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La “comunità del destino” della destra europea


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Patria e Nazione nel linguaggio della destra

Ha osservato di recente Ernesto Galli Della Loggia come il lemma «patria» – comprensivo di tutto l’immaginario sociale, culturale, emozionale che si trascina dietro – sia stata un’occasione persa per la sinistra. Ovvero come la sinistra dismettendosi da quel lemma, dall’immaginario ad esso connesso, dal suo dizionario politico, abbia fornito una preziosa risorsa per la destra.

Giorgia Meloni nella sua conversazione con Alessandro Sallusti compie un passo ulteriore: trasforma «patria» e «nazione» in «comunità congelata». In questo passaggio è significativo che scompaia la dimensione della realtà complessa e che la parola «società» non abbia dignità di parola politica.

La destra europea e la comunità politica

Spia indiziaria che spiega perché l’unico leader che Meloni nomini e rivendichi come suo “nume ispiratore” sia Margaret Thatcher: una figura che crede molto nell’individuo singolo, poco nell’individuo associato.

Anche per questo è significativo come Meloni recuperi il concetto di comunità. Mettere al centro della propria riflessione «comunità», infatti significa ovviare il pericolo di farsi sostenitrice dell’idea di conflitto. Contemporaneamente mettere al centro «comunità» e insistere sul suo carattere «congelato» implica insistere non su ciò che uno fa, bensì su ciò che uno è. Questa condizione ascrittiva è data dal fare in modo che non si perda la propria natura (ovvero caratteri e appartenenze date).

Per far questo Meloni si serve indirettamente di un pensatore che forse è sconosciuto ai più, ma che è parte del vocabolario politico della destra europea: Gustave Thibon. Di Thibon (1903-2001) Meloni ricorda nell’intervista una frase dedicata al tema della libertà tratta da una sua opera del 1943, Retour au réel: nouveaux diagnostics. In quel testo in cui Thibon sostiene il primato del concetto di gerarchia, la necessità di difendere l’ineguaglianza, l’idea che una società si mantiene nel tempo solo a patto di non sgretolare la sua struttura piramidale.

Questo è ciò che Thibon chiama «comunità di destino». Quella condizione, sostiene Thibon – ed è immaginabile che Meloni sia d’accordo – si mantiene solo se contrasta la denatalità, se rafforza i legami interni fino a eliminare le pratiche di conflitto sociale. Nella «comunità di destino», precisa Thibon, sta la condizione salvifica per consentire alla destra di tornare a vincere. Quella condizione si chiama: identità d’origine.

“Tutelare” gli scontenti

Quel tratto è ciò che Meloni identifica, nella sua conversazione con Sallusti con “democrazia liberale” [p. 39]. In breve, una comunità persiste nel tempo se e solo se non si trasforma. Ovvero se erige a suo collante la nostalgia.
Ma insieme, altro elemento a cui Thibon allude e su cui nello scorrere di quell’intervista Meloni torna più volte, rivendicare quella condizione implica candidarsi a rappresentare la scontentezza e la rabbia degli “abbandonati” (attenzione: non degli “ultimi”).

Una voce – quella degli «abbandonati» che in letteratura è rappresentata non dalla rabbia degli sradicati di Celine, né dall’aristocratico rifiuto di Drieu la Rochelle, ma dall’urlo del piccolo borghese arrabbiato. Una figura che popola i quartieri popolari delle città industriali, o le profonde aree delle campagne che costituiscono il popolo delle periferie. È l’armata degli scontenti che Georges Simenon infila in tutte le inchieste del commissario Maigret, dove ogni volta il tema, più che scoprire l’assassino, è dare voce e rappresentanza, in assenza di qualcuno che se ne faccia carico politico, all’amarezza di quel popolo e possibilmente consolarlo.

La terapia, allora, diventa «tutelare il popolo», meglio «proteggerlo». Ovvero: chiedere di ricevere un mandato di affido. Non smontare l’antipolitica né favorire un nuovo percorso di partecipazione. Ma «andare all’incasso».

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