Lo scorso novembre, in quaranta Paesi, migliaia di lavoratori e lavoratrici
dei magazzini Amazon sono scesi in strada per rivendicare compensi dignitosi e chiedere al gigante statunitense una seria attenzione al clima e all’ambiente.
A febbraio, mezzo milione di inglesi ha scioperato per pretendere aumenti salariali uniti a condizioni di lavoro migliori, in quella che è stata vissuta come la più grande mobilitazione sindacale degli ultimi dieci anni oltre la Manica. E poi la Cina, con i dipendenti dello stabilimento Foxconn in rivolta; la Francia «con l’esasperazione delle classi medie che – scrive Francesco Saraceno su “Domani” – rimettono in discussione un contratto sociale calpestato per decenni dalle élite»; la Germania dove, a fine marzo, uno sciopero massiccio – il più sentito degli ultimi trent’anni – ha paralizzato il Paese per chiedere, di nuovo, stipendi più alti.
Sono movimenti collettivi “di classe” che, come scrive Elia Zaru, lottano per migliori condizioni contrattuali e salariali alla luce della crescente inflazione, dell’aumento del costo della vita e delle incertezze a cui il nostro presente è consegnato.
E allora, a qualsiasi punto del mondo guardiamo, una data come il Primo Maggio serve a ricordarci quanto il lavoro ingiusto, fragile, provvisorio, sottostimato, sottopagato, continui a rappresentare un territorio di conflitto, la grande questione capace di accendere le coscienze e coagulare attorno a sé altre visioni, altre battaglie. Perché il lavoro resta il principale strumento di emancipazione, personale e collettiva, e la costruzione di un futuro accogliente e fertile sollecita tutti a ritrovare la voce, rompere la prospettiva indolente di chi sta fermo a guardare, e insieme provare a smontare i tratti voraci di un capitalismo che esaspera produzione, accumulo e competizione. Esserci, con le parole e con i gesti.
Leggi l’ebook gratuito Un piano per il futuro della fabbrica di Firenze. Dall’ex GKN alla Fabbrica socialmente integrata.
Di più, significa guardare lungo, interrogandosi sugli impatti che la propria attività ha sulla società, sull’ambiente, sul territorio per ristrutturare i modi di fare impresa in senso più responsabile e lungimirante. È la strada che ci insegnano a percorrere le lavoratrici e i lavoratori della fabbrica GKN di Campi Bisenzio (Firenze) che, dopo la chiusura improvvisa dello stabilimento e il licenziamento collettivo dei 430 operai notificato via e-mail nel luglio del 2021, hanno saputo tradurre l’impeto della protesta in un piano per dare nuova linfa alla fabbrica, puntando sulla transizione ecologica e all’integrazione con il territorio, come racconta l’e-book Un piano per il futuro della fabbrica di Firenze. Dall’ex GKN alla Fabbrica socialmente integrata.
«Non dipende tutto da noi, ma dipende da noi tutti» ribadivano, assiepati davanti ai cancelli dello stabilimento, gli operai dell’ex GKN, consapevoli che la loro lotta convoca anche quella di altri.
Così le proteste dei rider, che sono diventate megafono delle rivendicazioni di una generazione precaria, in un conflitto urbano che sta portando a innovazioni anche sul piano sindacale. Lo racconta bene l’e-book Ultimo miglio. Lavoro di piattaforma e conflitti urbani, a cura di Maurilio Pirone, e sono proprio i fattorini del food delivery, emblema di una classe operaia che va in bicicletta e di ambienti urbani diventati gigantesche fabbriche senza pareti, a denunciare come le piattaforme stiano trasformando non solo i connotati delle nostre città, ma soprattutto le forme del lavoro e le sue tutele.
Leggi l’ebook Ultimo miglio. Lavoro di piattaforma e conflitti urbani a cura di Maurilio Pirone.
In assenza, spesso, di strategie contrattuali e istituzionali in grado di guardare avanti, il risultato è l’esclusione dei gruppi sociali più vulnerabili e la perifericità del lavoro nel discorso pubblico. A questo Mimmo Carrieri ha dedicato l’e-book Capitalismi fragili. Lavoro e insicurezza in una società divisa in due, in cui si chiede – in un quadro inasprito dai residui degli anni di pandemia e dall’allargarsi di sacche di insoddisfazione, tanto tra i lavoratori quanto nelle imprese – dov’è che sta andando il mondo del lavoro e quali sono le novità da cavalcare.
Insoddisfatti e non più disposti ad accettare contratti inadeguati sono, per esempio, i giovani. I dati del Ministero del Lavoro indicano che, nonostante nel 2022 siano aumentate le assunzioni, in molti preferiscono dare le dimissioni di fronte a contratti ibridi e gavette-sfruttamento. Scrivono Jacopo Caja e Jacopo Tramontano: «Se il contratto paga poco, oppure richiede troppe ore extra di lavoro, la scelta diventa quella di aspettare, e magari formarsi, incrementando le possibilità di trovare un’occupazione migliore in futuro.»
Grandi dimissioni o grande rimescolamento? Leggi l’articolo di Jacopo Caja e Jacopo Tramontano, “Il conflitto generazionale per il lavoro“.
Intanto, sono oltre 3 milioni, in Italia, gli under 34 che non studiano né lavorano, con una prevalenza femminile e un netto distacco rispetto alla media europea. A loro, lo scorso dicembre, abbiamo dedicato il workshop Politiche per l’attivazione dei giovani che, all’interno del ciclo Grammatica del lavoro, ha delineato possibili traiettorie di intervento a partire dal piano “Neet Working” promosso dal ministero del Lavoro e dal ministero per le Politiche Giovanili. Si tratta, come racconta Vito Di Santo nell’e-book A tempo determinato, di definire politiche capaci di coinvolgere i giovani difficili da raggiungere, appoggiandosi ai soggetti attivi sui territori, a cominciare dai Centri per l’impiego, passando per Garanzia Giovani, rinforzata secondo le indicazioni del Consiglio UE e del Parlamento italiano, oltre che di tante realtà giovanili.
C’è ancora tanto per cui farsi sentire. Salario minimo, politiche attive del lavoro e contrasto alla precarietà, misure di dignità sociale, lavoro di qualità, inclusione di genere, ridefinizione dei modelli di welfare: temi attorno a cui ragiona Maurizio Ferrera in Il lavoro in tempo di crisi. Tra il declino dello stato sociale e nuove povertà . Temi che continueremo a presidiare, conservando lo spirito inquieto di un Primo Maggio che si batte «per questo, per altro, per tutto».