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La classe operaia senza paradiso


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Il lavoro dovrebbe essere una funzione e una gioia,
spesso non è altro che servitù e sofferenza.
Dovrebbe essere la lotta di tutti gli uomini uniti contro le cose,
contro le fatalità della natura e le miserie della vita;
è spesso la lotta degli uomini tra loro.
Jean Jaurès

Editoriale di Marc Lazar


lavoro più umano

“La classe operaia senza il paradiso” è un titolo letterario, anzi cinematografico, ma molto evocativo.

Perché indica una tematica capitale, quella del rapporto che è esistito, e ormai esiste meno o forse è scomparso, tra la sinistra europea riformista e il mondo operaio, ma anche, in un senso più ampio, con i ceti popolari.

L’obiettivo del seminario di cui questo Speciale era espressione era di iniziare a capire quel che è successo. Da questo punto di vista, sono stati due i principali assi di riflessione, il primo sui mutamenti del mondo del lavoro, il secondo sulla relazione tra questi mutamenti e i partiti di sinistra. Ne sono testimonianza i diversi testi, diversi anche tra loro, che qui pubblichiamo e che sono stati scritti da quattro colleghi coinvolti nel seminario.

Leggi il report del seminario
di
 Valeria Finocchiaro,
Ricercatrice Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

Primo asse:
i mutamenti del mondo del lavoro

olivettiInnanzitutto, è importante metterci d’accordo sulla cronologia, che è molto complessa a livello europeo. La data del 1989, che abbiamo preso come data dell’inizio del nostro progetto di ricerca, non sembra pertinente in relazione ai mutamenti del mondo del lavoro.

Quando iniziano veramente questi mutamenti?

Dipende dei paesi europei, dipende anche dai settori di attività: per esempio, in Francia, i minatori iniziano a sparire già alla fine degli anni Cinquanta – inizio degli anni Sessanta, mentre non è lo stesso in Germania.

Bisognerà essere molto prudenti per evitare generalizzazioni sbagliate.

Qui ne parliamo con Andrea Fumagalli,
Università degli studi di Pavia

Quali sono le cause di questi mutamenti? Quale ruolo hanno avuto le trasformazioni delle tecnologie, della globalizzazione, dell’organizzazione del lavoro, delle nuove forme di management, ma anche le decisioni sia delle imprese – per esempio di trasferire l’attività produttiva, cioé le fabbriche, in altre parti del mondo dove la mano d’opera era meno cara -, sia dei poteri pubblici, ecc.?consumismo

Dobbiamo anche capire il significato concreto, il contenuto preciso della deindustrializzazione, che ovviamente colpisce la classe operaia. Per esempio, è stata intensa in Francia, ma più diversificata in Italia, perché è stata caratterizzata da una parte dalla fine del lavoro fordista con le grandi concentrazioni di fabbrica (pensiamo a Mirafiori a Torino, per esempio), ma, dall’altra parte, dall’estensione delle piccole imprese nell’Italia profonda, quella dei comuni con meno di 100.000 abitanti dove vivono i tre quarti della popolazione, e nei quali il lavoro è diverso come i rapporti sociali tra gli operai e il padrone e il resto della società locale.

Continua a leggere con l’articolo di Leonardo Casalino, Université Grenoble Alpes
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Dobbiamo cercare di prendere la misura degli effetti di questi mutamenti. Innanzitutto sulla classe operaia in sé, che non è sparita, ma è stata profondamente modificata.

La sua fisionomia è cambiata, è cambiato il suo modo di lavorare e la sua composizione, per esempio con l’arrivo di immigrati che diversamente dal passato non sono stati ben integrati sia nella classe operaia sia nelle organizzazioni sindacali, sia nelle società europee e specialmente in quelle con un passato di grande impero coloniale.

Ci sono stati anche effetti sull’insieme delle realtà economiche, sociali, politiche, ma anche nell’immaginario delle società. C’è stata per esempio una perdita della figura delle tute blu, dei metalmeccanici in Italia.

ken loachUn certo mondo reale e immaginario è svanito, un silenzio si è instaurato, come dimostra la cultura, che non ne parla molto, ad eccezione del cinema britannico (penso ai film di Ken Loach ovviamente), che ne ha fatto un filone importante della sua creazione. Anzi, un altro immaginario s’è imposto, per esempio quello del libero professionista.

Insomma, abbiamo perduto un mondo in alcuni decenni e il prezzo pagato dal mondo operaio classico, se posso dire, è stato alto, specialmente per la sua componente più attiva e politicizzata che ne ha risentito fortemente: non era più al centro della società e della politica, se mai lo fosse stata negli anni Sessanta e Settanta in tanti paesi europei: non era più “il sole dell’avvenire”.

