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La sinistra di fronte al cambiamento antropologico del XXI secolo 


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Come di consueto, faccio alcune riflessioni e domande per stimolare la discussione.

La fine del Ventesimo secolo e l’inizio di questo secolo hanno destabilizzato il quadro politico complessivo colpendo l’insieme dei partiti di governo e, forse ancora di più, la sinistra riformista europea.

Testo pubblicato nell’ambito dello speciale  La crisi della sinistra nel cambiamento antropologico del XXI secolo a cura di Elena Cadamuro.

Il grande shock degli anni ’70-’80

I problemi non sono veramente iniziati in quel momento. La crisi della sinistra inizia con il grande “shock” degli anni 70-80 con il mutamento del capitalismo, la fine della crescita in confronto ai decenni precedenti, il declino del mondo operaio (con sfumature a seconda dei diversi paesi), l’ascesa dell’individualizzazione (parola più valida che quella di individualismo perché indica una dinamica e suggerisce che la gente non è sola, ma cerca di elaborare una strategia personale che a volte non impedisce il ritorno ad azioni collettive).

Non significa una tendenza al declino che andrebbe tutto dritto e sarebbe irreversibile: bisogna ricordare che la sinistra è al potere nella metà degli anni ‘90 in tanti paesi, senza però riuscire a coordinarsi e a fare politiche comuni al livello europeo. Negli seminari precedenti abbiamo sopratutto parlato dell’economia e delle politiche economiche, ma la fine del Ventesimo secolo e i due primi decenni del nostro secolo sono caratterizzati da enormi altri mutamenti che formano sfide considerevoli per la sinistra.

Mutamenti sociali innanzitutto. Erano iniziati dapprima con la fine di un certo mondo operaio che formava la base classica dei partiti di sinistra (non significa che non ci sono più operai, ma non sono più gli stessi e questo ha un effetto sui sindacati che perdono iscritti), l’estensione ma anche la frammentazione dei ceti medi, il cambiamento del mercato del lavoro con la disoccupazione e, anche quando diminuisce, una precarizzazione che colpisce sopratutto le donne, i giovani e gli immigrati, l’accentuazione del processo di individualizzazione, l’aumento delle ineguaglianze sociali, generazionali, di genere, di territori, l’inizio delle preoccupazioni ecologiche. Questi mutamenti non scappano ai partiti di sinistra che, bisogna dirlo, cercano di capirli più o meno bene e tentano di dare delle risposte.

Aumento delle ineguaglianze sociali, precarizzazione e immigrazione
Aumento delle ineguaglianze sociali, precarizzazione e immigrazione

Mutamenti della politica con una diffidenza crescente verso la politica e i politici, diffidenza variabile secondo i paesi, diffidenza però che spiega l’astensionismo più diffuso, diffidenza registrata anche nei sondaggi. La politica allo stesso momento è sempre più presidenzializzata, personalizzata e mediatizzata. Questi mutamenti mettono in difficoltà i partiti di sinistra, sopratutto se erano partiti di massa, anche perché la loro ideologia fondata sull’eguaglianza frena un po’ (dipende ancora dai partiti) l’accettazione della personalizzazione e della mediatizazzione politica.

Mutamenti di natura antropologica, infine, con la diversità sempre più forte delle società legate al peso crescente dell’immigrazione soprattutto in paesi in pieno declino demografico con delle conseguenze in termini di cultura (l’Islam è mal percepito dagli europei, anzi fa paura dopo gli attentati dei terroristi islamici) e di modo di vita. Ma diversità anche perchè ci sono richieste e aspettative venute da numerose componenti della società, innanzitutto, dalle donne, ma anche di tutte le minoranze culturali, sessuali, etniche ecc. Ma questi mutamenti sono anche legati all’impatto della globalizzazione e dell’europeizzazione, con un contrasto tra quelli che ne approfitano, possono inserirsi dentro – gli strati sociali che hanno un reddito abbastanza alto, un buon livello di istruzione, che vivono nel cuore delle città e che parlano diverse lingue – e quelli che subiscono queste trasformazioni. Ultimo elemento chiave, c’è la presa di coscienza sempre più evidente del cambiamento climatico che trasforma tutto, anche nella vita quotidiana.

In questo contesto, come sappiamo dalla fine dell’ultimo secolo ai nostri giorni, il populismo è cresciuto. L’ascesa dei populisti di destra, e in una misura minore di sinistra, è dovuta principalmente a tre elementi: la crisi della politica, le trasformazioni economiche e sociali delle società, la crisi identitaria e culturale che risulta della diversità delle società europee, e specialmente ma non unicamente della crisi dei modelli di integrazione dell’immigrazione.

Perchè la sinistra entra in crisi?

