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L’algoritmo democratico:
come i tassisti bolognesi hanno creato
l’alternativa a Uber


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Articolo inserito nell’ambito della rubrica Algo-cracy
a cura dei ricercatori Jacopo Caja e Jacopo Tramontano

Mobilità urbana e piattaforme

Il settore della mobilità urbana è stato tra i più colpiti dall’avvento dell’economia di piattaforma. Uber è la seconda piattaforma digitale ad apparire sul mercato nel 2009 sull’onda della cosiddetta sharing economy: se AirBnB permette di mettere in condivisione le abitazioni, Uber condivide spostamenti in auto. Inoltre, Uber trasforma lɜ proprietariɜ delle automobili in drivers: si inserisce così anche nella gig economy, l’economia dei “lavoretti”, temporanei o saltuari. Come nel caso del delivery, si monta in bicicletta o in macchina per offrire un servizio a chi ne fa richiesta. Nonostante Uber sostenga che diventando driver si sarà capə di se stessə attraverso lo slogan ‘be your own boss’, oggi è noto che questa autonomia sia fittizia e che il lavoro sia condizionato da un algoritmo.

Come già sottolineato all’interno di Algocracy, tali piattaforme digitali offrono un servizio di intermediazione prodotto da algoritmi allenati attraverso i dati raccolti ogni volta che interagiamo con queste piattaforme. Gli algoritmi sono il maggior strumento di riproduzione dei paradigmi di efficienza e produttività, tipici del capitalismo contemporaneo. Nei casi in cui poi l’algoritmo agisce da datore di lavoro segue tali paradigmi a scapito delle condizioni di lavoro di coloro che prestano il servizio.

Uber e la discriminazione

Uber si è presentata nei suoi primi 14 anni di vita come leader dell’attuale rivoluzione digitale, anche se con numerose contraddizioni. L’azienda è in perdita da anni e coinvolta in sanzioni legali per l’utilizzo dei dati; nell’estate 2022 scoppiava il caso Uber Files, la pubblicazione di 124 mila documenti che metteva a nudo gravi irregolarità commesse dall’azienda. Alcune sono ormai note, come le condizioni di sfruttamento e discriminazione imposte dalla piattaforma digitale. Già nel 2020, lɜ drivers in lotta nel Regno Unito chiedevano la visibilizzazione degli algoritmi e l’accessibilità dei dati raccolti dalla piattaforma: sebbene un algoritmo sia solamente una stringa di codici, la sua visualizzazione permette di decifrare i criteri che ne guidano le scelte. Anche noi spesso utilizziamo le piattaforme digitali senza conoscere davvero i meccanismi digitali e giuridici che le guidano; sottoscriviamo informative sulla privacy lunghe e articolate, che quindi non leggiamo.

Sempre tramite Uber Files, siamo venuti poi a conoscenza delle modalità con cui Uber è venuto a patti con alcuni governi nazionali per sfondare nei mercati sottraendo spazio ai sistemi tradizionali di trasporto urbano. L’intuizione per la piattaforma arriva, d’altronde, in una notte di dicembre a Parigi, quando due imprenditori statunitensi usciti da una conferenza non riuscivano a trovare un taxi libero. Tre mesi più tardi avevano sviluppato un applicazione con cui si poteva prenotare una corsa attraverso il solo utilizzo del telefono. In parte, l’obiettivo è anche quello di ‘godere’ delle falle del sistema e contrastare le lobby del settore. Nelle città italiane, così come in altri paesi, il colosso Uber si è dovuto scontrare con il Trasporto Pubblico Locale non di linea, Taxi e Noleggio con Conducente (NCC).

CO.TA.BO

Per CO.TA.BO., la ridistribuzione del lavoro appare come il principio più equo perché lɜ tassistɜ forniscono un servizio pubblico e, agendo in maniera cooperativa, non si mettono in condizioni concorrenziali. L’obiettivo è quindi conseguire uno stato lavorativo ottimale mentre si offre il miglior servizio possibile.

Una possibile alternativa a queste economie predatorie viene dai primi esperimenti di cooperativismo di piattaforma. Per comprendere al meglio questi esperimenti, serve un esercizio di particolarizzazione, uno studio situato e contestualizzato dei processi che portano alla sperimentazione di un approccio cooperativo dell’utilizzo e creazione di strumenti tecnologici. In questo articolo accenno l’esperienza di una piccola cooperativa di taxisti bolognesi, CO.TA.BO., che ha adottato un “algoritmo democratico”, coronamento di una storia di innovazione tecnologica che dalla sua nascita, nel 1967, è motore della cooperativa stessa. La cooperativa nasce in un contesto culturale e sociale florido al cooperativismo, e durante gli ultimi anni ha transitato verso il cooperativismo di piattaforma con la creazione e la proprietà condivisa degli strumenti tecnologici di propria dotazione.

