Il quadro aggiornato
Nel 2022, mentre la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici compiva 30 anni, le emissioni di gas serra raggiungevano un nuovo record storico: 53,8 gigatonnellate di CO2 equivalente, con un aumento dell’1,4% rispetto all’anno precedente. Si tratta di un inequivocabile fallimento degli Stati della comunità internazionale nella protezione dei diritti dei più vulnerabili, sempre più esposti a fenomeni estremi come inondazioni, incendi, siccità ed innalzamento del livello dei mari.
Nel frattempo, il variegato mondo dell’attivismo climatico è entrato in una fase di difficoltà. Il movimento più importante, Fridays for Future, fondato da Greta Thunberg nel 2018, ha radicalizzato i toni ma non ha potuto evitare un calo della partecipazione un po’ ovunque, Italia in primis.
Dopo la crisi pandemica, infatti, il movimento ha ripreso la sua dimensione di massa ma senza raggiungere i picchi di mobilitazione del 2019, il cosiddetto “‘68 climatico”. Di fronte all’inadempienza dei governi, un altro blocco di movimenti climatici ha optato invece per radicalizzare le forme di protesta, ricorrendo a lanci di vernice su monumenti e opere d’arte, a blocchi stradali, irruzioni nelle piste di atterraggio degli aeroporti e occupazioni di università.
Nuove soluzioni
Tuttavia, in molti casi queste forme di disobbedienza civile hanno faticato a raggiungere una dimensione di massa e produrre l’impatto politico desiderato, senz’altro anche per la criminalizzazione del dissenso. La risposta governativa alla disobbedienza civile è stata infatti l’etichettamento di tali azioni e di tali movimenti come criminali, disconoscendo la loro legittimità politica e utilizzando come unica risposta la repressione. Ciò è avvenuto in Francia con lo scioglimento dei Soulèvements de la terre e in Italia con il disegno di legge del Parlamento sull’imbrattamento, specificamente pensato per colpire Ultima Generazione.
In questo contesto di partecipazione calante, efficacia limitata e repressione, la galassia del climattivismo ha esplorato alcune vie d’uscita. Una delle risposte più convincenti è quella della convergenza delle lotte, ecologiste e non. Nel 2022 il collettivo della fabbrica occupata della ex GKN di Campi Bisenzio, Fridays for Future Italia, una rete di ricercatori e ricercatrici solidali e altri attori hanno avviato una mobilitazione congiunta per la riconversione ecologica della fabbrica occupata.
Nello stesso anno è nata A22, rete di movimenti climatici fondati sulla disobbedienza civile a cui aderisce Ultima Generazione. Il Climate Social Camp di Torino è invece un luogo di incontro tra attivistə climatiche organizzato nel 2022 e nel 2023. Gli Stati Generali dell’Azione per il Clima sono stati lanciati a settembre 2023 come percorso di convergenza verso un’alleanza climatica.
Il WCCJ
Tra il 12 e il 15 ottobre Milano ha ospitato invece il primo Congresso Mondiale per la Giustizia Climatica (World Congress for Climate Justice, WCCJ), simile agli Stati Generali ma con ambizioni globali e una prospettiva dichiaratamente anticapitalista.
Il WCCJ ha riunito per 4 giorni circa 200 delegati da movimenti, collettivi, sindacati e spazi sociali per un totale di 45 laboratori, seminari, assemblee e azioni, oltre a vari momenti conviviali. Il Congresso è da intendere come la prima riunione mondiale tra climattivistə svincolata dalle Conferenze delle Parti o COP. Si tratta per cui di una logica diversa dai contro-vertici climatici di Glasgow e Milano del 2021, pensati appunto per contestare i summit ufficiali. Possiamo analizzare il WCCJ in due dimensioni: quella di networking e formazione e quella di creazione di una struttura organizzativa.
Il Congresso come crocevia del climattivismo mondiale
Il Congresso è stato in primo luogo un’occasione di networking e formazione su strategie, tattiche di protesta e alternative al capitalismo (ecosocialismo, decrescita, ecotransfemminismo, anarchismo verde, Vivir Bien…), non necessariamente vincolata alla costruzione di una struttura comune (analizzata alla fine dell’articolo). Su questa dimensione di networking e formazione vale la pena sottolineare tre cose: la dimensione artistica, la dimensione anticoloniale e il rifiuto della logica dei grandi eventi.
Il primo giorno è stato quasi interamente dedicato alla dimensione artistica dell’attivismo, tramite vari workshop, dibattiti e un’assemblea sulla proposta di un Manifesto dell’Arte per le Ecologie Radicali promosso dall’Institute of Radical Imagination. Da tempo la letteratura scientifica sottolinea l’inadeguatezza di una comunicazione totalmente centrata sulla scienza del clima ed indica l’importanza dell’arte per sensibilizzare e mobilitare.
La contestazione del modello dei grandi eventi simboleggiato dai Giochi Olimpici di Milano- Cortina si è invece tradotta nell’occupazione temporanea dello scalo di Porta Romana, sede futura del Villaggio Olimpico, a cui è seguita un’assemblea aperta e la realizzazione di un murales critico.
In questa dimensione di networking e formazione un ruolo fondamentale l’hanno giocato i racconti di alcune lotte ambientaliste, dal referendum ecuadoriano che ha bloccato l’estrazione di petrolio in una parte del parco Yasunì al movimento Rise Up che contesta l’oleodotto di 1400 km in costruzione tra Uganda e Tanzania. L’ascolto e la solidarietà verso le rivendicazioni e le lotte provenienti dal Sud Globale sono state fondamentali per approfondire il processo di decolonizzazione interna ai movimenti climatici del Nord Globale e per rifiutare le forme di colonialismo verde che affrontano la crisi climatica con le stesse logiche che l’hanno causata.
La strutturazione del climattivismo: la nascita dell’Internazionale per la Giustizia Climatica
Infine, l’Assemblea Plenaria del Congresso ha gettato la prima pietra della costruzione dal basso dell’Internazionale per la Giustizia Climatica (International for Climate Justice, ICJ), una struttura organizzativa ispirata alle Internazionali dei lavoratori del XIX e XX secolo e con un posizionamento esplicitamente anticapitalista, anticoloniale ed ecotransfemminista.
L’ardua sfida sarà quella di coniugare rappresentatività, democrazia, efficienza e
mobilitazioni congiunte efficaci.
Più che un evento, il Congresso dev’essere perciò visto come l’inizio di un percorso di convergenza tra i movimenti che ha l’ambizione di produrre un nuovo “‘68 climatico” per cambiare il sistema in cui viviamo.
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