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Milano rischia di essere vittima della sua autonarrazione?


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Il “modello Milano” ha ormai distorto la percezione sulle criticità della città. Il rischio è che il piano di sviluppo per il 2030 sia rivolto a una Milano che esiste solo sulle brochure delle campagne marketing.

L’immagine che Milano vorrebbe dare di sé è quella di una metropoli globale che cresce attraendo risorse dall’esterno. La città si racconta come un luogo in crescita capace anche di affrontare le contraddizioni che la crescita porta con sé. Si tratta di un’immagine legittimata dai report redatti dall’Osservatorio Milano tra il 2017 e il 2019: a partire da Expo 2015, il capoluogo lombardo ha visto aumentare gli investimenti diretti esteri e in particolare gli investimenti real estate. Sembrerebbe che l’attrattività della città dal punto di vista degli investitori abbia consolidato la dimensione del capitale umano qualificato che vi lavora. Questo avrebbe irrobustito il sistema della formazione nella sua componente secondaria e terziaria. Ma è proprio così? 

Un’analisi dettagliata dei dati disponibili conferma solo un primato di Milano: quello misurato dal valore dell’indice “Top immobiliare”. In particolare, i valori rilevanti per cogliere la dimensione del capitale umano appaiono decisamente bassi quando si effettua il confronto con Barcellona, Lione, Monaco e Stoccarda (le città che l’Osservatorio stesso considera rilevanti per l’esercizio comparativo): Milano occupa il gradino più basso del podio quando si guarda alla percentuale dei ricercatori sul totale degli occupati, alla percentuale degli occupati nei settori scientifico-tecnologici con istruzione terziaria rispetto alla popolazione, alla percentuale della popolazione fra i 30 e i 34 anni con istruzione terziaria.

La cifra investita in ricerca e sviluppo appare molto bassa: in media sotto i 500 euro per abitante, quando Lione si colloca al di sopra degli 800 euro, Monaco sopra i 1400 euro e Stoccarda sopra i 2000 euro. 

Scarsa integrazione dei giovani sul mercato del lavoro

Al contempo – come riconoscono anche gli autori del report redatto nel 2019 dall’Osservatorio – “Milano continua a soffrire soprattutto la scarsa integrazione dei giovani sul mercato del lavoro, parametro che la vede per il terzo anno fanalino di coda nel confronto tra le metropoli del Vecchio Continente” (Assolombarda e Comune di Milano, 2019, pp. 71-72).

Milano

Le cose sembrerebbero diverse dalla narrativa dominante anche per quanto concerne la capacità di affrontare le debolezze che accompagnano il modello di crescita trainata dagli investimenti esteri nell’immobiliare. Un recente studio (Lucarelli 2022) mostra che il modello di sviluppo della città ha avuto conseguenze molto rilevanti sul mercato immobiliare, spingendo in alto i prezzi delle case e i canoni di locazione. Ciò ha ampliato i divari fra gli abitanti dei diversi quartieri della città. Si può fotografare la sostenibilità economica riferita ai diversi quartieri utilizzando un indice dato dal rapporto fra le spese annuali e i redditi imponibili annui calcolato per il 2020 (cfr. Lucarelli, 2022, pp. 49-50).

Ciò che emerge è un quadro preoccupante: se si considera una famiglia monoreddito composta da una coppia senza figli che vive in un bilocale in affitto, ben 22 zone sulle 35 complessive in cui è stata suddivisa la città sono caratterizzate da una situazione di insostenibilità economica.

Tra queste, 18 possono essere considerate caratterizzate da una seria insostenibilità economica. Fanno parte di questo insieme tutti i quartieri che si collocano oltre la circonvallazione. 

Questa fotografia sembra coerente con quanto mostrato dall’analisi di lungo periodo condotta da Calafati et alii (2020) che segnala fra il 1991 e il 2011 una chiara dinamica demografica negativa del comune di Milano e un netto incremento demografico che interessa i comuni di I e II fascia che definiscono le periferie del capoluogo lombardo: “La specularità della (positiva) dinamica demografica dei comuni di I e II fascia rispetto alla (negativa) dinamica del centroide non deve essere interpretata come la fine della città ma come un’evidenza (empirica) che corrobora la tesi della formazione della città-di-fatto” (Calafati et alii, 2020, p. 16).

Lo studio – che invita ad affrontare i problemi politici della città senza limitarsi ai confini amministrativi comunali, ma per l’appunto guardando alla città-di-fatto, cioè la “Grande Milano” – sottolinea anche che i cambiamenti che interessano sia i quartieri della città che i comuni di I e II fascia stanno conducendo a una polarizzazione spaziale della produzione dei servizi.