L’algoritmo democratico utilizzato da CO.TA.BO. ha un funzionamento preordinato di assegnazione delle corse alle richieste di taxi. L’assegnazione avviene attraverso tentativi: una volta che l’algoritmo giunge alla soluzione, l’autista decide se accettare la corsa o meno. In caso negativo, l’algoritmo si rimette in azione e produce un nuovo risultato. Si pensa che il principio naturale alla guida di questi algoritmi  dovrebbe essere quello di vicinanza. Nel caso della cooperativa bolognese, questo si mette in coda con altri principi. L’algoritmo segue una divisione geografica su zone cittadine: a ogni richiesta, l’algoritmo cerca un’automobile disponibile nella zona dellə cliente. La vettura, oltre ad essere disponibile, deve rispettare le necessità dellə cliente (lo spazio per i bagagli, il numero di persone ed eventuali altre richieste). Una volta che il principio spaziale e quello di necessità sono fissati, l’algoritmo provvederà ad assegnare la corsa non al taxi più vicino nella zona, ma a quello nella zona che risulta “libero” da più tempo. Più semplicemente, l’algoritmo esegue una distribuzione della domanda – e quindi del lavoro – a tutte le vetture in servizio. È quindi chiaro come la complessità di un algoritmo ‘democratico’ non sia puramente tecnica ma, piuttosto, decisionale. Per CO.TA.BO., la ridistribuzione del lavoro appare come il principio più equo perché lɜ tassistɜ forniscono un servizio pubblico e, agendo in maniera cooperativa, non si mettono in condizioni concorrenziali. L’obiettivo è quindi conseguire uno stato lavorativo ottimale mentre si offre il miglior servizio possibile.

 

Democratico per chi?

A fronte di un algoritmo democratico nella distribuzione del lavoro, serve poi chiedersi: democratico per chi? Ancora una volta, la risposta naturale potrebbe essere che l’algoritmo impatterà lə cliente, che non sarà servitə in maniera tempestiva. Le dimensioni limitate di Bologna, e la suddivisione in zone, fanno sì che l’autista non sia mai eccessivamente lontanə dallə cliente riducendo quindi questo rischio. Inoltre, anche lɜ utenti contribuiscono alla democratizzazione della tecnologia utilizzando un algoritmo che si oppone a una logica competitiva nel mondo del lavoro. Purtroppo, sembra che oggi l’utilizzo di questo algoritmo non sia noto a chi usufruisce del servizio.

Non è un caso che CO.TA.BO. si sia dotata della prima applicazione per cellulari nel 2008, proprio l’anno in cui emergevano i protagonisti della sharing economy.

Questo algoritmo esiste all’interno di una piattaforma digitale made in CO.TA.BO.; parte della struttura di intermediazione è già il risultato di un processo collaborativo in cui la cooperativa ha suggerito le regole o si è messa a disposizione per testare i differenti software. Questo processo cooperativo di costruzione della tecnologia è portato avanti in concertazione con attori e soggetti che mettono a disposizione le competenze supportando la cooperativa nella creazione di una tecnologia che risponda al 100% alle necessità del servizio taxi di Bologna. Dal 2009, CO.TA.BO. collabora con Taxitronic, azienda spagnola leader mondiale nel settore dei taxi. In seguito, ha deciso di dotarsi anche del supporto di TRIsolutions, una compagnia bolognese, la cui collaborazione ha portato nel 2017 allo sviluppo di una nuova applicazione lato cliente. L’obiettivo di questa app, e la differenza più grande con le applicazioni di mobilità già esistenti, è la semplicità e, dunque, l’accessibilità al più vasto numero di clienti possibile. Ad oggi, l’applicazione conta quasi un milione di utenti registratɜ.

 

Intermodalità

Il cooperativismo di piattaforma (r)esiste non senza criticità. Tra le maggiori limitazioni c’è sicuramente la difficoltà di aumentare la scala, passando quindi da singole esperienze situate a situazioni più diffuse e coordinate. L’innumerevole sviluppo di piattaforme di mobilità degli ultimi quindici anni porta a due riflessioni fondamentali. Da un lato, la consapevolezza che per le applicazioni lato utente non esista più un segreto industriale: tutte molto simili o con poche differenze. Questo significa che si potrebbe tranquillamente virare verso l’open source, ad oggi il punto più alto di condivisione del sapere nel mondo delle tecnologie. Rimane però aperto il dibattito legato alla visualizzazione degli algoritmi e l’accessibilità ai dati che renderebbe democratico il lavoro digitale e l’utilizzo delle piattaforme.

