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We The People.
Democrazia non è star sopra un albero


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Libertà è partecipazione

In una fortunata canzone, Giorgio Gaber raccontava la libertà come un fatto collettivo. Più che avere un’opinione, nella sua visione libertà significava scendere in mezzo alle cose, sentirsi parte di un progetto, magari condizionare, con fantasia e senso critico, il futuro. Se però pensiamo alle nostre società oggi, sembra che il piacere di portare nello spazio pubblico le proprie idee si sia assopito, restringendo la democrazia a un insieme di procedure che ci riguardano spesso solo da lontano: una scheda depositata di tanto in tanto nell’urna, campagne elettorali, polemiche nelle aule parlamentari.

Come se, avviliti da una politica sbadata, cittadini e cittadine abbiano guardato altrove, disinnamorandosi della vita pubblica, disertando il voto, trascurando che una democrazia è viva solo se sa essere territorio di scambio e relazione tra i molti che la compongono.

Esperimenti di innovazione democratica

Eppure le democrazie sono per natura inclini a cambiare, e in più punti d’Europa le società civili non rinunciano a esplorare alternative e a sperimentare nuove soluzioni istituzionali e politiche. Si tratta di innovazioni democratiche che non sostituiscono ma affiancano i tradizionali meccanismi della rappresentanza: pratiche partecipative e deliberative – come i dibattiti pubblici, le assemblee dei cittadini o i bilanci partecipativi – che vogliono includere i punti di vista della cittadinanza su questioni pubbliche e coinvolgerli nei processi decisionali. 

In questa operazione di cucitura tra “piazza” e “palazzo”, il web ricopre un ruolo chiave. «Le piattaforme – scrive Ludovica Taurisano possono coadiuvare diversi esperimenti di innovazione democratica. Pensiamo ad esempio al ruolo fondamentale che giocano nell’assicurare pubblicità e trasparenza ai processi deliberativi: anche se questi si basano sulla partecipazione di mini-pubblici in rappresentanza degli interessi di audience più vaste, i media digitali possono intervenire nella creazione di ecosistemi informativi che espandono l’outreach della deliberazione, consentendo a chi non è direttamente coinvolto di seguirne le fasi.»

Comunicazione

Il percorso di webinar internazionali We The People. The Rise of Citizens’Voice ci ha consentito in questi mesi di sondare esperienze di attivazione della cittadinanza, come le Assemblee per il clima o la e-democracy, adottate in diversi Paesi, ma anche di capire in che modo assicurare, laddove si sceglie di incoraggiare pratiche partecipative, la trasparenza del metodo e dei suoi esiti. Perché una volta assodata l’esigenza di inglobare idee e punti di vista, resta da chiedersi: come si fa davvero a includere cittadine e cittadini nelle arene deliberative? Come garantire che il gruppo selezionato sia rappresentativo dell’intera società? E cosa succede, poi, dentro il processo stesso?

«Immaginatevi persone che non si sono mai incontrate prima, con storie opinioni e aspettative molto diverse tra loro, radunate attorno a un tavolo per mettere in discussione il proprio pensiero. In fondo, il senso ultimo dei processi deliberativi è l’ascolto dell’altro, il fatto cioè di mettere in atto una comunicazione dentro una comunità. […] Ecco, non è una passeggiata: ci possono essere incomprensioni, autocensure, timori, aggressioni, e prima ancora reticenze tali da impedire ai singoli individui di concepirsi come comunità transitoria per il periodo della deliberazione.»

Democrazia condivisa

A questo serve il facilitatore: figura che nelle assemblee guida alla pratica dell’ascolto, media i conflitti, ha cura della qualità del tempo condiviso, abilita la creazione di intelligenza collettiva, induce i partecipanti ad avere fiducia negli altri. In breve: costruisce il gruppo.

Se poi, come è accaduto nel corso degli appuntamenti, aggiungiamo un livello di complessità, dovremmo chiederci: «Come si copre la lista potenzialmente infinita degli interessi che dovrebbero avere voce dentro una deliberazione che riguarda questioni pubbliche?» E ancora: «Se siamo chiamati a co-operare nella definizione di linee guida di policy su temi di proiezione globale (pensiamo alla temperatura e al clima, che si sottraggono alle convenzioni della cittadinanza o delle alleanze euro-atlantiche), qual è la comunità di riferimento che dovrebbe essere inclusa? Se le nostre scelte impatteranno la foresta amazzonica, dovremmo avere qualche rappresentante delle comunità indigene?»

Domande di cui facciamo tesoro e che recupereremo durante Democrazia Minima, il terzo Forum sul futuro della democrazia, approdo finale di Stagione Scomposta in programma il 4 e 5 dicembre: un’occasione per ribadire il bisogno di ravvivare dal basso il nostro vivere insieme, essere comunità anche nel processo e non solo negli esiti, costruendo passo dopo passo le fondamenta di una democrazia agita, condivisa e partecipata. E perciò libera, alla maniera di Gaber.

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Ludovica Taurisano

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