Cos’è il Forum sul Futuro della Democrazia di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli?
Il 4 e 5 dicembre Milano ospita il 3º Forum sul Futuro della Democrazia, un tema centrale del programma 2023 della Fondazione Feltrinelli inaugurato dall’ex presidente francese François Hollande.
Invece che chiamarsi “Democrazia Minima”, quest’anno il forum riflette di ciò che può esserci “Oltre la Democrazia Minima”, facendo una scommessa sulla possibilità di immaginare formule che rafforzino le nostre democrazie infeltrite dall’incapacità di immaginarsi “oltre” il ritualismo elettorale e i miti liberali di uno Stato minimo che intervenga il meno possibile sull’economia, l’educazione e lo sviluppo delle tecnologie, come vorrebbe una parte dei fondatori delle maggiori imprese digitali e delle reti sociali commerciali.
L’araba fenice
Perché la democrazia possa “rinascere dalle sue ceneri”, la Fondazione Feltrinelli (nell’ambito di un progetto europeo che, non a caso, si chiama “Phoenix”, votato a rendere più partecipative le politiche legate al Patto Ecologico Europeo) chiama a raccolta varie reti europee e progetti internazionali che lavorano su formule di intensificazione democratica, per proporre modi di voltar pagina, affiancando l’esausta democrazia rappresentativa con nuovi strumenti centrati sul dialogo diretto con i cittadini. Vari tavoli di lavoro – con partecipanti che vengono dai mondi degli hacker civici, dei facilitatori di percorsi partecipativi e di mediazione del conflitto, come dall’associazionismo giovanile e ambientalista – evidenzieranno i “punti deboli” che ancora esistono nelle esperienze impegnate a restituire dinamismo alle nostre democrazie, e condividere i correttivi e le soluzioni che si vanno testando in altri luoghi.
L’occasione porta avanti un lavoro iniziato ad aprile con la Scuola internazionale sulle “Assemblee Civiche” – organizzata dalla Feltrinelli con KNOCA (il “Network di Conoscenza sulle Assemblee Civiche in materia di Clima”) e FIDES (la Federazione Europea per l’Innovazione in Democrazia). Ma il clima in cui lavorare si è molto trasformato, e apre nuovi scenari di ottimismo.
Infatti, pochi mesi fa, ancora chiedevamo che le istituzioni della democrazia – innanzitutto – ammettessero di essere in forte crisi rispetto alla missione e ai valori originari, per poter rigenerarsi. Oggi questo stadio è superato. La crisi è patente nelle ricerche pubblicate negli ultimi mesi.
Democracy Report 2023
Il “Democracy Report 2023” del V-Dem Institute centra il suo titolo sull’“autocratizzazione” in corso di molte democrazie occidentali che si credevano solide, e mostra che oggi il 72%1 della popolazione mondiale vive in contesti autocratici. Altri studi mostrano che allo scollamento della classe politica dai temi urgenti della società e all’aumento rapido delle diseguaglianze (che incide sull’effettiva parità politica dei cittadini e delle cittadine) corrisponde non solo la rapida depoliticizzazione della cittadinanza e un aumento del non-voto e del voto di protesta, ma anche una crisi irreversibile dei “corpi intermedi”. Il Barometro Edelman Trust e il primo Eurobarometro 2023 rilevano crescente sfiducia in ONG, associazioni di categoria e altri soggetti che difendono diritti delle minoranze, spesso visti come lobby autoreferenziali incapaci di rappresentare gli interessi di coloro che dicono di difendere, e timorosi di perdere il “monopolio” della negoziazione con la politica, arrivando a boicottare anche percorsi partecipativi che puntano a coinvolgere i cittadini in forma individuale.
Questi studi, però, fotografano anche un recupero di fiducia dei cittadini in istituzioni che iniziano a prendere misure per invertire la rotta, come accade per l’Unione Europea. La leva della crisi pandemica ha attivato la volontà di sperimentare modi diversi di formulare alcune politiche. Quasi 20 milioni sono stati spesi dall’Europarlamento e dalla Commissione EU per organizzare la “Conferenza sul Futuro dell’Europa” (COFoE), dove 800 cittadini estratti a sorte nei 27 paesi UE hanno lavorato per oltre sei mesi, incontrando esperti e rappresentanti istituzionali, e raccogliendo oltre 50,000 suggerimenti da una piattaforma multilingue per formulare un piano di priorità per il futuro comunitario.
