A 60 anni dalla prima colata di ghisa degli altoforni del IV centro siderurgico nazionale a Taranto, punto di avvio della storia dell’ILVA, è tempo di ripensare il territorio. Una città segnata da scelte politiche e produttive che ne hanno compromesso l’ambiente, la salute e il futuro, oggi chiede spazio per una nuova narrazione.
È da questa convinzione che ha preso le mosse “There is a Plan B – Ripensare il futuro dei territori fragili”, il workshop organizzato a Taranto promosso da Fondazione Giangiacomo Feltrinelli in collaborazione con il Dipartimento Jonico dell’Università di Bari Aldo Moro.
Storie di deindustrializzazione, modelli di rinascita urbana e formule di partecipazione civica si sono incrociati per capire come trasformare le cosiddette “zone di sacrificio” in motori di sviluppo sostenibile, in cui la riconversione non sia sinonimo di perdita, ma occasione di rilancio e giustizia sociale.
Le voci, le storie, i casi nazionali e internazionali che hanno animato i lavori, sono inoltre confluiti nella pubblicazione Taranto 2.0. Da città dell’acciaio a laboratorio di comunità.

Ripensare il futuro dei territori fragili
Come muoiono e rinascono i territori:
storie di terra e di persone – Marzio G. Mian
Tante le storie che dimostrano come territori fragili, segnati da crisi industriali, ambientali e sociali, possano trasformare le proprie vulnerabilità in leve di rigenerazione. Dalla dismissione alla rinascita, esistono luoghi che hanno saputo reinventarsi, ripensando modelli produttivi, sociali e culturali. È in questo orizzonte che si colloca il racconto di Marzio Mian, che attraversa città e paesaggi trasformati dalla relazione tra uomo e ambiente, restituendo un racconto vivido su come i territori possano morire e rinascere.

Ripensare il futuro dei territori fragili: alcuni casi e scenari dal mondo
Pittsburg, Bilbao e Glasgow, ma anche la Gata-Malcata tra Spagna e Portogallo e, in futuro, Taranto: città e territori che si sono riconvertiti e che si stanno ancora ricostruendo.
Percorsi diversi che da un lato evidenziano risultati positivi in termini di transizione, dall’altro mettono in luce i costi e le difficoltà che inevitabilmente accompagnano la riconfigurazione socio-economica dei territori. Storie che si iscrivono nella Storia più grande della deindustrializzazione dei paesi avanzati, riassunta da Federico Riccio, con un focus su Taranto, nel suo articolo .
Un tempo le numerose acciaierie di Pittsburg producevano l’acciaio del ponte di Brooklyn, alimentavano fortune economiche di magnati e sostenevano l’industria bellica statunitense. Oggi, di quelle acciaierie resta poco o nulla: sopravvive soltanto una parte di un impianto, riconvertito in sede per concerti, eventi culturali, persino matrimoni. La deindustrializzazione e la riconversione economica della “su tre fiumi” ha portato Pittsburg a essere oggi un polo ospedaliero di rilievo, la sede di università rinomate e una delle città più vivibili degli Stati Uniti.

