Il tema della (in)sicurezza ha ormai assunto centralità nella narrazione politica e nel dibattito pubblico. Alla paura sul piano della incolumità fisica e degli eventi delinquenziali, si aggiungono e si intrecciano le inquietudini legate ai processi della globalizzazione.
Si tratta di questioni che riguardano direttamente il cittadino e il suo rapporto con lo spazio pubblico, le istituzioni, la politica. E sono analizzati nella 27° edizione dell’Osservatorio Gli Italiano e lo Stato, curato da LaPolis dell’Università di Urbino Carlo Bo con Avviso pubblico.
Tra i fenomeni al centro dell’attenzione, troviamo anzitutto l’immigrazione. Non certo un fatto nuovo. Anzi, rappresenta un contenuto classico della comunicazione politica ed elettorale. E nel tempo ha suscitato sentimenti di diffidenza, rinsaldando quello identitario: noi vs loro.
La globalizzazione in sé contribuisce ad alimentare ansia sociale. Il 67% degli italiani intervistati dichiara che “il mondo di oggi mi mette ansia“. Del resto, il mondo incombe nella vita quotidiana delle persone, ne mette a rischio gli ancoraggi che plasmano la più rassicurante tradizione. La (in)certezza del lavoro, dei risparmi, la debolezza delle istituzioni, della famiglia, delle identità culturali, religiose, politiche, di classe accrescono il disincanto.
Lo smarrimento, indotto da un mondo che cambia troppo velocemente, spinge alla ricerca di nuovi riferimenti per colmare quel malessere e per approcciarsi al futuro. La politica della paura trova così terreno fertile in una società spaesata e insicura. E gli imprenditori politici della paura rappresentano, e al tempo stesso alimentano, quei sentimenti.
Immigrazione: realtà e rappresentazione in tv
Il legame tra immigrazione e sicurezza è, da tempo, piuttosto forte nella percezione dell’opinione pubblica italiana. Guardando all’intreccio tra realtà, percezione e rappresentazione mediale, la presenza dei migranti mostra un peso crescente, seguendo un andamento lineare a livello nazionale (dal 2,4% del 2005 al 9% del 2024). Ma la copertura mediale del fenomeno, nei TG di prima serata (dati XII Rapporto Carta di Roma), segue una traiettoria diversa, e pare stimolare un senso di diffidenza negli italiani.
La rappresentazione plasma la percezione. La media logic, che porta a evidenziare anzitutto i fatti negativi che coinvolgono gli immigrati, finisce per etichettare questi soggetti senza troppe distinzioni.
E il ciclo elettorale conta. O meglio, le campagne elettorali rappresentano i momenti in cui quelle narrazioni orientate alla paura, quindi alla promessa di politiche securitarie, trovano momenti di hype. Salvo poi normalizzarsi nella fase successiva. Gli italiani che dopo le elezioni del 2018 ritenevano “gli immigrati un pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone” erano intorno al 30%, poi sceso al 27% nel 2021. Nell’autunno post-elettorale del 2022 lo stesso dato è risalito al 36%, fino al 46% nell’anno successivo. Ma l’ultima rilevazione dell’Osservatorio Gli Italiani e lo Stato, novembre 2024, mostra una prima inversione di tendenza (41%). L’avvio di una normalizzazione, probabilmente, anche dovuta alla stessa comunicazione politica del nuovo governo, dove si esibisce l’avvio di politiche e iniziative volte al controllo dell’immigrazione, come il centro costruito in Albania.
Gli elettori che più associano agli immigrati l’idea della pericolosità sociale sono uomini, di età media, con bassa istruzione, residenti nelle regioni settentrionali e politicamente più orientati verso destra, in particolare verso Lega e FdI.
Chi è il buon cittadino?
Gli italiani, tuttavia, non guardano solo alle istituzioni, e alla politica dei partiti come interlocutori per arginare i problemi della (in)sicurezza. È vero che le Forze dell’ordine godono sempre di un elevato grado di consenso sociale (65%), che si riflette nella domanda di sicurezza e controllo. Ma quando si chiede ai cittadini quali siano i tratti del buon cittadino – figura idealtipica che li mette di fatto di fronte allo specchio – indicano come primo carattere “il rispetto delle regole per assicurare l’ordine e la sicurezza”. Il 29% lo indica come primo requisito. Più del “battersi a favore dei diritti sociali dei più deboli” (17%) o del “pagare sempre le tasse anche se sono troppo alte” (12%).
La domanda di un leader forte
Una società smarrita, insidiata dal mondo che incombe, segnata dalla drammatizzazione dei toni mediali, tende a guardare alla prassi liberal democratica con disincanto. Ne valorizza il modello diretto, a scapito della faticosa attività di rappresentanza e mediazione. E soprattutto, in misura cospicua, guarda con favore alla figura di un leader forte alla guida del paese (58%). Considerevole, ma meno ampia, è invece la componente allarmata, che ritiene il leader forte un pericolo per la democrazia (38%).