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Un quindicennio inquieto


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Fra il 1953 e il 1969 in Italia c’era il mondo.
E il mondo si trovava in Italia (anche) perché alcune persone sapevano come portarcelo. Non è soltanto per dire.

Da una parte c’erano alcuni esponenti politici che – naturalmente – provano a fare l’interesse dell’Italia, ma nel quadro di un determinato equilibrio mondale: l’Italia era un paese che la guerra mondiale l’aveva persa, ma aveva guadagnato uno status particolare grazie alla Resistenza; l’Italia era un paese che aveva scelto di stare nel solco della Nato, ma ospitava il più grande partito comunista dell’Occidente.

Dall’altra parte, c’erano alcuni intellettualiimprenditoriprotagonisti della vita civile capaci d’intercettare le punte più avanzate dell’innovazione mondiale e di trasferirle in Italia: Alcide De Gasperi, Adriano Olivetti, Giovanni Agnelli, Leopoldo Pirelli, Giangiacomo Feltrinelli, e molti altri con loro.

Il 1953 fu l’anno della morte di Stalin – che permise poi un primo timido avvio della cosiddetta “destalinizzazione” nel 1956 -, ma anche dell’inizio della rivoluzione castrista (e guevarista) a Cuba, con l’assalto alla caserma Moncada.

Copertina della rivista Bohemia che celebra la rivoluzione cubana

Fu anche l’anno in cui Charlie Chaplin decise di non tornare più negli Stati Uniti (lo avrebbe fatto dopo quasi vent’anni), perché il maccartismo lo aveva messo sotto accusa.

Il maccartismo, che si era diffuso sempre più negli Stati Uniti d’America a partire dalla fine degli anni Quaranta, fu un atteggiamento diffuso caratterizzato da un esasperato clima di sospetto nei confronti di persone e di gruppi ritenuti comunisti e sovversivi.

Veniva chiamato maccartismo dal nome del senatore J.R. McCarthy, che dirigeva una commissione per la repressione delle attività antiamericane e faceva porre sotto vigilanza centinaia di persone, attaccandole pubblicamente con accuse non dimostrate, a tutti i livelli della società (nella politica, nella cultura, nello spettacolo…).

La “legge truffa”

In questo clima di tensione e di paranoia fra le superpotenze, la fase storica italiana si aprì col fallimento della cosiddetta “legge truffa”, nel 1953. Alcide De Gasperi, il leader democristiano, sapeva bene che le elezioni per la II legislatura non avrebbero confermato l’ampio successo conseguito dalla Democrazia Cristiana nel 1948.

Ricorse dunque a una riforma della legge elettorale per la Camera dei deputati, introducendo l’attribuzione di un premio di maggioranza (380 seggi, pari al 65%) al raggruppamento di liste che avesse superato la maggioranza assoluta dei consensi (50,01%).

Le opposizioni di sinistra reagirono e definirono “legge truffa” il nuovo sistema elettorale, approvato alla Camera il 21 gennaio e al Senato il 29 marzo del 1953. Lo giudicarono un espediente con il quale i partiti di governo intendevano conseguire un peso politico superiore al loro effettivo peso elettorale.

I risultati, tuttavia, segnarono la sconfitta di De Gasperi. I partiti di centro ottennero infatti il 49,8% dei voti, non riuscendo a far scattare il premio di maggioranza. Si trattò, anzi, di una pesante sconfitta.

La Dc e i suoi alleati persero circa 2 milioni e 800.000 voti, mentre la sinistra ne guadagnò oltre 1 milione e 426.000 e la destra 2 milioni e 326.000. Così, la Dc perse 42 seggi alla Camera, passando da 305 a 263 e 18 al Senato, da 131 a 113. Questa flessione riduceva a margini strettissimi la possibilità di costituire una maggioranza di centro.

Si aprì dunque una lunga fase di instabilità politica, mentre in Italia affioravano nuovi soggetti sociali, rappresentati innanzitutto dalle masse sradicate dalle campagne a causa del fallimento della riforma agraria del 1950, che aveva appunto fallito nel favorire la transizione capitalistica dell’agricoltura e la formazione di una solida classe media agricola.

