Erano gli anni ’80: negli Stati Uniti il decennio si apriva con il trionfo di Ronald Reagan, profeta, insieme a Margaret Thatcher, della rivoluzione liberista. In Italia, la marcia dei 40 mila a Torino chiude un ciclo politico durato oltre un trentennio e inaugura una stagione segnata da una nuova antropologia degli italiani.
Il 14 ottobre 1980 l’operaio-massa, il protagonista indiscusso delle lotte e delle conquiste degli anni Settanta, esce di scena: al suo posto vanno affermandosi appartenenze sociali basate sulla corsa al benessere diffuso, coagulate attorno alle categorie della produzione e dello sviluppo economico.
Gli anni ’80 hanno rappresentato una cesura, scandita da un progressivo ripiegamento nel privato, dall’irruzione della cultura del consumo, dal rampantismo incipiente, da un’idea di benessere sempre più individuale e individualista.
Una tendenza che ha galoppato nei decenni a venire e che, per farla breve, ci porta oggi a società più disarticolate, a comunità più disgregate, a uno spirito di classe fatto a pezzi da forme di lavoro sempre più fluide e flessibili.
La grande ambizione del riscatto delle classi popolari si è sgretolata. Ci sono rimasti il mercato, il consumo, il successo. La società dello spettacolo in formato reel, i grandi affari del black friday, travagli emotivi finalmente risolti in emoticon. Moralistico? Forse. É difficile tuttavia non rilevare come la nostra sia l’epoca in cui si affievoliscono le passioni politiche, l’epoca del tramonto della militanza, della disillusione e della sfiducia nelle istituzioni. Negli ultimi decenni, pensatori e pensatrici, si sono sforzati di dire a parole cosa ci stava succedendo: la fine delle grandi narrazioni, una modernità liquida che annacqua le certezze collettive, un’organizzazione del lavoro che genera precarietà economica e parcellizzazione sociale, la tecnologia che favorisce connessioni virtuali a scapito delle relazioni di prossimità.
L’effetto è stato il sopravvento del sé sulla comunità, dell’auto-realizzazione sulla solidarietà, del benessere personale sull’impegno collettivo. Il narcisismo è un fenomeno psicologico di portata politica: nell’esaltazione del sé gli altri sono erogatori di approvazione (di like) e sempre meno soggetti a tre dimensioni con cui ingaggiare dialoghi e intese, lotte e battaglie.
E allora sì, sarà moralistico, ma forse ci dobbiamo dire che sebbene la cosa pubblica, i temi di interesse comune, la storia collettiva non siano più il terreno su cui esercitiamo le nostre scelte, i grandi cambiamenti continuano a susseguirsi e il loro impatto interessa – a volte investe e ferisce – i singoli, i gruppi, le comunità. Ciascuno di noi.
Sta accadendo qualcosa di inedito e destabilizzante in questi anni: la saldatura tra un populismo di destra radicale con il grande capitale high-tech, nel quadro di scontri geopolitici per un nuovo ordine del mondo, nella cornice di un pianeta in fiamme sull’orlo del collasso. Emergono interrogativi vertiginosi sul nostro futuro democratico, sulla giustizia sociale e sulla tutela dell’uguaglianza e delle libertà nelle economie globali.
Mentre rinunciavamo alle lotte collettive e abdicavamo alla scelta, lasciando che fosse un impersonale “pilota automatico” a farsi carico della seccatura della dimensione pubblica, nel nostro vuoto nuove forze si imponevano sulla scena del mondo: attori economici, tecnologici e finanziari che esercitano un’influenza senza precedenti a livello globale. Attori che controllano risorse chiave, dai grandi fondi ai nostri dati, dalla logistica all’informazione, concentrando un immenso potere e condizionando i nostri comportamenti.
C’è qualcuno che sceglie, insomma. E forse è venuto il tempo di darci la sveglia.
Perché la cosa più interessante della scelta è il corollario di parole che ne segnano il contrario. Al polo opposto della scelta troviamo: l’inerzia, la passività, la perdita di autonomia, la dipendenza, la manipolazione, il conformismo, l’acquiescenza.
D’altro canto, cosa dovremmo mai scegliere e come le nostre decisioni potrebbero mai essere rilevanti se il campo da gioco vede scatenarsi “i giganti della finanza, i magnati della tecnologia”? Cosa potremmo mai fare con le nostre borracce se il surriscaldamento globale si impenna e la decarbonizzazione esce dalle agende? Come mai potremmo far sentire la nostra voce se il clima è quello di una repressione montante che criminalizza il dissenso?
Eppure è qui che si apre uno spiraglio di possibilità.
Non si tratta di salvare il mondo da una parte, o di rassegnarsi alla sua consunzione dell’altra. Si tratta di credere nei minuti atti di coraggio del quotidiano, di smascherare le piccole viltà in cui ci rifugiamo, di sentirsi chiamati in causa se un’ingiustizia si consuma sotto i nostri occhi.
Una volta, forse, si sarebbe chiamato etica. Oggi è ciò che rimane della nostra dimensione politica, di chi agisce nella polis, e non solo nel proprio tinello di casa.
Se la scelta è imparentata con la responsabilità, la responsabilità è imparentata con la disposizione ad esserci, ad esistere. É la banalità del bene: quel vincolo di reciprocità che può tradursi nell’impegno ad agire, nella vocazione a replicare a un appello. Ora tocca a noi, c’è in gioco l’avvenire.
Sì, a chi ha memoria storica, queste parole possono ricordare le espressioni di chi, dopo l’esperienza della Resistenza e la Festa della Liberazione, si era ritrovato a immaginare il “giorno dopo”. A ricostruire un Paese andato in pezzi convocando tutte le forze antifasciste e democratiche che avrebbero dovuto dare forma alla nascente Repubblica.
Non è un esercizio nostalgico ma è il tentativo di ricordarsi, proprio nell’80° Anniversario della Liberazione, qual è il portato attuale dell’antifascismo. In Italia e, almeno, in Europa.
“Contro il principio dell’uguaglianza” scrisse Norberto Bobbio “il fascismo aveva esaltato la gerarchia; contro il potere dal basso, il potere dall’alto; contro la libertà, l’autorità; contro lo spirito critico, la fede cieca; contro il principio di responsabilità individuale, il conformismo di massa”.
Una Stagione delle Scelte è una stagione che riscopre il potere costituente e ricostituente di uomini e donne che, nelle loro ordinarie storture, non si tirano indietro: scelgono di scegliere.
“Contro il principio dell’uguaglianza” scrisse Norberto Bobbio “il fascismo aveva esaltato la gerarchia; contro il potere dal basso, il potere dall’alto; contro la libertà, l’autorità; contro lo spirito critico, la fede cieca; contro il principio di responsabilità individuale, il conformismo di massa”.
Una Stagione delle Scelte è una stagione che riscopre il potere costituente e ricostituente di uomini e donne che, nelle loro ordinarie storture, non si tirano indietro: scelgono di scegliere.
Massimiliano Tarantino
Direttore Fondazione Giangiacomo Feltrinelli