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Rinunciare alla salute: i sistemi sanitari a pezzi


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“È necessario e indifferibile programmare rapidamente un intervento straordinario e strategico, non di natura meramente emergenziale, in grado di proporre delle soluzioni, prontamente attuabili ed idonee ad affrontare nell’immediato la carenza di personale sanitario e la crisi finanziaria di cui, da ormai tre anni versano i Sistemi sanitari regionali”

La cura

Da un lato i medici stremati da poco personale e turni massacranti (La Stampa). Dall’altro i cittadini alle prese con lunghe attese che ritardano le cure, anche al Pronto soccorso (Messaggero).

Il presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici Filippo Anelli ha elencato i rischi che la sanità pubblica italiana sta correndo. “Mettiamoci tutti nella condizione di tenere in piedi il sistema sanitario perché la vocazione universalistica di garantire un equo accesso alla salute a tutti i cittadini è talmente preziosa che sarebbe folle rinunciarvi”, ha detto. “La sanità regionale non è in grado di assicurare le stesse prestazioni a ogni assistito d’ogni parte d’Italia” (Corriere).

Ma i problemi della sanità non sono una peculiarità solo italiana, scrive Il Post. I sistemi sanitari di gran parte dell’Europa stanno vivendo un periodo complesso, dopo essere stati messi sotto stress dalla pandemia da Covid-19.

L’Organizzazione mondiale della sanità in un report di settembre ha evidenziato la situazione d’emergenza in molti Paesi europei e ha sottolineato l’esigenza di riforme strutturali. In particolare difficoltà sembra il sistema sanitario del Regno Unito. Come ha scritto il New York Times, ci sono 3,5 milioni di cittadini britannici in età da lavoro che soffrono di patologie croniche che non permettono di avere un impiego. E il numero è cresciuto durante i primi due anni di pandemia: circa sette milioni di cittadini hanno una serie di patologie per le quali sono da tempo nelle liste d’attesa della sanità pubblica.

Come emerge dal rapporto presentato dall’Oxfam in occasione del World Economic Forum di Davos, la pandemia continua infatti a sovraccaricare i sistemi sanitari di mezzo mondo. E con l’aumento dell’inflazione, tre quarti dei governi del mondo stanno pianificando tagli alla spesa pubblica – anche per la sanità e istruzione – per 7.800 miliardi di dollari nel quinquennio 2023-2027.

 

 

 

Il caso italiano

I 37 miliardi tagliati alla sanità nei dieci anni precedenti al Covid, tra austerity e blocco del turnover, stanno facendo affondare la barca della sanità italiana. Il rapporto dell’Ocse indica che durante la pandemia tutte le nazioni hanno aumentato la spesa sanitaria, ma l’Italia resta comunque sotto la media Ue. Ad aggravare la situazione negli ospedali italiani, con gli stipendi tra i più bassi d’Europa e condizioni di lavoro sempre più dure, c’è anche la carenza di medici, soprattutto al Nord (Varesenews).

Medici e infermieri sono in fuga dal Ssn verso il privato.

O magari preferiscono lavorare a gettone: solo nel 2022 i turni appaltati in Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna superano i 100 mila (Corriere). E al privato si rivolgono sempre più anche gli assistiti. Quando possono permetterselo, ovviamente.

Perché, come rivela l’Istat, tanti rinunciano del tutto alle cure. Erano 3,1 milioni nel 2019, sono saliti a 4,8 l’anno successivo per arrivare a 5,6 lo scorso anno (La Stampa). Secondo la ricerca “Pubblico e privato nella sanità italiana” condotta dall’Università degli Studi di Milano, il Ssn fornisce a “gestione diretta” il 63% dei servizi richiesti dai pazienti (69,8 miliardi), mentre “acquista” dal settore privato “accreditato” il restante 37% (41,5 miliardi). E poi c’è il “privato privato”: secondo l’Osservatorio sui Consumi Privati in Sanità di Sda Bocconi School of Management, in Italia i consumi sanitari privati sono un fenomeno strutturale e in crescita in misura proporzionale all’aumento del reddito.

Lo sviluppo delle sanità “integrativa” – spiega Il Quotidiano Sanità – ha trovato spazio nelle difficoltà di gestione dei sistemi regionali. E la rottura di ogni forma di coordinamento nazionale ha favorito una difformità di modelli spesso divergenti, non equi e non universalistici.

Salute diseguale

In vista delle prossime regionali in Lazio e Lombardia, la sanità è entrata nella campagna elettorale.

Nel Lazio, i candidati dei due schieramenti sono l’assessore alla Sanità Alessio D’Amato per il centrosinistra e Francesco Rocca, ex presidente della Croce Rossa, per il centrodestra (Repubblica).