Ma questo non è l’unico esempio, anche Glasgow e Bilbao sono casi frequentemente citati per i loro processi di deindustrializzazione. Storicamente fondata sulla siderurgia e sulla meccanica pesante la prima, e sulla metallurgia e sulla cantieristica navale la seconda, le due città hanno puntato sull’espansione del terziario per assorbire la riduzione dell’occupazione e hanno avviato il cambiamento attraverso la trasformazione dell’immagine della città, facendo leva su strumenti di marketing territoriale. Nel loro articolo, Maristella Cacciapaglia e Lidia Greco analizzano queste tre esperienze per trarre lezioni utili per il futuro di altre zone che, come Taranto, vivono la perdita o la trasformazione dell’apparato industriale con la conseguenza di una necessaria riorganizzazione della struttura sociale e delle relazioni che la sostengono.
La Gata-Malcata, territorio di confine tra Spagna e Portogallo, nell’ultimo ventennio ha subito trasformazioni non secondarie dovute al cambiamento climatico e all’influenza umana. Questi fattori sono entrati in risonanza con fenomeni di trasformazione produttiva e sociale, come l’invecchiamento della popolazione, l’abbandono delle aree di margine e una sorta di perdita di speranza delle nuove generazioni.
In questo quadro emerge il progetto pilota di PHOENIX, descritto da Giovanni Allegretti nel suo articolo, che si propone di appoggiare dinamiche già presenti nel territorio che possano mettere in moto “circoli virtuosi” di riflessione e di azione collettiva per promuovere nuove relazioni tra natura, produzione e culture dell’abitare.
Guarda il video su Gata-Malcata, Progetto Phoenix Horizon
Un altro progetto, a sud del Portogallo, nel cuore dell’Algarve, affronta le criticità legate ai cambiamenti climatici – in particolare la scarsità d’acqua, la qualità delle risorse idriche e i rischi di inondazione – e le fragilità socioeconomiche del territorio. Il progetto PHOENIX a Tavira promuove la creazione di orti e frutteti urbani come strumento di coinvolgimento della comunità e innovazione sociale, puntando sulla diffusione di pratiche alimentari sostenibili. Tra gli obiettivi: mappare spazi idonei, favorire la gestione condivisa delle risorse e rafforzare la consapevolezza locale sul ruolo degli orti nella transizione ecologica della città.
Guarda il video su Tavira, Progetto Phoenix Horizon
Voci dal workshop: esiste un piano B?
Giovanni Allegretti, Università di Coimbra
Nicla Dattomo, KCity
Paolo Pileri, Politecnico di Milano
Il caso di Taranto:
traiettorie possibili per una riconversione equa, sostenibile e condivisa
Taranto, città simbolo di un Sud in transizione, ha ospitato il workshop “There is a Plan B – Ripensare il futuro dei territori fragili”, una giornata di confronto collettivo per immaginare nuovi scenari di sviluppo a partire da una condizione di vulnerabilità. Il cuore dell’iniziativa sono stati quattro tavoli tematici che, attraverso il dialogo tra esperienze territoriali, ricerca e politiche pubbliche, hanno disegnato traiettorie possibili per una riconversione equa, sostenibile e condivisa.
Transizione giusta e nuove economie
Il primo tavolo, “Transizione giusta e nuove economie”, ha affrontato il nodo della giustizia nella transizione ecologica: la giusta transizione, per essere tale, deve redistribuire potere, riorientare le priorità economiche e valorizzare le economie informali, sociali e solidali che già operano nei territori. A Taranto, questo significa riconoscere e sostenere le pratiche di mutualismo e innovazione sociale che si muovono ai margini.

Blue Economy:
le risorse del mare
Il secondo tavolo, “Blue Economy: le risorse del mare”, si è concentrato sull’ambiente marino come motore di sviluppo locale, interrogandosi su come evitare di replicare logiche estrattive. La discussione si è concentrata su come considerare il mare non solo come risorsa economica, ma come ecosistema complesso da conoscere, tutelare e rigenerare. Dalla gestione sostenibile della pesca all’innovazione tecnologica, la blue economy può divenire leva di resilienza territoriale, purché costruita in sinergia con le comunità costiere.

A Taranto, per un giorno o per restare?
Un turismo per l’abitare
Il terzo tavolo, “A Taranto, per un giorno o per restare? Un turismo per l’abitare”, ha esplorato il rapporto tra turismo, città e pratiche dell’abitare. Il tavolo di lavoro ha sottolineato l’esigenza di un cambio di paradigma: non un turismo calato dall’alto e standardizzato, ma processi generativi fondati sull’incontro tra chi vive e chi attraversa i luoghi. Attraverso l’attivazione di spazi pubblici, pratiche culturali e dispositivi di accoglienza leggera, Taranto può immaginare un turismo che cura e non consuma, che abita e non sfrutta.

Economie della cultura, dagli spazi agli ecosistemi
Il quarto, “Economie della cultura, dagli spazi agli ecosistemi”, ha posto al centro il ruolo della produzione culturale come infrastruttura per la rigenerazione. L’idea di cultura, quindi, non come decorazione, ma come motore di trasformazione: un sistema che connette spazi, relazioni, sapere e immaginazione collettiva. La cultura può essere la chiave per riattivare luoghi abbandonati, costruire nuove economie civiche e ridare senso all’agire comune.

I quattro tavoli hanno restituito visioni diverse ma convergenti: la transizione non è solo ambientale o tecnologica, ma sociale, umana e politica. E Taranto, da città sacrificata, mostra nelle parole di questo scambio di poter diventare laboratorio del possibile. Un luogo dove costruire – insieme – un nuovo lessico dello sviluppo.
Voci dal workshop: attività e ricerche per un piano B
Candida Semeraro, Ammostro
Vittorio Pollazzon, Jonian Dolphin Conservation
Approfondisci: scopri il workshop There is a Plan B. Ripensare il futuro dei territori fragili
Martedì 28 gennaio, a Taranto, faremo una giornata di riflessione e azione per esplorare come le aree vulnerabili, segnate dalla deindustrializzazione e da fragilità socio-ambientali, possano affrontare la sfida della transizione ecologica, bilanciando sviluppo e sostenibilità.