Su sindacati e nuova classe operaia
ne discutiamo con Luciano Fasano

Che relazioni ci sono tra i mutamenti del mondo operaio e i partiti della sinistra? orologio

Dobbiamo però partire dalla situazione prima del grande cambiamento epocale, andando contro un cliché ormai molto diffuso – costruito con una certa nostalgia da alcuni settori della sinistra e del mondo intellettuale – che consiste nel raccontare che nel passato tutto il mondo operaio era a sinistra e si riconosceva nella mitologia operaia dei sindacati e della sinistra.

Come gli studiosi sanno, la realtà era molto più complessa. C’erano operai conservatori, di destra, ma anche, e forse soprattutto apolitici, interessati soprattutto a “sopravvivere”, a tentare di uscire dalla loro situazione da soli, come individui, cercando di raggiungere una felicità privata, di acquistare la casa, di migliorare la propria condizione e di aiutare i figli ad ottenere un’altra condizione sociale ed economica.

Anzi, di più, il processo di individualizzazione che si è registrato nelle nostre società europee non ha risparmiato il mondo operaio. Tuttavia, c’era un rapporto abbastanza stretto tra i partiti della sinistra riformista social-democratica, a volte socialista (ma, per esempio in Francia, il “Parti socialiste” non è stato veramente il partito del lavoro, e neanche il PSI degli anni 1970-1980) e di alcuni partiti comunisti (il francese, l’italiano, lo spagnolo, il portoghese e il finlandese).

Continua a leggere del rapporto tra nuovi partiti e sindacati
con l’approfondimento dell’autore Alberto Prunetti.

Che effetto la scomparsa dell’operaio classico ha avuto sui partiti di sinistra?

unionHanno cercato più o meno bene di analizzare questi mutamenti, ma anche quelli delle società con appunto l’individualizzazione, la disoccupazione strutturale, la precarizzazione del job market, l’allargamento di tutte le disuguaglianze (tra uomini e donne, tra generazioni, tra territori, tra i lavoratori o dipendenti che sono “in”, dentro il mercato del lavoro, e gli outsider, quelli che sono al margine o fuori, o ancora tra i lavoratori nazionali e gli stranieri): sicuramente bisognerebbe studiare in modo approfondito tutto questo. E poi hanno deciso di allargare il loro bacino elettorale verso i famosi ceti medi.

Sono andati troppo lontani? Hanno abbandonato, alcuni dicono “tradito”, gli operai? Le loro nuove politiche per rispondere alle nuove sfide, quelle del femminismo, poi del gender, delle minoranze sessuali, dell’ambiente, non sono state ben capite da una parte degli operai? I sindacati si sono più interessati a quelli che sono “in” a detrimento di quelli che sono “out”? Poi che policies hanno fatto i governi di centro sinistra?

Leggi l’articolo del ricercatore Goffredo Adinolfi

tempo lavoro

Sono domande cruciali sia da un punto di vista storico sia come argomento politico attuale. Alcuni testi presentati in questo forum danno già risposte o giudizi, ma bisognerà tornare sull’argomento nei prossimi incontri per ben valutare queste policies non vedendo solamente l’aspetto offerta politica delle sinistre, ma anche le aspettative complessive e a volte contraddittorie del mondo del lavoro. A questo proposito, ci sarà un confronto. Alcuni studiosi e protagonisti politici insistono sulle aspettative, sulle ineguaglianze, sull’accesso al mercato del lavoro, sulla protezione sociale, sul potere d’acquisto e dunque sulla necessità di dare risposte politiche a queste tematiche.

Continua a leggere con l’articolo di Enrico Mannari, LUISS

Altri aggiungono altri argomenti: la questione dell’immigrazione, sulla quale la sinistra scandinava ha fatto una svolta adottando un orientamento di grande fermezza, il rifiuto dell’assistenzialismo da parte dei ceti popolari che lavorano, ma anche la loro ricerca di una identità in un mondo sempre più incerto, l’aspettativa di una narrazione del presente e del futuro. Dovremo prossimamente studiare le proposte oggi dei partiti di sinistra e dei sindacati. Che cosa fanno e che cosa non fanno? E come sono percepiti i partiti della sinistra dal mondo del lavoro?

Il nostro lavoro è appena iniziato.

Leggi gli approfondimenti

 

Che succede quando la classe diventa plurale?
Leggi il report
di Valeria Finocchiaro

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