Ho delineato i principali elementi del contesto ma si tratta di capire cosa è successo ai partiti di sinistra di fronte a questo mutamento antropologico. Il fatto principale (non esclusivo) è che questi partiti hanno perso il sostegno della maggioranza dei ceti più popolari. Sia perché queste categorie non votano più, sia perché, quando votano, scelgono i partiti populisti di destra e in una maniera molto minore quelli di sinistra.

Come spiegare questa perdita? Ci sono diverse ipotesi. A causa della disillusione delle politiche pubbliche della sinistra al potere negli anni ’90, come dicono gli esponenti della sinistra radicale? Ma è passato un quarto di secolo, e dunque non sembra molto convincente questa spiegazione. Perché i partiti di sinistra non rispondono, malgrado il lavoro programmatico che hanno fatto, alle aspettative dei ceti popolari, aspettative venute da queste categorie e/o da i partiti populisti di destra? Ma quali sone le aspettative di questi ceti? Richieste di sicurezza e di protezione sociale perché soffrono delle ineguaglianze? Certamente, ma non solo.

La sinistra perde il consenso dei ceti popolari
La sinistra perde il consenso dei ceti popolari

In effetti, i partiti della sinistra riformista ne parlano in continuazione e fanno delle proposte, ma non sembrano essere ascoltate. Significa che ci sono altre preoccupazioni di questi ceti popolari alle quali la sinistra non risponde o risponde in una maniera sbagliata. Tra di loro sono registrate attraverso tante indagine delle richieste di protezione contro la delinquenza quotidiana e anche delle reazioni xenofobe, a volte razziste, che mettono in disagio i partiti di sinistra. Forse si può anche dire che c’è una forma di ribellione di questi ceti popolari per la loro condizione sociale, contro l’immigrazione percepita come una minaccia e contro le politiche anti-riscaldamento climatico che pesano molto su di loro (con l’accusa che queste politiche sono elaborate da i “bourgeois” dei centri delle città contro gli interessi delle periferie, le piccole città e il mondo rurale).

Ribellione contro l’interesse molto marcato dei partiti di sinistra per tutte le minoranze con “policies” in favore di queste categorie, “dimenticando” le politiche sociali classiche che possono sembrare meno importanti. Ribellione anche contro la globalizzazione e l’Europa che sembrano penalizzare questi ceti ala ricerca di certezze, di riferimenti che trovano più facilmente nell’offerta dei populisti di destra che parlano di autorità e di nazione, e, alcuni di loro, di famiglia e di Dio. Ribellione infine contro i partiti di sinistra meno presenti “on the ground”, divenuti macchine burocratiche che esistono solamente al momento del voto, contro la loro oligarchia, il loro personale accusato di essere distaccato della vita quotidiana e delle realtà “popolare”. Insomma, una ribellione sfruttata e esacerbata dai populisti di destra che saprebbero proporre una narrativa seducente fondata su una forma di nostalgia del passato idealizzato, un racconto del presente e una indicazione del futuro.

Ma come mai la sinistra ha perso questa battaglia? È il risultato delle sue debolezze politiche e culturali, della sua incapacità ad ascoltare i lavori delle scienze sociali, la testimonianza del suo divorzio con la società, il suo fallimento di progettualità? O, ancora, è il risultato di una scelta più o meno cosciente, che assume che i ceti popolari siano perduti e che siano condannati a sparire, che non votano, e dunque è meglio puntare sul resto della società, appunto sulla gente con un reddito abbastanza confortevole, che vive in città e che ha un livello di istruzione alto?

Ecco il problema attuale e del futuro della sinistra. C’è sempre un “cleavage” destra-sinistra, fondato per riprendere le categorie del grande politologo Stein Rokkan su due dei “cleavage” che lui indicava: capitale-lavoro, centro-periferia (anche se il loro contenuto è profondamente cambiato), sapendo che le culture politiche classiche di destra e sinistra non sono sparite o meglio hanno una durata di vita più lunga che la durata di vita dei partiti? O invece siamo ormai entrati in un altro mondo, nel quale tutto è frammentato, tutto è fluido, perchè i partiti tradizionali si dividono – specialmente i partiti di sinistra – su tanti argomenti fondamentali: l’Europa (più Europa o più nazione?), la globalizzazione (apertura al mondo versus chiusura?), le politiche ecologiche (farle al più presto o limitarle?), l’immigrazione (ridurre i flussi migratori e imporre politiche dure di assimilazione o aprire i confini e rispettare le differenze culturale?), sulla democrazia (promuovere e aggiornare la  democrazia liberale e rappresentativa o sviluppare la democrazia diretta?), su i valori in un contesto dove l’Europa in generale e la sinistra in particolare pesano di meno nel mondo (difendere l’universalità dei valori occidentali o invece criticarle il passato dell’Occidente e riconoscere le specificità culturali con effetti diretti sul posizionamento in politica internazionale come si vede attualmente a proposito della Medio Oriente  o con la guerra in Ucraina?). La sinistra deve risolvere al più presto questi dilemmi.

 

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