Le elezioni legislative francesi hanno provocato un vero “bouleversement” nella torrida Francia di questi giorni e lo scenario politico ne esce modificato: la coalizione del Presidente Emmanuel Macron, Ensemble!, ha ottenuto 245 seggi, mentre la Nupes di Jean Luc Mélenchon 131, il Rassemblement National di Marine Le Pen 89, Les Républicains, 61.
È finito quindi il potere verticale praticato dal presidente, finita la presidenza distante che aveva caratterizzato il suo primo mandato, finita la postura iper presidenziale che non ha dato certo buoni frutti in un Paese, provato dalla crisi e dalla pandemia, che già molti segnali di malcontento aveva dato. Quali sono i motivi che hanno fatto perdere la maggioranza assoluta all’Assemblea Nazionale, a meno di due mesi dalle presidenziali che lo hanno visto vincitore? Alcune riflessioni sono d’obbligo per capire l’esito del voto e gli scenari che si delineano in un Paese così importante in Europa.
In primo luogo vi è una disaffezione verso la classe politica al potere, tratto comune a molte democrazie occidentali, acuito in Francia da problemi specifici e antichi quali quello degli immigrati, della lotta al terrorismo islamico e quindi delle politiche di sicurezza in un Paese che vive tragicamente la realtà e le contraddizioni delle banlieues; non a caso l’astensionismo è in aumento rispetto al 2017. Tutto questo ha determinato una protesta che si è manifestata ora nelle urne, dopo avere percorso le strade di Francia in lungo e largo non solo con l’esplosione del movimento dei Gilets Jaunes, ma con la mobilitazione di varie categorie sociali e professionali (dagli insegnanti, agli infermieri, ai medici, agli studenti, perfino ai lavoratori dello spettacolo dell’Opera) che hanno manifestato a lungo il loro dissenso, evidenziando domande e bisogni cui occorreva dare risposte.
Alle presidenziali moltissimi hanno votato per Macron con un voto contro, ossia per scongiurare il pericolo di avere all’Eliseo una Presidente di estrema destra; ora invece i francesi hanno massicciamente e con determinazione espresso una scelta di rottura dando peso nell’Assemblea Nazionale a due forze, prima non determinanti nell’emiciclo parlamentare, che in maniera diversa sono i portabandiera della protesta e di istanze nuove: la Nupes, l’unione delle sinistre sotto l’ala di Melenchon, mai realizzata prima negli ultimi decenni, e il Rassemblement National di Marine Le Pen, forza di estrema destra che nuova non è ma che ora può formare un gruppo in parlamento, da quando nel 1986 il Front National di Jean Marie Le Pen, padre di Marine, vi era entrato durante la presidenza Mitterrand.
La strategia di Macron “et droite et gauche”, utilizzata nel 2017 e ora riproposta, si è rivelata un’arma non più utile e il grande centro da lui occupato, il rinnovamento promesso ma non realizzato sono stati fragilizzati da un vento impietoso che è salito dalla società chiedendo ascolto e partecipazione. Se si va a guardare più da vicino il voto, si nota che la Nupes ha conquistato alcuni centri urbani importanti, assicurandosi anche il voto di giovani, istruiti, di reddito non basso, un voto di media borghesia. Si nota anche che una candidata del Rassemblement National ha battuto una ministra della maggioranza presidenziale in una circoscrizione prima feudo di La République En Marche, il partito di Marcon; almeno quattro ministri della maggioranza presidenziale, fra cui Jean-Michel Blanquer, al dicastero dell’Istruzione durante il primo mandato di Macron, non sono stati eletti parlamentari.
Un vero e proprio schiaffo a La République En Marche. Anche questo non è casuale, ma conseguenza del fatto che Macron ha molto trascurato il suo partito in questi anni, concentrato su una gestione solitaria e autocentrata del potere. Omaggio al modello gollista? Certo, il generale e poi Presidente Charles De Gaulle è un modello cui Macron ha detto varie volte di ispirarsi, nel tentativo di strappargli una scintilla del carisma che possedeva.
Una volta persa, nel 1969, con la sconfitta del referendum sulla partecipazione e la riforma del Senato, De Gaulle rassegnò le dimissioni in piena notte, un quarto dopo l’arrivo dei risultati della consultazione. Altro stile, altro personaggio.
Cosa si profila ora per il Presidente Macron?
Un rimpasto del governo, anche perché diversi ministri, battuti alle elezioni, devono lasciare il governo; un’alleanza inevitabile della maggioranza presidenziale, altrimenti fragile, con la destra dei Républicains, operazione delicata; una presidenza che deve mediare, imparare a comporre e ascoltare, tallonata dall’unione delle sinistre e dalla destra estrema. Insomma, non sarà una “cohabitation”, ma un suo surrogato, una variante atipica. I francesi hanno scelto bene, temperando così la monarchia elettiva incarnata dal presidente, che comunque comunque mantiene intatti alcuni ambiti del suo potere, come la Politica estera e la Difesa, secondo dettato della Costituzione, importanti per il suo ruolo in Europa.
Macron è ora dimezzato, come il visconte Medardo di Terralba del romanzo di Calvino, che in seguito a una ferità in guerra è dimidiato, spaccato in due. Di lui prevale la parte cattiva, che lo porta a compiere atroci gesti, anche delitti, fino a quando l’altra metà buona viene fuori insperatamente, ripara ai danni fatti e attraverso varie avventure ricompone l’unità iniziale spezzata. La metafora immaginifica di Calvino non è solo finzione letteraria; è un messaggio sociale e politico sotto vesti favolistiche.
Senza fare questo, come il visconte della novella, rischia di restare monco e perdente.