Abbiamo a che fare con una rarefazione dei fattori che costituiscono il welfare spaziale (nel senso di Munarin e Tosi, 2021) man mano che ci si muove dal centro verso le periferie. Ciò comporta un incremento dei costi collettivi calcolati sulla “Grande Milano”, costi che si localizzano in modo disperso nello spazio (Camagni, Gibelli, Rigamonti, 2002). Pensiamo alla gestione del verde pubblico che interessa gli spazi interurbani, alla concentrazione delle situazioni di fragilità sociale in alcune periferie, alla eccessiva mobilità inquinante che potrebbe essere notevolmente ridotta solo pensando a un piano che coinvolga il centro e le periferie.

Contraddizioni del “modello Milano”

Tuttavia queste contraddizioni non emergono dal “modello Milano” narrato nell’ultimo Piano di Governo del Territorio della città (PGT) che è stato approvato dal Consiglio Comunale nell’ottobre 2019 e che ha fissato gli obiettivi verso Milano 2030. Tutto il documento si regge su un’analisi dei dati che guarda anzitutto alla crescita della popolazione. Ma il modello previsionale adottato si regge su ipotesi evolutive molto restrittive che sovrastimano l’incremento della popolazione fra il 2016 e il 2030 e che non tengono conto delle dinamiche demografiche fra il comune di Milano e i comuni limitrofi che abbiamo prima richiamato.

Le dinamiche occupazionali che caratterizzano Milano sono descritte – limitatamente al periodo 2008-2014 – segnalando alcuni aspetti problematici (il 49% degli occupati risiede fuori dal territorio cittadino), ma dando grande rilevanza allo slancio del settore turistico (guardando ai dati riferiti al 2016) e sottolineando l’imponente crescita del turismo proveniente dalla Cina e dalla Russia. In questo caso sarebbe bene riflettere sia sui limiti evidenti di un modello occupazionale incentrato sul settore turistico sia sul fatto che il contesto internazionale è profondamente mutato.

Il PGT riconosce la “scomposizione del vecchio modello sociale urbano” insieme al rischio di una crescita squilibrata “incapace di costruire un saldo, competitivo e coeso tessuto economico-sociale”.

Il rischio di una crescita squilibrata non viene tuttavia approfondito in modo adeguato all’interno del PGT. Le strategie che sembrano riferirsi a questo rischio sono esclusivamente quelle relative al cosiddetto “affitto sociale”, una espressione intrigante che si sostanzia in tre azioni:

  1. il recupero delle porzioni di patrimonio pubblico oggi sfitto;
  2. il potenziamento del comparto dell’affitto accessibile attraverso “misure di incentivo e sostegno pubblico alle operazioni private con l’obiettivo di massimizzare e rendere sostenibili piani di sviluppo privati dedicati alla locazione a canoni contenuti”;
  3. il supporto nel rinnovamento del patrimonio di edilizia popolare esistente, all’interno di operazioni immobiliari private.

Sarebbe auspicabile un dibattito approfondito e ampio sui contenuti del PGT milanese, poiché esso rappresenta lo strumento principale per la pianificazione urbanistica a livello comunale e perché dovrebbe costituire la cartina di tornasole delle capacità espresse dall’amministrazione nel definire un modello di sviluppo coerente con la città e la cittadinanza. 

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Non basta mantenere il focus sul processo di internazionalizzazione della città. Il consolidamento di un modello di città che attrae investimenti soprattutto rivolti all’immobiliare presuppone la crescita di criticità ben superiori rispetto a quelle che attualmente sono accennate nelle analisi che i policy maker fanno proprie. Occorrerebbe guardare realisticamente al vero stato del capitale umano e sociale della città, assumendo una prospettiva sistemica per correggere le distorsioni che caratterizzano il discorso pubblico su Milano. Questo resta troppo spesso confinato ai quartieri centrali concedendo riferimenti astratti al tema delle periferie, quelle periferie che lo stesso PGT non identifica nella loro specificità fisica e sociale. Sembrerebbe pertanto che il “modello Milano” stia producendo risultati diversi da quelli riconosciuti pubblicamente dall’amministrazione. 

Riferimenti Bibliografici

  • Assolombarda e Comune di Milano (2019), Osservatorio Milano 2019, disponibile alla URL: https://osservatoriomilanoscoreboard.it/
  • Calafati A.G., Basellini C., De Lorenzo A. e Zoli S. (2020), Milano: città e territorio. Uno studio di caso, Mendrisio (Svizzera): Mendrisio Academy Press e Cinisello Balsamo (MI): SilvanaEditoriale. 
  • Camagni R., Gibelli M.C., Rigamonti P. (2002), I costi collettivi della città dispersa, Alinea Editrice.
  • Lucarelli S. (2022), Città e territori in Italia ai tempi della pandemia: Milano come caso-studio. Una rassegna ragionata della letteratura, Moneta e Credito, 75 (297), 41-59.  https://rosa.uniroma1.it/rosa04/moneta_e_credito/article/view/17738
  • Munarin S. e Tosi M.C. (2012), Spazi del welfare. Esperienze luoghi pratiche, Macerata: Quodlibet.

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