“Capitale Naturale”, ovvero la truffa del secolo
di Paolo Cacciari
Il sintagma “capitale naturale” contiene almeno tre errori concettuali e apre la strada alla truffa del secolo.
Partiamo dalla truffa. L’attribuzione di un valore monetario ai “beni” (stock) naturali e ai relativi “servizi ecosistemici” (flussi) si risolve in un assalto generalizzato a ogni forma di vita da parte dei grandi agenti economici: le imprese e le banche. È in atto una colossale, conclusiva enclosure (recinzione) di tutto ciò che ancora rimane da privatizzare e incorporare nei cicli di produzione e di valorizzazione del capitale, compreso lo spazio extraterrestre. La trasformazione dei commons (aria, acqua, suolo, foreste, risorse minerarie, biodiversità, genomi e relativi processi generativi della vita) in commodities è, in realtà, una violenta espropriazione dei beni comuni. L’invenzione semantica del “capitale naturale” è il grimaldello per giustificare l’inclusione del vivente nel meccanismo della valorizzazione capitalista. «Tutto ciò che è vivo – ha scritto l’ecofemminista spagnola Joana Bregolat – è suscettibile di diventare un’opportunità da cui ottenere reddito sotto forma di interessi e rendite» (Bregolat, 2022).
Gli errori concettuali
Veniamo agli errori. Il primo errore è epistemologico: natura e capitale non sono entità equiparabili, non sono interscambiabili. Non esiste alcun “equivalente universale” capace di ridare vita a una specie estinta, nonostante i tentativi dei molti dott. Frankenstein. Non è nemmeno rimpiazzabile, nonostante gli sforzi della bioingegneria. La natura è di per sé vita, il capitale è morto.
Il secondo errore deriva da un pregiudizio antropocentrico: la natura, la biosfera, il creato, Madre Terra, Gaia, Pacha Mama – chiamiamola come vogliamo – è un dono ricevuto gratuitamente, non un oggetto, non una res esterna e separata da noi. Noi siamo natura.
Il terzo errore è di tipo scientifico ed è quello che compie l’economia politica mainstream. Prendere senza restituire, estrarre senza rigenerare, usare senza ricambiare comporta la rottura del ciclo metabolico che regola l’equilibrio dinamico tra le specie viventi (tra cui quella umana) e la biofisica. La fisiologia della natura è diversa da quella dei soldi. La natura fornisce la base biologica materiale, gli habitat, lo spazio vitale per ogni attività umana; comprese quelle che valorizzano il capitale. L’economia è un sottosistema dipendente dalla biosfera. C’è una gerarchia tra i due sistemi. Disarticolare e fare a pezzetti la natura, attribuirgli un prezzo – secondo l’assurda teoria, che maschera l’ipocrisia, per la quale la messa sul mercato della natura porta alla sua salvezza – comporta un rovesciamento di senso, un detourment, per usare un termine debordiano, con esiti paradossali e controproduttivi: il biocidio in corso sotto i nostri occhi, la catastrofe climatica, la sesta estinzione di massa, l’intossicazione chimica dei suoli, dei mari, dell’atmosfera, del sangue.
La posta in gioco
Vediamo ora qual è concretamente la posta in gioco. Il valore economico dei beni naturali è stato stimato in oltre 4 milioni di miliardi (4.000 trilioni), e questa potrebbe costituire una “leva finanziaria” capace di attivare un potenziale flusso di 125.000 miliardi all’anno, più di tutto il valore del Pil mondiale. L’individuazione di un nuovo così grande giacimento di valore, a cui poter attingere, trasformare in denaro e rimettere in circolazione, costituisce una inaspettata fortuna per le sorti stesse della boccheggiante economia. «Un vero colpo di genio», lo ha definito John Bellamy Foster, professore di sociologia presso l’Università dell’Oregon e direttore della Monthly Review (Foster, 2021).
Concretamente, la monetizzazione di una risorsa naturale si realizza con tre semplici mosse: 1) ottenere un titolo giuridico patrimoniale sul bene; 2) elaborare un progetto imprenditoriale di sfruttamento (asset), meglio se certificato Esg (Environmental Social Governance); 3) emettere dei titoli di credito (bond e simili) con rendite garantite dal flusso atteso di reddito generato dallo sfruttamento del bene. Financing for Nature, la chiamano, o anche Finanza sostenibile. Ma l’operazione incontra delle difficoltà. Le tecniche di trasposizione della natura nella contabilità nazionale non sono operazioni semplici (Femia, 2023). L’economia e la bio-geo-fisica usano sistemi e unità di misura disomogenei, non sovrapponibili, tanto che è richiesta una «mediazione culturale – come la chiama l’Istat – tra scienze della natura ed economia politica» (Istat, 2021). E qui cade il palco: provate a indovinare chi è destinato a prevalere nella guerra tra natura e capitale!