Dall’altro lato, la proliferazione di tutte queste applicazioni rende complesso il dialogo di CO.TA.BO. con altre cooperative di radiotaxi. Ora che ogni centrale ha la sua tecnologia, il suo fornitore e la sua applicazione lato cliente è difficile per CO.TA.BO. confrontarsi sull’adozione della propria tecnologia cooperativa. L’obiettivo al momento è quindi quello dell’intermodalità, cioè la possibilità di utilizzare l’app che lɜ clienti sono solitɜ usare in qualsiasi città. Diverso è invece il confronto stabilito con realtà all’estero: in particolare con una cooperativa di taxi a New York, una realtà simile in India e una a Barcellona che oggi si avvalgono totalmente della tecnologia sviluppata da CO.TA.BO. e Taxitronic. Sebbene sembri complesso parlare di cooperativismo di piattaforma nel settore della mobilità urbana in Italia, in altre parti del mondo è un discorso che già esiste e, come nel caso bolognese, sperimenta forme di resistenza contro i colossi digitali dominanti.

Il giudizio di CO.TA.BO. rispetto a Uber è molto netto: Uber è una piattaforma digitale che offre solamente il lavoro di intermediazione generando profitto dall’utente, senza apportare nessun valore economico.

La resistenza a Uber così come ad altre piattaforme è quindi un tema cardine di queste risposte. Non è un caso che CO.TA.BO. si sia dotata della prima applicazione per cellulari nel 2008, proprio l’anno in cui emergevano i protagonisti della sharing economy. Come precedentemente accennato, il settore dei taxi è stato profondamente trasformato dalla creazione di queste piattaforme. Sottolineo qui due differenze e una somiglianza tra i due servizi e su cui gli algoritmi giocano un ruolo centrale.

La prima differenza riguarda ovviamente il sistema tariffario: le tariffe dei taxi sono decise dai Comuni e calcolate tramite tassametri dotati di sigilli. Al contrario, i prezzi di Uber risultano da algoritmi che aumentano i prezzi in caso di aumento della domanda. Questo principio si chiama surge pricing e, chiaramente, non ha nulla a che vedere con il tariffario di quello che è un servizio pubblico.

Il sistema di rating

La seconda differenza riguarda invece il sistema di rating dellɜ lavoratorɜ. Come per la maggior parte delle piattaforme digitali, in seguito all’acquisto di un servizio si provvederà a giudicare il servizio ricevuto e quindi il driver, il rider, l’host e così via. Queste valutazioni impatteranno sui futuri ingaggi lavorativi grazie all’algoritmo che renderà più o meno visibile lə lavoratorə a seguito della creazione di una classifica. Il servizio taxi non permette una valutazione dell’autista proprio per la sua concezione di servizio pubblico; è comunque possibile fare segnalazioni che verranno riprese, nel caso CO.TA.BO., da una commissione disciplinare.

La somiglianza riguarda invece le condizioni di assunzione: anche sotto cooperativa, lɜ tassistɜ sono lavoratorɜ autonomɜ a P.IVA., quindi “capɜ di sé stessɜ” così come nel caso Uber. Nell’esperienza bolognese, si è scelto di aderire a principi di impresa cooperativi e solidali proprio per le difficoltà di questo lavoro logorante e i limiti dell’essere autonomɜ. I falsi miti di flessibilità e autonomia propagandati dalla gig economy sono ancora una volta il deterioramento delle condizioni lavorative. Il giudizio di CO.TA.BO. rispetto a Uber è molto netto: Uber è una piattaforma digitale che offre solamente il lavoro di intermediazione generando profitto dall’utente, spesso sfruttando e facendo competere lɜ lavoratorɜ e senza apportare nessun valore economico o culturale al contesto locale in cui opera..

Questa esperienza bolognese ci suggerisce che la democratizzazione della tecnologia non è tecnicamente complessa. Piuttosto, è complesso il processo democratico e cooperativo che mette in fila i principi all’interno dei codici. L’accettazione e adesione da parte dellɜ clienti a questi principi democratici nell’utilizzo delle piattaforme digitali potrebbe essere una nuova chiave di svolta per la democratizzazione della tecnologia

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