Il primo incontro con Ustica
Nel 1991 ero a metà del liceo. Una mattina arrivò non so come la notizia davanti a scuola – come ci arrivavano le notizie allora, prima dell’avvento di internet e dei cellulari? – che in piazza c’era una manifestazione per Ustica. Per me, allora, Ustica era il nome di un fatto grave ma allo stesso tempo un po’ vago: sapevo dai telegiornali che si trattava di una strage e che c’entrava un aereo.
Vivendo a Bologna, le manifestazioni cittadine per chiedere giustizia e ricordare stragi purtroppo non erano momenti eccezionali, quanto piuttosto delle consuetudini civili, di cui persino bambini e ragazzi percepivano il valore e il dolore. Quella mattina, però, la manifestazione non prese la forma di un corteo: l’appuntamento era presso un cinema, dove l’Associazione dei Parenti delle Vittime della Strage aveva organizzato la presentazione di un film, Il muro di gomma. Quello fu il primo incontro, per me, con la vicenda del DC-9 Itavia, con l’Associazione e la sua presidente, Daria Bonfietti, sorella di una delle vittime.

Nel cielo e nel mare
Per la strage di Ustica, gli anni Novanta furono un decennio cruciale: l’inchiesta passò nelle mani del giudice istruttore Rosario Priore, che iniziò un lavoro di indagine molto approfondito, ascoltando centinaia di testimoni, richiedendo perizie e rogatorie internazionali. Questo nuovo impulso all’inchiesta giudiziaria fu possibile anche grazie all’attenzione dell’opinione pubblica, sollecitata dalle inchieste giornalistiche, i programmi televisivi, le commemorazioni. In particolare, fu proprio il film di Marco Risi, presentato nel 1991 in concorso alla 48ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, ad avere un ruolo di primo piano nella creazione di un immaginario attorno alla strage e di una chiave di accesso al complicatissimo quadro della situazione.
Per una strage senza luogo – benché paradossalmente quella il cui nome è più indissolubilmente legato a un toponimo, quello di un’isola di natura vulcanica con un carico storico di terra di confino, quindi di distanza e dolore – la creazione di un immaginario, nel senso di un sistema di immagini mentali capaci di ancorare le informazioni e le conoscenze, era fondamentale. Il luogo di questa strage è infatti un punto del cielo – resta la coordinata dell’ultimo contatto radio – e un punto nel mare dove, quasi dieci anni dopo il fatto, furono recuperati i pezzi dell’aereo. Un luogo nel Tirreno tra l’isola di Ponza e quella di Ustica.
La verità inabissata
Nel film si racconta il primo decennio seguito alla scomparsa e l’inabissamento del DC-9 Itavia, seguendo il lavoro di un giornalista d’inchiesta del Corriere della Sera inviato a Palermo (ovvero, l’esperienza di Andrea Purgatori, che contribuì anche alla sceneggiatura). La narrazione copre l’arco dei fatti avvenuti fino ad allora, dalla sera del mancato atterraggio, all’inizio dei lavori della commissione d’inchiesta e del percorso giudiziario. Il monologo finale di Corso Salani, l’attore che interpreta il giornalista, si chiude con queste parole, dettate per telefono alla redazione:
«Ci sono voluti dieci anni, dieci anni di bugie, dieci anni di perché senza risposta. Perché chi sapeva è stato zitto? Perché chi poteva scoprire non si è mosso? Perché questa verità era così inconfessabile da richiedere il silenzio, l’omertà, l’occultamento delle prove? C’era la guerra quella notte del 27 giugno 1980: c’erano 69 adulti e 12 bambini che tornavano a casa, che andavano in vacanza, che leggevano il giornale, o giocavano con una bambola. Quelli che sapevano hanno deciso che i cittadini, la gente, noi non dovevamo sapere: hanno manomesso le registrazioni, cancellato i tracciati radar, bruciato i registri, hanno inventato esercitazioni che non sono mai avvenute, intimidito i giudici, colpevolizzato i periti. E poi, hanno fatto la cosa più grave di tutte: hanno costretto i deboli a partecipare alla menzogna, trasformando l’onestà in viltà, la difesa disperata del piccolo privilegio del posto di lavoro in mediocrità, in bassezza. Ora, finalmente, mentre fuori da questo palazzo, dove lo Stato interroga lo Stato, piove, a molti sembra di vedere un po’ di sole. Aspetta. Queste ultime tre righe non mi piacciono. Aggiungi soltanto… Perché?».