Piazza Statuto

Tutto ciò alimentò l’impressionante crescita del proletariato cittadino – soprattutto nelle tre città del triangolo industriale (Milano, Torino, Genova) – e dei nuclei operai tradizionali, che furono trasformati nella loro composizione qualitativa e quantitativa dall’arrivo dei nuovi operai “massa” dal sud, con l’esplosione della nuova conflittualità che si manifestò in modo fragoroso a Piazza Statuto e con le magliette “a strisce” nel 1962.

La voce unitaria
La voce unitaria – numero di ottobre 1971

Soprattutto a Milano la trasformazione economica, sociale e culturale viaggiava a una velocità impressionante, e quelle grandi trasformazioni furono raccontate dai vari Giovanni Testori, Luciano Bianciardi, Franco Alasia e Danilo Montaldi, poi da Dario Fo e Franca Rame, e molti altri. Milano registrò fra il 1950 e il 1961 un incremento di popolazione pari al 26%, pressoché completamente dovuto al tasso migratorio.

Questo perché, con il 6,2% della popolazione residente italiana in apertura degli anni Sessanta, l’attività produttiva di Milano aveva rappresentato nell’anno 1960 il 12,6% del reddito nazionale. Ne derivava che il reddito pro capite nella provincia di Milano era stato pari a più del doppio di quello medio nazionale.

Di conseguenza, la popolazione milanese poteva concedersi di soddisfare un numero maggiore di bisogni ed effettuare anche consumi voluttuari, come spese per apparecchi radio, tabacchi, spettacoli, auto e motoveicoli (e libri).

Milano era del resto sede di case editrici storiche come Sonzogno, Hoepli, Bocca, Trevisini, o più recenti come Ceschina, Scheiwiller, Cisalpino, Dall’Oglio, Marzorati, Giuffrè, Bompiani e naturalmente Mondadori e Rizzoli. Dal 1955 anche Angeli che si rivolgeva principalmente all’Università e alle professioni. Bompiani ampliò invece la collana “Letteraria” e inaugurò “Pegaso letterario” e i “Delfini”.

Aldo Garzanti, che nel 1938 aveva acquistato la Treves, affiancò i gialli al classico filone letterario.

Nel 1949 era stata lanciata la Biblioteca Universale Rizzoli e dal 1955 anche Mursia contribuiva all’espansione del settore letterario. Alle altre case editrici si aggiunse la Feltrinelli, che dal 1955 al 1960 si ritagliò uno spazio importante, passando da 20 a 107 titoli prodotti.

Crescita del livello d’istruzione

Questa effervescenza dell’editoria rifletteva, naturalmente, la crescita del livello d’istruzione nell’intero paese, oltre che l’aumento del benessere economico. Ed entrambi questi fattori, anziché placare inquietudine e conflittualità sociale, tendevano ad alimentarla, come avrebbe poi dimostrato il protagonismo degli studenti.

Le crescenti inquietudini e la conflittualità sociale furono vissute e praticate anche dallo Stato nel nome della repressione, con il crescente impiego della celere nelle piazze italiane e la riorganizzazione delle destre.

Così, si fece strada in alcuni settori della DC l’idea che un nuovo governo di centro potesse cercare proprio in quella parte politica i voti necessari a sostenere un governo, e un tentativo in tal senso fu fatto con il governo Tambroni a partire dalla primavera del 1960.

Questa scelta, però, acuì la tensione nel paese, il cui massimo fu rappresentato dagli scontri del luglio 1960, connessi al famigerato congresso del Movimento Sociale Italiano (il partito neofascista) a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza che non accettò la presenza del partito di destra in città.

manifestazione 25 aprile
manifestazione 25 aprile

Fu il punto massimo di una crisi che segnò di fatto l’apertura dello spazio politico in cui si generarono le prove generali del centrosinistra.