In Lombardia, la candidata del Terzo Polo Letizia Moratti ha ricoperto il ruolo di assessora alla Sanità prima delle dimissioni dalla giunta guidata dal governatore uscente Attilio Fontana, che a sua volta ricandida l’ex assessore alla Sanità Giulio Gallera, costretto a dimettersi nel 2021 dopo le svariate gaffe sul Covid (Repubblica). E tra i candidati nella lista di centrosinistra guidata da Pierfrancesco Majorino c’è anche il virologo Fabrizio Pregliasco (Fanpage).

Il tutto mentre la Lega alleata di Giorgia Meloni al governo spinge per la riforma dell’autonomia differenziata (Linkiesta), che per la sanità di alcune regioni, soprattutto del Sud, rischia di essere una catastrofe (Corriere della Calabria). La Regione Calabria, davanti alla carenza di alcuni specialisti, ha assunto 51 medici arrivati da Cuba (Famiglia Cristiana).

Le statistiche sanitarie ci dicono che, oggi, chi vive nel Sud muore in media due anni e mezzo prima di chi risiede al Nord e al Centro. E i maggiori poteri in materia sanitaria alle Regioni coincidono temporalmente con la radicale trasformazione della durata media della vita degli italiani: la disuguaglianza delle prestazioni sanitarie sembra incidere sulle aspettative di vita almeno (se non più) delle condizioni economiche o di istruzione (Repubblica).

Risultato: se un bambino che nasce a Caltanissetta ha 3,7 anni in meno di aspettativa di vita di chi è nato a Firenze e la speranza di vita in buona salute segna un divario di oltre 12 anni tra Calabria e provincia di Bolzano (Save The Children).

Sanità corrotta

Come ha raccontato il Procuratore di Palermo Maurizio De Lucia dopo l’arresto del boss mafioso Matteo Messina Denaro in una clinica di Palermo, in molte inchieste è emerso un particolare legame tra esponenti mafiosi e professionisti del mondo della sanità (Repubblica). E il perché è piuttosto semplice da capire “se si considera che oltre la metà del bilancio regionale è destinato alla sanità”.

De Lucia cita il caso di Giuseppe Guttadauro, medico parente di Messina Denaro a capo di un mandamento. E anche l’indagine sulle cosiddette talpe alla Dda di Palermo, che fece luce sulla figura di Michele Aiello, “un grossissimo imprenditore della sanità privata che è stato condannato per associazione mafiosa in un processo che ha svelato i rapporti tra coppole e lupare e la politica siciliana” (Corriere).

Secondo un sondaggio di Transparency International Italia, un dipendente su quattro (28%) ritiene ci sia corruzione all’interno della propria azienda sanitaria. E il 70% degli intervistati reputa che la pandemia abbia fatto crescere il rischio: le preoccupazioni maggiori sono soprattutto legate a irregolarità nella somministrazione di tamponi e vaccini e al favoreggiamento di particolari fornitori di dispositivi di protezione.

In Italia, negli ultimi tre anni il 13% degli episodi corruttivi ha riguardato il settore della sanità, con casi che riguardano forniture di farmaci, apparecchiature mediche, strumenti medicali e servizi di pulizia (Libera).

Vie d’uscita

“È necessario e indifferibile programmare rapidamente un intervento straordinario e strategico, non di natura meramente emergenziale, in grado di proporre delle soluzioni, prontamente attuabili ed idonee ad affrontare nell’immediato la carenza di personale sanitario e la crisi finanziaria di cui, da ormai tre anni versano i Sistemi sanitari regionali”, ha scritto Raffaele Donini, assessore alla sanità dell’Emilia-Romagna e coordinatore della commissione salute delle Regioni, in una lettera al ministro della Sanità Orazio Schillaci e a quello dell’economia Giancarlo Giorgetti (Il Sole 24 Ore).

Il rinnovo del contratto dei medici, su cui sono appena state avviate le trattative, non basta (Panorama Sanità). Americo Cicchetti, direttore dell’Alta scuola di economia e management dei sistemi sanitari dell’Università Cattolica, sottolinea che occorrono più fondi, ma vanno gestiti meglio, i medici vanno meglio remunerati e serve organizzare meglio il lavoro, garantendo maggiore copertura a livello territoriale (Avvenire).

Secondo l’ex ministro della Salute Beatrice Lorenzin, oggi senatrice del Pd, bisogna “puntare agli investimenti del Pnrr, pagare bene il personale sanitario, formarlo. Insomma, smetterla di perdere capitale umano. E per farlo, serve una spesa sanitaria al 7% del Pil, tendente all’8 o al 9 come negli altri Paesi. Ci mancano cinque miliardi, che possono essere la base di partenza. Guardiamo alle pieghe del bilancio statale. D’altronde, parliamoci chiaro, se crolla la sanità crolla il Paese” (Formiche).

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