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L’Europa nella globalizzazione


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Nell’ultimo seminario, quello di maggio dedicato alla Terza via, abbiamo parlato della globalizzazione e appunto dell’analisi che ne fa la sinistra riformista e del suo atteggiamento in confronto della globalizzazione. Questa volta, aggiorniamo la prospettiva parlando della sinistra e dell’Europa nell’era della globalizzazione. In questa introduzione, vorrei toccare cinque argomenti condividendo, come di solito, alcune riflessioni e facendo domande di ricerca. Avevano per obiettivo di alimentare la discussione del workshop, ma hanno anche ispirato la scrittura dei testi che scoprirete che sono stati scritti da alcuni partecipanti a nostri lavori.

Europa globalizzazione

1 Prima di tutto, bisogna analizzare il rapporto con l’Europa della sinistra socialdemocratrica da un punto di vista storico.

Contrariamente alla vulgata dei partiti socialdemocratici e socialisti che dicono oramai che sono stati sempre in favore della costruzione europea, il loro rapporto con l’Europa è stato complesso e spesso lo rimane: come sappiamo, l’Europa ha diviso le sinistre e a volte le divide ancora. I partiti comunisti sono stati ostili alla costruzione europea. Il PCI ha cambiato posizione negli anni ‘70, gli anni dell’eurocomunismo, così come il partito comunista spagnolo. L’evoluzione del PCF è stata molto più complicata. La sinistra radicale oggi è molto critica della costruzione europea: è il caso per esempio di Podemos, della France insoumise, del Di Linke partei e di Syriza prima dell’accesso al potere di Tsipras in Grecia nel 2015.

Nell’ambito socialdemocratico, mentre molti partiti erano favorevoli all’Europa (il partito tedesco dopo un primo tempo di condanna dell’Europa perché troppo democristiana, il partito belga, il partito olandese, il partito francese, all’epoca si chiamava la SFIO (Section française de l’Internationale Ouvrière), c’erano partiti ostili: per esempio, il Labour e molti partiti del nord Europa, come il potente partito svedese per il quale l’Europa era troppo liberale e troppo cristiana. Dagli anni ‘70 alla metà degli anni ‘80, il nuovo Partito socialista (PS) francese, quello di François Mitterrand, era diviso tra il leader e i suoi, che erano proeuropeisti, e una corrente molto critica della costruzione europea, influenzata dal PCF.

La situazione è un po’ cambiata dopo il 1984, quando, visto il fallimento della sua politica economica, l’idea del socialismo in un solo paese che era il mantra dell’ideologia del PS ha lasciato il posto ad un proeuropeismo che in termini di identità si sostituiva al socialismo.

Ma sempre all’interno del PS è rimasta fino ad oggi una minoranza critica dell’Europa e molto sensibile all’argomentazione della sinistra radicale. Basta pensare alla minoranza del PS che nel 2005 in occasione del referendum sulla Costituzione europea ha fatto campagna per il no. Tuttavia questa idea che l’Europa è ormai una componente chiave dell’identità della sinistra e che si sostituisce al socialismo perché i partiti socialisti sono ormai incapaci di definire il socialismo non è più, mi sembra, un monopolio della Francia. Penso che potrebbe essere estesa a molti altri partiti della sinistra europea.

Perché ho ricordato molto rapidamente questa storia? Perché a mio parere pesa questa storia per capire il posizionamento della sinistra sull’Europa dagli anni ‘90 a oggi. Ed è il secondo punto che tocco.

2 Il secondo punto è dedicato ai partiti distinguendo i partiti e i governi quando i socialisti sono al potere.

A partire degli anni 90 fino ad oggi, che dicono esattamente i partiti della sinistra riformista sull’Europa? Quali sono le loro convergenze e le loro divergenze? Partiamo dalla premessa che questi partiti non si contentano di “reagire” alla costruzione europea come se quella fosse qualcosa di totalmente esterno a loro; anzi, questi partiti sono attori di questa costruzione con le loro prese di posizioni e le loro azioni.

Per esempio, ad ogni elezione a suffragio universale del parlamento europeo dal 1979, presentano un manifesto, ma possiamo chiederci come è stato elaborato, quale è il suo contenuto, che impatto ha il manifesto all’interno di ogni partito che lo firma? Qual’è l’articolazione tra ogni partito socialdemocratico e socialista con il Partito socialista europeo fondato nel 1992 ? Molto interessante sarebbe avere un studio approfondito del comportamento dei socialisti al Parlamento europeo, almeno per quelli che ci vanno regolarmente e che si investono nel loro mandato?