Riferimenti bibliografici
Istat, Economia e ambiente, una lettura integrata, contenuti di Aldo Femia e Angelica Tudini, coordinamento di Nadia Mignoli ed altri, 2021.
Bregolat, Joana, https://espacio-publico.com/intervencion/transicion-ecologica-o-monetizar-un-planeta-en-llamas, 2022.
Femia, Aldo, Ecosistemi e capitale naturale, in “Quaderni della decrescita”, anno 0, n.1. https://quadernidelladecrescita.it/2023/08/21/ecosistemi-e-capitale-naturale-linguaggi-per-ridurre-i-valori-degli-ecosistemi-a-valore-monetario/
Foster, John Bellamy, La difesa della natura: resistere alla finanziarizzazione della Terra, https://sinistrainrete.info/ecologia-e-ambiente/23561-john-bellamy-foster-la-difesa-della-natura-resistere-alla-finanziarizzazione-della-terra.html
L’equilibrio tra ecosistemi e sistema economico
A cura del Forum per la Finanza Sostenibile
Le attività umane generano impatti fortemente negativi sugli ecosistemi. Ogni giorno, infatti, nel mondo scompaiono circa 50 specie viventi, un tasso che si stima fino a 1.000 volte superiore a quello di estinzione naturale (ISPRA). Secondo stime del World Economic Forum, oltre la metà del PIL mondiale (circa $44 mila miliardi) è strettamente legata alle risorse naturali, con interi settori economici che dipendono direttamente dai servizi ecosistemici (per esempio, l’agricoltura e l’industria alimentare, il tessile, il turismo, l’edilizia).
Rischi e opportunità
La crescente consapevolezza del ruolo centrale del capitale naturale e dei rischi connessi al suo deterioramento ha portato a considerare la gestione della natura non solo in termini ambientali ma anche economici e finanziari. Esiste infatti una connessione diretta tra la stabilità dell’ecosistema naturale e quella del sistema economico: la perdita di diversità biologica implica un aumento del rischio di eventi estremi legati al clima e la compromissione della sicurezza alimentare e idrica. Inoltre, la perdita di habitat naturali e la riduzione delle specie possono portare a una diminuzione della produttività agricola e ittica, causando danni economici diretti per questi settori.
Nello specifico, i rischi fisici (connessi con l’alterazione degli equilibri ecosistemici e la perdita dei relativi servizi) e i rischi di transizione (derivanti dalla difficoltà di anticipare le evoluzioni del quadro normativo, del mercato di riferimento e in ambito tecnologico) possono avere impatti significativi sui rischi finanziari: il rischio di credito e di controparte, il rischio operativo, il rischio di mercato e il rischio di liquidità. Per questo, è importante riorientare il mercato dei capitali in modo da colmare il gap di risorse per la biodiversità (che arriva, secondo le stime del Paulson Institute, fino a $824 miliardi all’anno) e ridurre gli investimenti con impatto negativo sulla natura. I flussi finanziari pubblici e privati da riorientare ammontano a quasi $7.000 miliardi all’anno (UNEP).
Biodiversità e finanza
Il Forum per la Finanza Sostenibile ha pubblicato a giugno 2024 il paper “Finanza sostenibile e biodiversità. Una guida per gli operatori”, con l’obiettivo di rispondere alla domanda “Perché la biodiversità è rilevante per la finanza, e viceversa?” e fornire indicazioni per includere la protezione e il ripristino degli ecosistemi in politiche, processi e prodotti finanziari. Per farlo, gli operatori bancari, finanziari e del mercato assicurativo hanno a disposizione diversi strumenti, metodologie e approcci. In questo ambito, a fronte di risorse pubbliche insufficienti, le partnership pubblico-privato rappresentano una soluzione interessante per la salvaguardia degli ecosistemi.
Tra le migliori soluzioni ad oggi disponibili sul mercato ci sono indicatori che permettono agli investitori di analizzare i piani di transizione degli emittenti e prendere poi decisioni di investimento consapevoli. Gli approcci ESG delle esclusioni e del disinvestimento dai settori, le aziende e i Paesi con gli impatti più negativi sulla biodiversità consentono agli investitori di allineare i propri portafogli a specifici obiettivi di salvaguardia della natura e ri-orientare gli investimenti verso imprese con performance positive su questo fronte. Altri strumenti che possono essere utilizzati per finanziare progetti di conservazione o ripristino degli ecosistemi sono le obbligazioni sostenibili (green bond, Sustainability-Linked Bond) e il credito (Sustainability-Linked Loan). I certificati legati alla natura e i crediti di biodiversità permettono invece di attestare miglioramenti quantificabili. Sul fronte delle soluzioni assicurative, sono disponibili polizze ad hoc per mitigare i rischi fisici e di transizione, anche grazie a nature-based solution.
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