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“Lessico familiare” della destra italiana


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 “Iconografia della destra”

Spesso quando si analizza la lunga storia della destra radicale italiana dal secondo Dopoguerra ad oggi da decenni si incorre in un errore storico-prospettico: tendere a sganciare di netto la vicenda del Movimento Sociale Italiano (MSI) da quella di Alleanza Nazionale (AN)-Fratelli d’Italia (FdI).

E’ un difetto che non appartiene a “Iconografia della destra” di Luciano Cheles (Viella 2023) che anzi miscelando sapientemente, come da sua prassi di ricerca, testo e immagini ricostruisce anche il lungo cammino della destra nazionale, dall’essersi inquadrata nel più importante partito neofascista d’Occidente all’arrivare, con i suoi eredi, a diventare la più apprezzata (elettoralmente) formazione di Governo di destra UE.

La lunga storia della destra radicale

Un cammino di parole molteplici, violente e radicali che però l’autore del saggio non schiaccia in un unico soggetto, un neofascismo eterno, ma descrive nel suo essere fasi diverse di una “comunità di destino”.  In tutto questo lo aiuta un viaggio icono-grafico nell’immaginario del mondo nero e oggi più (o)scuro, contenuto in una corposa sezione al centro del volume fatta di manifesti (prima cartacei e poi file .jpg), scritte sui muri, foto, adesivi, loghi e articoli di giornale.

Un “rinnovamento nella continuità” ricostruito in tre capitoli dedicati alla propaganda caratteristica di ciascuna delle fasi biografico-politiche e un quarto, conclusivo, che tira le somme rimarcando alcuni aspetti complessivi di questa vicenda anche mitopoietica.

Ognuno dei capitoli più storici individua poi, con ragione, i tre leaders rappresentativi di questo mondo (Almirante-Fini-Meloni) come punti di riferimento e quasi personificazione di quel momento. Non testimonials ma simboli del riconoscimento interno alla comunità politica; il costituire un elemento cardine, insomma, su cui il partito si ritrova. Parliamo infatti di leadership quasi eterne proprio perchè radicate nella carne viva del mondo neofascista, quello da cui tutte/i ancora provengono biograficamente. Questo non perché, come spesso scioccamente si pensa, la “destra vuole l’uomo forte” ma perché si tratta di partiti in cui il leader è frutto di una forte selezione interna.

É un mondo infatti questo in cui non si diventa neanche consiglieri di quartiere – figurarsi segretari nazionali- senza un preciso e monitorato cursus honorum. Sicuramente questa scelta di classe dirigente non avviene, ed è una bella differenza, con un provino video su Publitalia o perché ci si è distinti in quanto capopopolo locale (che dà voce agli umori più bassi di una provincia prealpina): come succede invece in casa degli eterni alleati di governo.

La rivincita del modello-partito del Novecento

Oggi dirige il Paese, insomma, una formazione all’antica. Dopo tanti anni di “partiti leggeri”, “del leader” o “dei social” il successo, seppur non in soggettiva, di oggi di Fratelli d’Italia è la rivincita di un modello-partito del Novecento. Una organizzazione fatta da sempre di: sezioni diffuse (anche nelle periferie metropolitane), una militante e chiacchierata organizzazione giovanile (che si aggrega come CasaPound in “Centri Sociali di destra”), un sindacato di riferimento, riviste e giornali d’area e Fondazioni. Un esempio, ormai, più unico che raro nel panorama italiano; una rivincita della politica come professione ben incarnata dalla stessa Giorgia Meloni, come, da prima di lei, da Almirante e Fini. La Premier si è infatti formata da adolescente nel MSI romano di borgata (1992-1995), cresciuta negli organismi giovanili di Alleanza Nazionale (1995-2001), giornalista pubblicista nel quotidiano dell’organizzazione, diventata deputata (dal 2006), poi (brevemente) più giovane ministro della storia italiana (2008-2011) e, come si diceva, leader di Fratelli d’Italia (dal 2012 a oggi). Per rendersene conto basta analizzare i contenuti politici sulla scorta di Cheles: i virgolettati, le dichiarazioni e soprattutto i manifesti che Giorgia Meloni ed i suoi hanno attaccato sui muri (da semplici militanti) fino alle campagne grafiche web che postano oggi sui loro profili instagram (da ministri).

Un successo, dunque, che viene da lontano, una paziente traversata del deserto di MSI-AN-FdI, con il mai celato desiderio di portare il proprio mondo (post)missino al livello più alto di sempre e inserirlo a pieno titolo nella storia della Repubblica, quella con la “esse” maiuscola.

A questo mi sia consentito dire però va aggiunto che ha vinto oggi, non va dimenticato, una coalizione nazionale di destre plurali (come del resto in quasi tutte le elezioni degli ultimi trent’anni) e quindi in grado di produrre un programma di governo sinergico e non contraddittorio.

Populismo vs Democrazia

Da bravi “gramsciani di destra” le parole chiave e le campagne comunicative di AN-FdI individuate da Cheles appartengono oggi, infatti, ad una buona parte del centrodestra.

Un esperimento questo italiano diventato modello europeo in cui ciascuno mette il suo pezzo: se Berlusconi è stato più attento agli interessi economici di settori dai redditi alti, Salvini si muove populisticamente sulla piccolo-medio lavoro privato (contando su tasse e pensioni) e sui sentimenti xenofobi degli strati periferici, lasciando alla Meloni pezzi del lavoro dipendente e fasce a basso reddito residenti nelle città. Il tutto con l’intento di disegnare una dinamica dei rapporti sociali più restrittiva, patriarcale, securitaria e militarizzata. Uno schema sperimentato, ricordiamocelo bene, in ogni tipo di amministrazione in questi anni, e in grado di produrre un vasto consenso nazionale, radicato e interclassista. Un progetto che, portato a compimento a livello più alto, sogna di smantellare l’attuale Costituzione (figlia della Resistenza) e costruire (con la sinergia tra Premierato-Autonomia Differenziata-Separazione delle carriere) una vera Seconda-Repubblica.

Dunque il lavoro di Cheles non è semplicemente una storia della (propaganda di) destra narrata con analisi e immagini ma assomiglia tanto a quei vecchi album di foto di famiglia in cui spiccano: genealogie, vicende, cugini, momenti e parole; una narrazione che vede continuità e stacchi, ma che comunque ricostruisce un’unica vicenda familiare, parafrasando Ginzburg un unico Lessico.

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