni con la minoranza serba. Tensioni sfociate nel settembre 2023 nello scontro armato di Banjska – nel Kosovo settentrionale – tra miliziani serbi e polizia kosovara, che ha portato a sette morti e ha riacceso il timore di un nuovo conflitto aperto tra Belgrado e Pristina.  

In Bosnia Erzegovina, intanto, Putin si è ritagliato sempre più apertamente il ruolo di mentore e protettore di Milorad Dodik, padre-padrone della Republika Srpska, l’entità serba di Bosnia, che ha usato più volte la sponda russa per minacciare una rottura della fragile convivenza emersa dalla fine della guerra con gli accordi di Dayton.  

Nuovi “piccoli Putin”

A fine marzo dall’ennesimo viaggio di Dodik a Mosca, in sfida all’ordine di cattura internazionale emesso dalle autorità del governo centrale di Sarajevo, che accusano il presidente della Srpska di aperto separatismo 

Più in generale, in tutta l’area (e non solo) la Russia emerge oggi come punto di riferimento politico e ideologico per le forze politiche conservatrici e scettiche o apertamente contrarie al pacchetto di sviluppo e valori rappresentate – almeno simbolicamente – dall’Unione europea.  

Per molti leader dei Balcani, il Putin “uomo forte” rappresenta, in modo esplicito o implicito, un modello da seguire. Una dinamica paradossalmente rafforzata dalle dinamiche di un’UE sempre più concentrata sui Balcani in termini di “politiche di sicurezza” e non più di allargamento dello spazio democratico e dei diritti nel Vecchio continente.  

Una visione che, nel tentativo di limitare l’influenza russa nella regione, e di scongiurare il tanto temuto secondo fonte, rischia sul lungo di aprire le porte a nuovi “piccoli Putin” nel cuore d’Europa. 

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