A mio parere, si crea cosi un forum di discussione, una forma di sociabilità, quasi un laboratorio di riflessioni, di trasferimento di esperienze tra gli europarlamentari che dopo possono o no avere effetti su ogni partito nazionale. Permettetemi di evocare un ricordo personale.

Avevo un caro amico che è stato europarlamentare per diversi anni e mi spiegava come lui francese aveva imparato la cultura del compromesso, della mediazione con questa esperienza, cultura del compromesso tra socialisti europei ma anche con altri gruppi parlamentari, a cominciare del Partito Popolare Europeo. Per lui è stata una forma di rivoluzione paradigmatica che ha cercato senza successo di impiantare nel PS.

3 Il terzo punto è quello dei governi quando la sinistra è al potere.

Con di nuovo tante domande da fare. Che ha fatto la sinistra negli anni 90 quando molti governi dei paesi membri dell’UE erano di sinistra? C’è stato o non c’è stato un coordinamento? La tesi molto diffusa è che è stata un’occasione mancata ma come mai, come spiegare questo fallimento? Poi, dopo  ci sono stati diversi governi di sinistra, in Francia, in Italia, nel Portogallo, in Spagna, o governi di coalizione a quale partecipavano i partiti di sinistra come in Germania.

E allora, che politica economica, fiscale, sociale o societale hanno promosso? Quale sono state, se ci sono state, le loro proposte per la regolazione della globalizzazione finanziaria, ma anche commerciale? Ci sono stati alcuni risultati o, come si dice spesso, hanno accettato le politiche dei popolari europei e si sarebbero convertiti al “neoliberalismo”, un concetto che può essere usato solamente se se ne dà una definizione precisa? E che hanno fatto i governi di sinistra per tentare di avanzare verso un’Europa più politica, sapendo che alcuni di loro, il Labour, non condividevano questa prospettiva?

4 Il mio quarto punto è legato a quello che era stato scritto per la convocazione del nostro seminario.

Che dice la sinistra europea sull’Europa non solo in relazione alla globalizzazione, ma anche in termini di geopolitica mondiale? La sinistra europea è favorevole alla difesa europea malgrado la persistenza di una forte componente pacifista nei suoi ranghi? Ci sono convergenze o divergenze su questo argomento come sulla Nato ? Qual’è l’impatto della guerra in Ukraina sui partiti della sinistra europea vis à vis della Nato, ma più generalmente sul riarmamento europeo?

E ancora che fanno i  partiti della sinistra europea sui migranti e sull’immigrazione? Ne parlano o si tacciono? E se ne parlano, insistono di più sull’integrazione o, come i danesi e i finlandesi, fanno policies molto dure sull’immigrazione (e vincono nel caso danese ma non nel caso finlandese)?  Cresce adesso all’interno dei partiti della sinistra europea un dibattito sull’immigrazione che la divide profondamente, al punto di paralizzarla, lasciando un grande spazio ai populisti di destra

5 Quinto e ultimo punto mio. Come possiamo analizzare il rapporto tra la sinistra europea (sia i partiti, sia i governi di sinistra) – o fra i governi nei quali la sinistra faceva o fa ancora parte di una coalizione – e il suo posizionamento europeo in relazione all’opinione pubblica del proprio paese?

Sappiamo che c’è una opinione euroscettica più o meno importante secondo i paesi, per esempio è più importante tradizionalmente in Francia, ma è cresciuta anche in Italia. Esiste anche in altri paesi, come l’Olanda. E sappiamo che questa parte dell’opinione pubblica critica dell’Unione europea è composta principalmente da ceti popolari con un reddito medio-basso, con uno scarso livello di istruzione, dunque esattamente la clientela sociologica classica della sinistra nel passato e che appunto ha perso.

Anzi, questa popolazione si ribella e dunque si astiene, o quando vota, vota per i populisti di estrema destra e, a volte, in proporzioni inferiori, per i partiti della sinistra radicale. Sono anche tentati di aderire al ripiegamento nazionale a volte quasi nazionalistico che propone la destra radicale-conservatrice? Avremo nei prossimi mesi un seminario dedicato alle diverse altre sfide che la sinistra deve affrontare, al problema dell’immigrazione in particolare, ma possiamo iniziare a riflettere sull’argomento. Si tratta di tentare di capire quello che fanno i partiti della sinistra europea di cui il loro europeismo contribuisce al divorzio con i ceti popolari di cui abbiamo già parlato diverse volte: insomma sono tentati di ammorbidire il loro europeismo o cercano di convincere i ceti popolari del vantaggio anche per loro dell’Europa,  e se fanno questa scelta come agiscono, come si comportano?

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