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“Non ti dedichi abbastanza alla prole”

Sono una femminista tardiva, e mi manca ancora tanto da studiare sul femminismo storico. Sono diventata femminista in maniera assai egoriferita, quando ho sperimentato sulla mia pelle le difficoltà legate al mio essere donna, dai commenti sessisti in ufficio al vedere coetanei di genere maschile avanzare nella carriera molto più velocemente di me, dal “problema” creato dalla mia gravidanza alla difficoltà di rientrare nel contesto professionale a seguire, dall’instillazione di sensi di colpa in quanto “non ti dedichi abbastanza alla prole” all’impossibilità di invecchiare serenamente, giacché, mentre un uomo diventa più affascinante con l’età, una donna “si sciupa”, “sfiorisce”.

Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne

Il “maschietto” e la “femminuccia”

Fino a un certo punto, non ne ho avuto bisogno. Sono diventata femminista tardi, ma per fortuna a un certo punto mi sono resa conto di vivere quasi da ospite sgradita in un mondo letteralmente “a misura d’uomo” e mi sono messa a leggere, a riflettere, ad approfondire. Per questo, oggi ho maturato l’idea di voler contribuire a far vedere alle persone quanto sia, ancora oggi, necessario militare a favore di una società più equa. Non solo per le donne, chiaramente, ma per tutte quelle persone che a oggi, per qualche loro caratteristica, sono state considerate di serie B, e colpite dall’ingiustizia epistemica, ossia dall’idea che non possano essere produttrici di sapere: per questo, a essere precise con le etichette, mi definisco una transfemminista intersezionale.

Di quanti elementi è fatta l’emancipazione femminile? Per quanto mi riguarda, essa passa dall’istruzione, non a caso negata a lungo alle donne, e di conseguenza anche dalle parole che vengono usate nei confronti del mio genere, e atterra inevitabilmente nel lavoro, pagato e non pagato, e quindi nell’ambito finanziario. È indubbiamente vero che oggi, almeno ufficialmente, la donna non viene discriminata: non siamo più considerate biologicamente inferiori, abbiamo modo di studiare qualsiasi materia e di intraprendere qualsiasi carriera. Tuttavia, le discriminazioni rimangono, anche se chi lo nega può sempre appellarsi alle leggi. E forse il problema è proprio questo il fatto che le differenze di trattamento siano sottotraccia, non codificate, ma comunque presenti: nella mentalità così come nella pratica, nella vita quotidiana. Ci sono, ma possono venire negate, perché le donne votano, lavorano, sulla carta hanno lo stesso stipendio dei maschi.

Sulla carta, appunto. Nella realtà, la costruzione della nicchia in cui una donna dovrebbe stare parte ancora adesso da prima della nascita, da quando si conosce il sesso biologico della nascitura, in base al quale si prepara il corredino, si agghinda la stanza, si compra il fiocco da appendere sulla porta.

 

“Fortunata tu, se stai con lui che ti aiuta

Sin dalla nascita, alla “femminuccia” si insegna a stare più composta, a rimanere un passo indietro: modesta, pudica, mai chiassosa o sboccata, deve evitare di sporcarsi, e di fare il maschiaccio. Più avanti, le si insegna che il ragazzino che le fa i dispetti “in realtà è innamorato di te”, e magari si coltiva il sogno della “principessa”.

L’aspettativa sociale è che la ragazza studi, certo, ma che poi trovi un compagno, si sposi, possibilmente faccia figli, e che non preferisca certo la carriera alla maternità, che comunque, beh, rimane uno dei ruoli principali della donna.

È anche normale che, oltre alla prole, la donna si occupi della casa (il bravo marito o compagno, casomai, la aiuta) e delle persone anziane di famiglia. E che questo sia un quadro reale, non solo un’agiografia, lo dimostrano i dati riguardanti i posti di lavoro persi durante la pandemia: la stragrande maggioranza sono di donne. Da una parte, perché comunque spesso guadagnano meno dei loro partner (perché, per fare un esempio, dovendosi dedicare ai lavori di cura, non hanno modo di fare troppi straordinari); dall’altra, perché quando hanno chiuso RSA e nidi, è stato naturale che fossero le donne a occuparsi ancora di più di junior e senior.

Al di là del parlare di queste questioni, al di là del denunciarle, passando anche da rompiscatole, ci sono alcuni argomenti specifici dei quali abbiamo scelto di occuparci in questa edizione dei Colloqui di Toscana, intitolata “We Women”: il mondo del lavoro e quello dell’economia. Due contesti considerati a predominanza maschile, e spesso analizzati da un punto di vista prettamente maschile. Cosa succederebbe, invece, a immettere nell’equazione lavorativa più donne? È stato mostrato da svariati studi empirici che là dove aumenta la varietà, la diversity, non solo nella forza lavoro, ma anche nelle posizioni apicali, la qualità del lavoro stesso ne beneficia: le donne possono apportare un pensiero “out of the box” estremamente utile in un contesto molto competitivo come quello attuale. E quindi, a parte snocciolare storie di successo, che rischiano di rimanere casi isolati in un contesto ancora fortemente ostile alla presenza femminile, occorre implementare delle politiche educative e lavorative che rendano possibile anche alle donne fare carriera senza sacrificare altri aspetti della loro vita: perché purtroppo, ancora oggi, soprattutto le donne devono fare i conti con una coperta troppo corta, e tenere insieme famiglia e lavoro si rivela, per molte di loro, uno sforzo troppo grande.

Munus matris e munus patris

Oltre all’aspetto lavorativo, c’è quello economico: non nego, da donna, l’attrattiva del modello della principessa: l’idea di dedicarsi alla prole, lasciando all’uomo il compito di lavorare e provvedere al mantenimento della famiglia (e quindi, il matrimonio o munus matris, il ‘compito materno’, alla donna, il patrimonio, o munus patris, ‘compito paterno’, all’uomo, come ci racconta l’etimolgia) ha il suo fascino; il problema è che diventa difficile uscirne, qualora si cambiasse, a un certo punto, idea. Molte donne non divorziano perché non sono economicamente indipendenti, o perché, quando si rendono conto che avrebbe avuto senso entrare nel mondo del lavoro o continuare a lavorare, anche se apparentemente al tempo sembrava l’opzione meno appetibile, sono fuori mercato o per l’età o per la scarsità di competenze specifiche, e quindi si vedrebbero costrette ad accettare lavori poco retribuiti, che non sarebbero in grado di garantire la loro sopravvivenza fuori dalla coppia.

Spero che occasioni come questa possano servire per far ragionare sempre più persone su questi temi, anche se magari possono apparire prosaici rispetto ad altri. Ma occorre ricordare che l’emancipazione femminile passa anche dai soldi, ed è ora che le donne ne parlino senza pudori.

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