La caduta del governo Tambroni chiudeva gli spazi a quello che è stato definito un “centrismo sbilanciato a destra”, quel centrismo che praticava una netta chiusura a sinistra e in maniera asimmetrica un’equivoca chiusura a destra.

L’esito di centrosinistra, insomma, appariva ormai inevitabile.

Lo sviluppo degli anni Cinquanta, però, pur avendo modificato e compromesso le condizioni che avevano reso possibile la mediazione centrista, non aveva eliminato gli ostacoli alla creazione di un nuovo equilibrio politico capace di rispondere in maniera adeguata all’irruzione sulla scena di un movimento operaio quantitativamente così ampio.

“Complesso di lacerazioni”

Se una parte del mondo produttivo e di quello politico guardavano a una trasformazione incentrata sulla politica di programmazione, la costituzione del Ministero della Partecipazioni Statali e la nazionalizzazione dell’energia elettrica, un’altra parte di questi mondi (soprattutto cattolici e industriali) visse un vero e proprio “complesso di lacerazioni” che andavano ben oltre, come ha scritto Giulio Sapelli, il puro assorbimento di un “modello trasformistico di adeguamento delle classi dirigenti alle pressioni della società civile in trasformazione”.

Punto nevralgico diventava il ruolo dello Stato.

Se i grandi gruppi oligopolistici (come Fiat, Olivetti e Pirelli) avvertivano ormai i limiti e le strozzature del meccanismo produttivo italiano, e dunque tendevano a considerare opportuno un orientamento equilibratore dello Stato appunto, opposto era l’orientamento delle forze raccolte attorno all’Assolombarda, a cominciare dagli industriali elettrici.

Ecco perché divenne così dirompente il quarto governo Fanfani nel 1962, primo governo di “centrosinistra di fatto”, che riformò la scuola media e “nazionalizzò” l’industria elettrica, per garantire innanzitutto un accesso alle fonti energetiche a costi contenuti al mondo produttivo italiano.

Quell’esperienza riformista fu poi resa effettiva dal governo Moro, nel 1963.

Un processo che era stato favorito, oltre che dai processi sociali già ricordati, anche:

  • dalla rottura nel 1956 del patto fra socialisti e comunisti (la prima volta dalla “solidarietà antifascista” della Resistenza, a causa della grave crisi indotta dalla repressione sovietica in Ungheria);
  • dal concilio Vaticano II nel 1962, che tentò di avvicinare la Chiesa alla modernità;
  • dal viaggio in Italia del presidente americano Kennedy nel 1963. Passaggi della storia che sembrarono aver detto che, in effetti, una sinistra emendata dai comunisti (fra il 1961 e il 1962, intanto, c’erano state l’invasione della Baia dei Porci e la crisi dei missili, sempre a Cuba) avrebbe anche potuto aspirare a uno spazio di governo.

Una nuova generazione di militanti

La società italiana, dunque, ribolliva, e ribolliva il mondo intero, come si è visto in apertura.

Nuovi soggetti sociali spingevano per una trasformazione, ma spingevano allo stesso modo negli Stati Uniti (con il nuovo protagonismo dei neri, a cominciare dal “no” di Rosa Parks a Montgomery), in America Latina (con un nuovo protagonismo dei popoli del “giardino di casa” americano), e spingevano anche nell’area del Patto di Varsavia, dove gli intellettuali controcorrente provavano faticosamente a far sentire la propria voce.

Gerarchie di classe, oppressione politica, oscurantismo culturale e violazione delle libertà individuali erano contestate in tutto il mondo e in Italia, e una nuova generazione di militanti prendeva finalmente parola perché il mondo iniziasse a cambiare.

Il 1969 fu l’apice della Contestazione e della strage di Piazza Fontana.

Quell’esplosione non arrivò come un fulmine a ciel sereno, ma segnò l’apertura di una fase nuova della storia italiana. Sembrava ricordare a tutti che è pericoloso quando la Storia accelera tutto d’un colpo, e che la strada per la costruzione di un mondo diverso era ancora lunga e in salita.

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