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Salvatore Veca e l’Illuminismo


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L’incontro con Salvatore Veca: un privilegio di pensiero

Parlare di filosofia nello studio di Salvatore Veca alla Fondazione Feltrinelli era un privilegio raro. Ne beneficiai negli ultimi anni ’70 e nei primi anni ’80, quando fui, forse persino per due anni, borsista della Fondazione medesima (o si chiamava ancora Istituto?). Non mi è mai più capitato di conversare di filosofia così intensamente come in quel periodo: nei seminari, ma soprattutto nei dialoghi a due davanti alla sua scrivania, dove veramente si pensava, anzi si “cogitava”, passandosi il filo del pensiero.

Una delle tematiche — una specie di chiodo fisso — era la funzione dell’Illuminismo. “Vero che è importante?”, mi chiedeva come se fosse importante quel che dicevo (ma lui pensava davvero che fosse importante, l’ho capito solo dopo). “Vero che è stato un unicum della storia, vero che altri paesi non hanno avuto e assorbito quelle idee?”.

L’eredità dell’Illuminismo e la crisi della ragione

Penso e ripenso alle sue parole, quasi un grido, in questi tempi di ritorno dell’oscurantismo. E penso alle idee dell’Illuminismo, alle basi del suo progetto, così limpide e chiare e apparentemente incontestabili: autonomia, finalità umane delle nostre azioni, universalità; atteggiamento di tolleranza e difesa delle libertà di coscienza; azione liberatoria della conoscenza; distinzione e separazione di delitto e peccato; possesso di diritti umani inalienabili per tutta l’umanità; anche la ricerca della felicità e la tendenza alla perfezione grazie alla diffusione della cultura e del sapere.

E invece che esaltare queste conquiste, cosa fanno i filosofi e i pensatori contemporanei, direi oggi a Veca, in una sorta di dialogo che immagino continui quello di allora?

Si spargono il capo di cenere e si battono il petto denigrando l’Occidente e i suoi pregi, tra cui quello della ragione illuminata. Lo accusano di colpe e miserie, di aver fornito i fondamenti ideologici del colonialismo, di aver dato origine ai totalitarismi e ai regimi fascisti e nazisti, di aver rifiutato Dio e la salvezza dell’anima per una felicità terrena, di aver sostituito l’umano al divino.

Difendere la luce della ragione contro il nuovo oscurantismo

Si dice che l’Europa abbia fallito. Eppure, è l’Europa che è riuscita a collegare le pluralità con l’unità (e il pluralismo fu un’altra delle grandi idee elaborate da Salvatore). Molti pensatori dell’Illuminismo capirono che ciò che gli esseri umani hanno in comune è più di ciò che li differenzia, e che si può essere allo stesso tempo — qui introduco il linguaggio di Jean-Luc Nancy“singolare e plurale”, integrando le differenze senza annullarle.

L’universalizzazione e le generalizzazioni portate dall’Illuminismo producono criteri di giustizia, e sappiamo quanto alle questioni di giustizia e alle sue teorie, quelle di Rawls, tenesse Veca.

È importante poi che i poteri siano affidati a molti, osservavano pensatori dell’Illuminismo come Montesquieu, piuttosto che essere concentrati nelle mani di uno solo. Ma che cosa vediamo nel nuovo oscurantismo di questi anni, se non l’affermarsi di autocrati che il futuro cercano di prenderselo tutto, non ultimo il presidente della prima democrazia del mondo moderno, gli Stati Uniti d’America?

Un uomo, Donald Trump, privo di cultura e pieno di sé, che non legge, non studia, non si informa, ma pretende di parlare come ispirato da forze sovrannaturali?

Avevi proprio ragione, caro Salvatore: è vero che l’Illuminismo è importante per écraser l’infâme — quelle cose che oggi ritroviamo in porzioni dell’Islam e dell’ebraismo fanatiche e portatrici di odio e separazione; per “illuminare” le masse illuse dalle parole dei nuovi autocrati ai quali molti si abbandonarono ciecamente, osannandoli e votandoli.

E anche, infine, per non cedere alle lusinghe della scienza e della tecnologia e delle sue nuove dimensioni autoritarie e non democratiche, come quelle della cosiddetta intelligenza artificiale e i suoi autistici profeti creatori di caos.

Perché è la destra la forza del caos, del disordine, della società non regolata, come ha asserito Carlo Galli e come ha scritto di recente Giuliano da Empoli: “il caos non è più un’arma dei ribelli ma un segno caratterizzante governanti e dominanti”.

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