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La piramide della società artificiale 

Lavorare meno, lavorare tutti. Anche nell’era dell’IA la sfida resta la stessa di sempre

 


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“Lavorare meno, lavorare tutti”

La sfida dell’“Intelligenza artificiale” all’essere umano inaugura un nuovo tempo, ma  conferma una regola. 

Non è solo una questione di competenza manuale o tecnica. Se fosse così si potrebbe osservare che questa sfida esiste da almeno 250 anni, ovvero dall’ingresso della macchina nel ciclo industriale (eravamo più o meno negli ’60 del XVIII secolo e quella preoccupazione motivava le rivolte della plebe su cui con intelligenza ha scavato lo storico Edward P. Thompson). 

La macchina non era solo espulsione. Era anche inessenzialità, marginalizzazione. Alla fine, irrilevanza.

L’intelligenza artificiale sembra aver riaperto e dato nuove opportunità a questo percorso. 

Questo timore, o questa paura sembra archiviare (definitivamente?) un altro meccanismo automatico di pensiero su cui a lungo si è dispiegata la battaglia del mondo del lavoro subordinato volgendosi o auspicando un miglioramento. A lungo la lotta di chi lavora «sotto padrone» è stata per «lavorare meno, lavorare tutti». Il pensiero corrente era comunque portare a casa più tempo libero, e dunque, «lavorare meno».

Una promessa mancata: ridurre il tempo di lavoro

Ma come ha osservato moti anni fa Thomas Hylland Eriksen nel suo Tempo tiranno l’innovazione tecnologica non ha ridotto il tempo di lavoro, lo ha solo segmentato. Nel nuovo tempo digitale, ci troviamo a lottare per il diritto all’indisponibilità, per il diritto a vivere e pensare più lentamente! 

L’ingresso dell’intelligenza artificiale sarà sullo stesso solco: si ridurrà il tempo di lavoro, ma questo non vorrà dire lavorare di meno. Al contrario. La condizione inaugurata è quella di ricercare spasmodicamente risorse economiche per non perdere lo status acquisito. Il fine non è migliorare, ma non arretrare. 

Dunque, l’immagine è che la tecnologia non ci salva. Anzi conferma la nostra sudditanza e ci mette in una condizione di ansia cui nel frattempo siamo sempre meno capaci di far fronte.

Non solo.

Quella condizione di sommare lavori non garantiti per mantenere un livello di reddito, comunque per non perderlo, assottiglia sempre più la possibilità di accantonare o di creare risorse in grado di sostenere i marginali che nel frattempo crescono di numero. 

Il futuro sarà una società gerarchica, rigida e segnata da forti differenze: sopra pochissime persone accomunate da una grande ricchezza; sotto una fascia di percettori di reddito che dovrà sostenere una massa enorme, e in crescita, di «senza reddito».

Nel frattempo, il welfare (sanità pubblica, istruzione gratuita; accantonamento di soldi per la pensione di domani…) si eclissa e rappresenta un passato da cui ci stiamo congedando sempre più radicalmente. Sia nella sfera pubblica, sia in quella individuale.  

Dalla nuova economia lo Stato non ha alcun vantaggio in termini di gettito fiscale. Lo Stato sociale muore. Così come scompare la sanità pubblica, scomparirà anche la pensione. Perché la pensione non era un regalo, era riversamento di gettito fiscale o di risparmio accantonato. 

Che si fa?

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