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La sinistra unita infrange il sogno di Le Pen


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Il secondo turno delle legislative francesi si è concluso con un valzer travolgente, altro giro, altri protagonisti, altri scenari: la dama sfidante, seppure vestita in tutta fretta, si è imposta, la “gauche” unita ha vinto la sfida arrivando prima. I francesi hanno bloccato l’ascesa della destra estrema di Marine Le Pen ed i numeri parlano chiaro: il Nouveau Front Populaire conquista 182 seggi, la lista del presidente Macron, Ensemble 168, il Rassemblement national arriva terzo con 143 seggi smentendo questa volta le previsioni dei sondaggi e le certezze dei suoi leader che per bocca di Bardella scommettevano sulla maggioranza assoluta. Un colpo di scena che ha scompigliato le previsioni della vigilia. Quali le ragioni di ciò, quali gli scenari che si prefigurano, quali i mutamenti che si preparano nella architettura costituzionale della V Repubblica resistente ed impavida ben oltre il mezzo secolo di vita?
La storia della Francia, almeno dalla Rivoluzione francese in poi e, in specie la sua storia politica, ha proceduto per forti scossoni, capovolgimenti, glorie e disfatte che ne hanno segnato il cammino, temprandola sia a livello istituzionale che negli aspetti della società civile, della cultura politica, del sentire dei suoi cittadini, singolarmente o associati in movimenti o partiti. Non va dimenticato che la Francia fino al 1958, anno di entrata in vigore della Costituzione di De Gaulle, è stata caratterizzata da una travagliata storia politica con il succedersi di ben 12 Costituzioni e di diverse forme di governo, dalla Monarchia, alla Repubblica, all’Impero e poi ancora alla Repubblica (dalla II alla IV Repubblica con regime di Assemblea ed esecutivo debole).E la riforma costituzionale golliana nasce essa pure da una rottura unita al progetto di stabilità e governabilità.
Il voto di ieri indica molte cose che provo a riassumere.

RN: ascesa e arresto

Non torno sui motivi dell’ascesa della destra estrema con un’onda diffusa anche in diversi paesi europei, comune ai populismi e nazionalismi di vario tipo; in Francia però il consenso crescente a Marine Le Pen è stato lungamente preparato da una strategia abile di “normalizzazione” del partito soprattutto nella sua immagine, in un contesto che per certi versi ne favoriva la legittimazione, tanto da consentire nel 2022 alle legislative il suo ingresso in forze in parlamento e una vittoria importante alle scorse elezioni europee che ha penalizzato fortemente la presidenza Macron, portando alla scelta della “dissolution” dell’Assemblea nazionale e alle elezioni conclusesi ieri. La campagna elettorale è stata breve, ma intensa, combattuta non con il fioretto ma con armi più pesanti dai vari competitori, in uno scontro in cui la realtà appariva polarizzata fra le due ali estreme e lo spazio per il centro del partito di Macron sembrava sparito. Il presidente del resto ha pagato lo scotto di politiche impopolari e una distanza juppiteriana dal paese reale.

Il RN dal canto suo ha inasprito i toni, le proposte, recuperando la sua natura fortemente identitaria riempendo le sue liste di candidati chiaramente compromessi o appartenenti a gruppi neonazisti e riesumando il riferimento a ideologi di estrema destra razzisti e omofobi come Patrick Buisson, di recente scomparso, celebrato e omaggiato in varie occasioni. Ora il francese medio magari non sa chi è costui, ma il riverbero di quel pensiero ha preso corpo negli slogan e nel programma di Bardella e Le Pen, così sicuri della vittoria da tirare troppo la corda: la negazione della doppia cittadinanza, la preferenza nazionale spinta agli estremi con la promessa di interdizione dalla pubblica amministrazione dei francesi “de papier”, hanno alienato al RN il favore di un elettorato non disposto a cedere sul piano dei diritti fondamentali, patrimonio della République

Il Nouveau Front populaire

L’unione delle sinistre in un fronte composito sì, ma determinato a sbarrare la strada alla destra estrema è stata la novità di queste elezioni sotto la guida di Glucksmann, leader e dirigente di orientamento socialdemocratico, portatore di un progetto credibile, e Mélenchon (quest’ultimo però non in posizione preminente come era stato per la Nupes nel 2022).

Resistere è stata la sua parola d’ordine mantenuta oltre ogni previsione. Ed il meccanismo delle desistenze ha fatto il resto. Questo è un fatto nuovo ed indica un risveglio dopo anni di afasia e fragilità della sinistra, un primo importante passo che richiede tenacia e lungimiranza per il prossimo futuro che si lega, attraversando il tunnel della Manica, all’elezione del laburista Starmer in Inghilterra (geograficamente pur essa europea), che prefigura già oggi un diverso equilibrio nella UE pur fra inevitabili difficoltà. La Francia ricomincia. E “le temps des cerises”serpeggia gioioso per le strade.

Macron e le istituzioni

Il presidente Macron ha raggiunto col suo azzardo un obiettivo importante; non sappiamo quanto di lucido e calcolato o quanto di vero azzardo ci sia stato nella sua scelta di “dissolution”; forse la risposta sarà nelle sue prossime mosse in un’Assemblea così strutturata che pone una serie di problemi all’esecutivo ed alle istituzioni nel loro complesso. Finita la presidenza verticale, Iuppiter deve ora condividere parecchie cose con gli altri dei dell’Olimpo, non può più usare tuono e fulmine, non forzare più un sistema già semipresidenziale, ma deve adattarsi ad una situazione inedita in parlamento e rispondere alle richieste e bisogni di un paese lacerato da forti “clivage” sociali, prima ancora che politici.

I problemi sono tanti a cominciare dalla nomina di un primo ministro, dalla gestione di un’Assemblea nazionale in cui nessuno ha la maggioranza assoluta, dalla capacità di comporre una linea comune in politica estera come in quella interna in uno scenario internazionale complesso.
Macron, potremmo dire, inizia così una terza presidenza, è rimontato sul suo destriero, grazie al salvataggio responsabile della sinistra e di moltissimi francesi, ma deve condividere il cammino non più da solitario e sprezzante cavaliere. Inoltre, per concludere, al livello sistemico le istituzioni della V Repubblica ne escono di fatto modificate poiché appunto l’Assemblea nazionale acquista ora un posto più centrale, più di rilievo, di quanto il modello semipresidenziale prevede per sua natura.

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