Articoli e inchieste

Una Costituzione per il futuro

Riforme che promettono cambiamenti, ma rischiano di minare l’identità e l’equilibrio dello Stato 


Tempo di lettura: minuti

Se è vero, come è stato messo in luce, che la capacità trasformativa di una riforma non si misura nel numero di articoli revisionati, ma nel suo impatto strutturale, bisogna ammettere che le riforme costituzionali al momento al vaglio del Parlamento rappresentano uno tsunami costituzionale, la cui forza devastante è data proprio dal convergere di più episodi sismici che presi singolarmente potrebbero non destare il dovuto allarme, salvo poi manifestare la loro violenza generando onde anomale che non interessano solo la superficie, ma l’intera colonna d’acqua, sino in profondità.

Le onde del riformismo

L’impianto riformatore portato avanti in questi mesi, in effetti, si compone di più azioni legislative che interessano l’organizzazione politica, il sistema giudiziario, la struttura regionale: tante onde che non agitano solo lo Stato costituzionale, ma ne minano i pilastri, finendo con il modificare il nostro sguardo sulla Costituzione, sul suo valore, sulla sua funzione. Finendo, dunque, con il modificare la nostra identità, il nostro essere e ciò che ci aspettiamo di divenire in futuro.  

In particolare, la proposta di introdurre l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri avanzata dal governo Meloni con legge costituzionale (recante “Modifiche della Parte seconda della Costituzione per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri, il rafforzamento della stabilità del Governo e l’abolizione della nomina dei senatori a vita da parte del Presidente della Repubblica) costituisce un tentativo unico nel suo genere, pur collocandosi nel solco di una riflessione bipartisan assai arata da tutte le forze politiche. 

Di elezione diretta dei vertici costituzionali, infatti, si parla da anni. L’ossessione per la scelta diretta del capo è in sintonia con una serie di tendenze che si ritrovano ormai da decenni, tanto a destra come a sinistra. Ma la proposta oggi al vaglio della Camera dei deputati, dopo essere stata votata in prima deliberazione, nel giugno 2024, in Senato, si spinge molto più in là, proponendo l’adozione di una formula che non trova riferimenti nel quadro del diritto comparato, dal momento che anche le facili assimilazioni all’esperienza israeliana (1992-2001), spesso citata come un mantra, paiono non proprio calzanti. 

Giorgia Meloni

Il ritorno al passato o l’evoluzione necessaria?

Non voglio qui soffermarmi sul valore tecnico-costituzionale di questa norma, sulle sue criticità rispetto ad altre esperienze, sulla sua capacità di intercettare le vere “problematiche” cui, con più urgenza, bisogna porre rimedio nel nostro sistema. Mi chiedo, semmai, se, come annunciato, per assicurare stabilità, combattere il passaggio da un gruppo parlamentare all’altro da parte degli eletti (questo si intende con il termine transfughismo) e per consolidare le maggioranze sia davvero necessario scegliere l’elezione del Presidente del Governo nelle modalità indicate, prevedere l’esistenza di un premio di maggioranza costituzionalmente assicurato, subordinare l’elezione dei parlamentari alla scelta del capo dell’Esecutivo e, dunque, stravolgere la Costituzione. 

E la risposta è semplice: non nego che quella della revisione possa essere una via praticabile per dare nuovo vigore alla pianta costituzionale.

"Sono certa, però, che quella scelta sia la strada sbagliata, a meno di non voler far deragliare la vita istituzionale del Paese, abbandonando i binari della nostra identità costituzionale".

Una rivoluzione che porterà solo danni?

Nel caso di specie, infatti, siamo di fronte a un atto che incide così profondamente sull’intero impianto da determinarne potenzialmente uno snaturamento. Se questa riforma entrasse in vigore potremmo non essere più capaci di “riconoscerci”, perché non avremmo modificato solo alcuni articoli, ma il profilo identitario del nostro testo, la cui vocazione è prima di tutto e sempre quella di contenere il potere, di evitare sacche di monopolio, di costruire demani all’interno delle istituzioni.  

Il profilo antifascista della nostra Costituzione oggi, credo, potrebbe tollerare l’idea di una carica monocratica espressione immediata della volontà popolare, nonostante i nostri costituenti siano stati ben attenti a pretendere un profilo collegiale per gli organi direttamente eletti dal popolo. Ciò che invece certamente resta del tutto estraneo allo spirito della nostra Carta è l’ipotesi dell’uomo solo (e forte) al comando. 

La Fondazione ti consiglia

Restiamo in contatto