Non è stato un processo perfetto, ma molte delle richieste hanno iniziato a generare effetti, anche se altre aspettano al varco una “modifica dei trattati” per avanzare. Non si può essere ingenui sulle difficoltà di un tale percorso, ma tra le ricadute vi è che la Commissione Europea ha attivato su vari temi oggetto di sue direttive (Mobilità per l’apprendimento, Spreco Alimentare, Metaverso) nuovi percorsi deliberativi con cittadini estratti a sorte nei paesi membri per dare il loro punto di vista e votare direzioni da seguire. In settembre, l’Europarlamento ha approvato la Risoluzione A9-0249 per la costruzione di un processo partecipativo strutturato (Agorá Europea) che su base annuale deliberi sulle priorità dell’UE per l’anno a venire, e discuta suggerimenti sugli argomenti centrali nell’ambito del Piano di Lavoro annuale della Commissione (CAWP), con una componente giovanile che dovrebbe formare un’Assemblea Europea della Gioventù per monitorare tutto il processo legislativo UE. È un buon inizio, che mostra coscienza della necessità di investimenti e modifiche istituzionali per formalizzare e dare centralità (e risposte chiare, celeri e ben motivate) ai cittadini che si impegnano su questi percorsi.
Una partita difficile in campo europeo
Se in campo Europeo si apre una nuova e inedita scala per processi deliberativi di coinvolgimento diretto dei cittadini, essa può ancorarsi ad altri livelli di governo dove l’epoca delle sperimentazioni ha ceduto il passo al graduale “incorporamento” nelle routine politico-amministrative, come nel caso dei Panel di Cittadini che deliberano ciclicamente sulle politiche di governi e parlamenti (in paesi come il Belgio, la Germania o la Scozia), aiutano a formulare i quesiti referendum costituzionali (come in Irlanda) o a produrre informazioni equilibrate su referendum di iniziativa popolare (come nel progetto “Demoscan” in Svizzera o nelle Citizens Initiative Review statunitensi). Per non parlare delle tante iniziative a livello regionale e locale, come le Assemblee Civiche sul Clima da poco concluse a Milano e Bologna – che hanno prodotto interessanti documenti per rafforzare l’azione dei comuni e suggerire incentivi perché la società adotti azioni (e comportamenti) utili a ridurre l’incidenza sul cambio climatico. Crescono anche i “sistemi partecipativi multicanale” che sono piattaforme cittadine di diversi percorsi partecipativi (con pubblici e temi diversi) il cui obiettivo è connettersi e complementarsi, per affrontare meglio la complessità nel dialogo con gli abitanti.
Tali esperienze offrono áncore solide alla società civile organizzata per proporre il diffondersi, il mutare di scala e l’applicazione di simili formati deliberativi/partecipativi a percorsi istituzionali più audaci, come la Revisione dei Trattati Europei (è il caso dell’appello recente della coalizione di 70 NGO “Citizens Take Over Europe”). Ma anche la responsabilizzano nel suggerire esperienze autorganizzate di grande scala, come la recente proposta di Assemblea Cittadina Pan-europea Permanente che ha preso forma attraverso il progetto “Democratic Odyssey” dell’Istituto Universitario Europeo, e che ha mobilitato una “rete costituente” di oltre 300 partner di tutto il continente, in grado di dialogare con istituzioni diverse per realizzare il primo esperimento-pilota dal basso nel settembre 2024 ad Atene, nei luoghi dove lavoravano le giurie civiche per sorteggio agli albori della democrazia ateniese. Quest’esperienza è centrata su una componente importante di “co-design”, ovvero di collaborazione tra esperti ed anche con cittadini partecipanti di esperienze simili del passato perché il “disegnare insieme” metodologie partecipative, forme di comunicazione, metodi di monitoraggio e valutazione dei risultati possa renderle più efficaci ed incisive, esercitando la dovuta pressione (ma anche il necessario appoggio) alle istituzioni della democrazia rappresentativa coinvolte.
Questi scenari concreti dimostrato la capacità di aiutare a ricostruire la fiducia in istituzioni più umili e attente all’ascolto delle ansie dei loro concittadini, ma anche di ricostruire il gusto di “fare politica” per molti che credevano di averlo perso; nonché rivelano la possibilità che ognuno di noi apprenda a forgiare soluzioni efficaci per sfidare la complessità dei problemi, apprendendo a smontarli e capirne le interazioni.
Ma ancora c’è molto da fare per sfondare il muro di gomma della paura di molte istituzioni (intimorite da ogni forma di lavoro insieme non basata sulla mera delega) ma anche per evitare il silenzio mediatico su queste – ormai tante – esperienze di partecipazione significativa. Infatti, se non ci impegniamo tutti per renderle visibili, sono destinate a restare una “nicchia”, di cui pochi verranno a conoscenza. Perciò, è urgente attivare un circolo virtuoso, perché ciò che avviene in questi nuovi spazi di democrazia sia visibile e riconosciuto, attragga più persone, generi nuova speranza, e sia capace di esercitare pressioni e convincere altre istituzioni ad impegnarsi per rinnovare la loro missione democratica.
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