I-Tigi storia di un volo interrotto
Per cercare di rispondere alle tante incognite e sciogliere i dubbi, il governo finanziò il recupero del relitto del DC-9, che si svolse in due campagne sottomarine: la prima effettuata tra il 1987 e il 1988 dalla società francese Ifremer (Institut français de recherche pour l’exploitation de la mer), la seconda nel 1991 dalla società inglese Wimpol. Alla storia dell’aereo, del volo interrotto e dei suoi pezzi recuperati dagli abissi, è dedicato nel 1994 un capitolo di Staccando l’ombra da terra di Daniele Del Giudice.
“Se qui ci fosse un capitolo su Ustica, dovrebbe essere la storia dell’aereo. Sarebbe la storia di un aeroplano finito in fondo al mare e riemerso dalle acque, una creatura di metallo inabissata e risorta, come in un racconto mitico, qualcosa fatto per l’aria e che finisce in acqua, l’acqua sarebbe peggio di ogni altra cosa, peggio che la terra o una montagna, stridente per contrasto, l’acqua fa più paura, tremila metri sotto il livello del mare, tremilasettecento, e poi dal mare risalito pezzo a pezzo, e ogni pezzo rimontato con cura attorno al simulacro, come è chiamato il finto scheletro nell’hangar, l’ossatura di servizio cui ogni pezzo venne fatto aderire ricalcando la forma dell’aereo”.
A partire da questo testo e soprattutto dalla pubblicazione nell’agosto 1999 della sentenza-ordinanza del giudice Priore – che definisce come l’aereo fosse stato abbattuto «a seguito di azione militare di intercettamento» in un «atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata» – in occasione del ventesimo anniversario della strage viene presentato a Bologna I-Tigi Canto per Ustica, scritto da Marco Paolini e Daniele Del Giudice. Protagonista dello spettacolo è – ma sarebbe meglio dire sono – I-Tigi: India Tango India Golf India, il nome di quel particolare DC-9 nel linguaggio aeronautico, che nella narrazione di Del Giudice e Paolini diventa la pluralità dei suoi frammenti inabissati e recuperati. La strage dovrebbe, più precisamente, chiamarsi «strage di I-Tigi» (come per il treno Italicus, o per il Rapido 904).
Un luogo per il relitto
La costruzione di un immaginario attorno alla strage trova nel Canto un altro importante momento: come scrivono i due autori «La storia del DC-9 I-Tigi è di quelle che vanno raccontate perché contengono tutti gli elementi della tragedia classica, come l’insepoltura, la mancanza di giustizia, il confronto impari tra vittime e potere». Ed è proprio il relitto a essere oggetto nel 2001 di un Protocollo d’Intesa firmato dal Ministero della Giustizia, quello per i Beni e le Attività culturali, la Regione Emilia-Romagna, la Provincia e il Comune di Bologna in cui si stabilisce che alla fine dell’iter processuale il DC-9 I-Tigi potrà essere trasferito a Bologna per la creazione di un museo memoriale, che l’Associazione dei parenti inizia a pensare fin dal 1992 e che prende corpo nel 2007, con l’intervento – colmo d’emozione e rispetto – dell’artista francese Christian Boltanski.
O meglio, per la creazione di un luogo della memoria – nel senso codificato dallo storico francese Pierre Nora – di una vicenda cui, dando il nome Ustica, si è creato un legame, un vincolo, con un toponimo, benché impreciso: nella storia di questa strage i luoghi sono tanti, come i nodi di una rete. Bologna e Palermo, gli aeroporti interessati da quel volo, Ustica e Ponza, le isole che definiscono il tratto di mare dove è precipitato l’aereo. Ma anche tutti i luoghi emersi durante l’indagine, come i centri radar di Roma-Ciampino, Licola, Marsala, Poggio Ballone, entrati nell’immaginario degli italiani grazie al cinema, al teatro, alla narrazione e all’arte. Guardando più attentamente la «strage di Ustica», relegata all’isola del confino, coinvolge l’intero Paese. Nell’ottobre 2024 il Comune di Bologna, la Regione Emilia-Romagna e l’Associazione dei Parenti delle Vittime hanno creato la Fondazione Museo per la Memoria di Ustica per continuare a far crescere la consapevolezza dell’importanza di questa vicenda, e dei temi ad essa collegati, nella storia d’Italia, e del Mediterraneo.