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Anche le piazze entrano nell’agenda UE


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La nascita del Green Deal europeo

Gli ultimi mesi ci hanno ricordato con forza le difficoltà di coniugare mitigazione del cambiamento climatico e mantenimento di condizioni socioeconomiche eque per tutti. Una sfida alla quale la Commissione Europea non si è mai sottratta, prendendo già cinque anni fa le prime, coraggiose misure. È questo il caso del Green Deal europeo: un progetto politico del tutto nuovo, nato anche attraverso la “incorporazione dal basso” delle richieste della società civile nell’agenda UE.

Partendo dall’articolo Towards a socially fair green transition in the EUdi Anna Kyriazi (Università degli Studi di Milano) e Joan Mirò (Pompeu Fabra University), scritto nell’ambito del progetto di ricerca SOLID, nelle seguenti righe andremo a ricostruire cos’è, com’è nato e come si è evoluto il Green Deal: un ritorno necessario ai fatti, alle decisioni e alle risposte date dall’Unione, di cui oggi è salutare ricordarsi.

Le voci dal basso

Il Green Deal Europeo nasce nel dicembre 2019 con lo scopo di alleviare alcune delle conseguenze economico-sociali della transizione verde, garantendo la legittimità sociale di quest’ultima. L’idea alla base è tanto semplice quanto politicamente rivoluzionaria: istituire due fondi (un Fondo per la Transizione Giusta da quasi 18 miliardi di euro, e un Fondo Sociale per il Clima da 72 miliardi) per alleviare l’impatto della decarbonizzazione nelle Regioni più vulnerabili e correggere gli effetti (potenzialmente regressivi) del nuovo sistema di scambio di quote di emissioni (ETS).  

Ascoltare per rispondere

Dal punto di vista della fattibilità politica entrambe le misure sono tutto fuorché scontate. Primo, la storia fornisce molteplici esempi di transizioni ecologicamente benefiche ma socialmente regressive. Secondo, l’adozione di strumenti redistributivi è sempre stata per l’UE (specialmente prima del COVID) un tema politicamente incandescente.

La nascita del Green Deal può quindi apparire un enigma, la cui soluzione va trovata (anche) nella capacità della Commissione di saper ascoltare per rispondere.

Nessuna questione sociale, per quanto importante o grave, diventa automaticamente un problema politico senza l’intervento di attori che la costruiscano come tale. Allo stesso modo, al fine di produrre convergenze tra attori con interessi e punti di partenza differenti, necessaria è anche la creazione di adeguati “contenitori ideali”: concetti capaci di mettere in forma obiettivi diversi e spesso astratti, producendo narrazioni funzionali al loro raggiungimento.

Gilet gialli &Co.

Come anticipato, nel caso del Green Deal tanto gli attori di riferimento quanto il contenitore ideale adottato dalla Commissione hanno avuto un’origine dal basso.

Tra i primi, protagonisti assoluti sono stati i movimenti di piazza esplosi tra il 2018 e il 2019. Gilet Gialli, Fridays for Future ed Extinction Rebellion sono tre degli esempi più importanti: movimenti sì eterogenei per base sociale e rivendicazioni, ma accomunati dall’aver richiamato un’attenzione ancora inedita sulle diverse implicazioni (e urgenze) dell’emergenza climatica.

Potenti movimenti, dunque, capaci di trasformare le percezioni della “politica di palazzo” sia relativamente al tempo a disposizione per affrontare la crisi climatica –mandando all’aria ogni piano di procrastinazione– sia in relazione agli impatti sociali che al processo di transizione ecologica sono associati, aumentando in entrambi i casi la salienza di decisioni rapide ed efficaci.

Dalla piazza all’arena

Per quanto riguarda il contenitore ideale, il concetto di riferimento è da individuare invece nella bandiera della “Transizione Giusta“, finita alla base dell’omonimo Just Transition Fund interno al Green Deal. Similmente ai tre movimenti sopra elencati, anche l’idea di Transizione Giusta ha un’origine politica extraparlamentare, emergendo nello scorso decennio dai circoli sindacali (trovate qui la nostra intervista a Luca Visentin, segretario generale della Confederazione Europea dei Sindacati) e venendo poi sviluppata dalle comunità epistemiche dei Paesi Membri, impegnate a rimodellare in una veste sociale quelle politiche di decarbonizzazione sempre più inevitabili. Con effetto di ponte – sia in termini istituzionali che di schieramento politico – il concetto di Transizione Giusta è stato poi ripreso nel 2018 da Jerzy Burzek, influente politico conservatore polacco.

È attraverso le ambizioni di quest’ultimo (trovare un modo per tutelare le cosiddette “Regioni del Carbone” nel crescente dialogo intraeuropeo sull’imminente transizione) che il concetto ha compiuto i “salti” che ancora mancavano, passando dalla “piazza” all’arena statuale – strutturando le rivendicazioni, anche strumentali, dei Paesi dell’Europa Orientale – e da quest’ultima alle istituzioni europee, coinvolgendo finalmente l’Unione nella sua interezza.

La vittoria dei Verdi

Il 2019, è bene ricordarlo, è stato anche l’anno delle elezioni del Parlamento Europeo, con un aumento significativo della quota di eletti tra i partiti verdi rispetto al 2014: un terzo elemento – questa volta pienamente “istituzionale” – da aggiungere ai due fattori extraparlamentari sopracitati, andando a comporre quella che Kyriazi e Mirò identificano come la specifica “finestra di policy che ha condotto al Green Deal. Un’opportunità unica che neppure lo scoppio della Pandemia ha impedito di cogliere: sottolineando la forte volontà dell’Unione di dare una risposta alla crisi “eco-sociale”, la Commissione stessa finirà per pretendere, proprio durante la fase Covid, un aumento delle risorse da destinare al Green Deal.

Il segreto del successo

Questi, in sintesi, gli ingredienti di una combinazione pressoché unica. Una nuova Commissione, in forte cerca di legittimità; delle piazze in subbuglio, avanzanti specifiche rivendicazioni; un nuovo Parlamento Europeo, più sensibile a queste stesse voci; e la necessità, infine, di coinvolgere ogni Stato Membro nel nuovo percorso di “green policy”, Europa dell’Est compresa.

Ingredienti che testimoniano come la Commissione Europea non sia un palazzo grigio e dormiente, ma un’istituzione pronta ad ascoltare e rispondere, anche coraggiosamente.

In definitiva, non sappiamo ancora quanto i due principali Fondi del Green Deal saranno effettivamente efficaci nel combattere la doppia sfida eco-sociale: un’incognita che ci deriva non solo dalla natura innovativa degli strumenti, ma anche dalle inevitabili preoccupazioni di governance che accompagnano la corretta implementazione e l’uso degli stessi. Allo stesso modo, anche le implicazioni politiche e di partecipazione dal basso legate al Green Deal restano un tema da esplorare più a fondo – cosa che noi di Fondazione stiamo cercando di fare qui. Ciò che invece resta certa è la capacità dell’Unione di aver reso mainstream, partendo con cinque anni di anticipo, il felice sposalizio tra Verde e sensibilità sociale, di cui oggi sembra esserci ancora fortemente bisogno.

 

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