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La resistenza a partire da Stalingrado, “capitale del mondo”


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Quest’anno quando si commemora la Liberazione, ricordiamo anche l’“anno di Stalingrado” come il momento in cui la resistenza antifascista mondiale si è costituita per la prima volta.
L’anno, che va all’incirca dal febbraio 1942 al febbraio 1943, si aprì con i piani di Hitler di conquistare il Caucaso e il Basso Volga, assicurandosi così il petrolio sovietico e le rotte attraverso il Medio Oriente fino all’India.
Nel settembre 1942, la Sesta Armata della Wehrmacht travolse le ultimate linee di difesa della di Stalingrado, dopo che questa era stata bombardata a tappeto dalla Luftwaffe, spingendo le truppe difensive in una minuscola ridotta sulla riva del Volga.

La prima vittoria militare contro il nazifascismo

L’anno culminò il 2 febbraio 1943, quando dopo un’immensa controffensiva iniziata a sorpresa il 23 novembre, l’Armata Rossa accerchiò le forze tedesche, le strinse in una morsa invincibile e costrinse il feldmaresciallo Von Paulus, contro gli ordini di Hitler, a arrendersi con quel poco che restava del suo esercito.
Stalingrado fu la prima vittoria militare contro il nazifascismo dal marzo 1937, quando le brigate internazionali accorse all’aiuto della Repubblica spagnola sconfissero il corpo di spedizione di Mussolini a Guadalajara.
Fu il punto di svolta della guerra, l’inizio della lunga marcia dell’Armata Rossa che nei due anni successivi l’avrebbe portato nel cuore di Berlino. Suggellò il riconoscimento dell’URSS da parte degli alleati anglo-americani come grande potenza, ratificato a Yalta.
Trasformò Stalin in un leader riconosciuto a livello mondiale e convinse che la pianificazione socialista poteva fare miracoli. Il costo umano della battaglia, all’incirca due milioni di cadute, la rese la più sanguinosa della storia. 

Stalingrado capitale del mondo

È vero che un tempo la vecchia sinistra venerava il mito di Stalingrado. Tuttavia, ciò è finito all’inizio degli anni ’90 con la fine dell’Unione Sovietica e lo scioglimento del PCI. L‘ultimo apprezzamento serio, “La prospettiva dal Volga” di Enzo Santarelli, è del 1992.

Dal 6 giugno 1994, anche l’Unità diventò succube della fantasiosa reinvenzione della liberazione dell’Europa, da parte del Presidente Reagan, nel occasione del 40° anniversario (con la BRD, come pilastro portante dell’Alleanza atlantica, e l’URSS, l’impero totalitario malevole), per meravigliarsi de “I cieli, i paracadute e i veterani per la giornata più lunga”.

Stalingrado è stata molto più di una vittoria militare. Durante i cinque mesi di battaglia, la “Pittsburg sul Volga” divenne a tutti gli effetti la “capitale del mondo”, la sua capitale morale, per ricordare le parole di Vassily Grossman, il grande scrittore sovietico, allora corrispondente di guerra della Stella Rossa. 

“Nata dalle fiamme”, con ‘una propria planimetria di strade e piazze, propri edifici sotterranei, proprie leggi sul traffico, propri commerci, fabbriche e artigiani, propri cimiteri, concerti e feste di ubriachi… i suoi abitanti vivevano la loro vita più intensamente, eroicamente, perché le condizioni erano così estreme.

La cultura sul fronte di Stalingrado

In queste condizioni si forgiò a Stalingrado una cultura della resistenza davvero ricca e originale, i suoi soggetti, il popolo, i combattenti, i resistenti.
I suoi autori, Vasily Grossman, Ilya Ehrenberg, Konstantin Simonov, George Zelma, Leonid Varlamov, i più brillanti dell’intellighenzia sovietica, per citare solo i più noti. Intendevano con il loro giornalismo, i film, le fotografie, le poesie e le raccolte di testimonianze dei combattenti dare un resoconto veritiero della battaglia, nonché rilanciare l’epica lotta della Rivoluzione d’Ottobre cogliendo il volto umano dei protagonisti: l’odio giusto che giustificava lo slogan “Uccidete il tedesco”, le virtù dell’amore, della solidarietà, della padronanza di sé, del coraggio, ma anche la codardia, la diserzione del dovere, gli errori fatali, il cattivo come il buon comando.

Inevitabilmente, la loro produzione culturale si fece carico dell’impatto della guerra di sterminio, dal vero e proprio Vernichtungskrieg condotto dal Wehrmacht, l’SS e altri servizi speciali sul fronte orientale. Hitler prometteva una relativa autonomia all’ l’Europa occidentale. Sottomessa da alleanze, occupazioni e collaborazioni, faceva comunque parte integrante del Nuovo Ordine nazifascista, una volta subordinata, epurata e riorganizzata in nome della loro comune civiltà cristiano-ariana, antigiudaico-bolscevica. 

Al contrario, l’imperialismo nazista intendeva colonizzare l’Asia europea fino al Volga e, a tal fine, estirpare gli ebrei, uccidere tutti i bolscevichi, la spina dorsale dello Stato sovietico, e far morire di fame una trentina di milioni di persone sotto la copertura dell’invasione per mantenere il tenore di vita relativamente alto dei tedeschi, mentre spingeva i sopravvissuti a est verso la Siberia. 

Una nuova cultura della resistenza

La cultura del fronte di Stalingrado raccontava così le atrocità naziste contro gli ebrei, le torture e gli omicidi di massa dei civili e la morte per fame di centinaia di migliaia di prigionieri di guerra. Ha prodotto immagini impressionanti dei nuovi modi di condurre la guerra: dei lanciarazzi Katjuša,” gli immensi carri T-34, l’orrore dei lanciafiamme tedeschi, la Rattenkrieg condotta casa per casa nelle rovine sterminate che terrorizzava i soldati tedeschi, la difesa ad oltranza delle grandi fabbriche, che pur continuavano a lavorare, riparando carri armati, i combattimenti casa per casa, del saccheggio, della tortura delle donne che resistevano, dello stupro dei civili e dei cadaveri dei tedeschi caduti.

Queste immagini mettevano in mostra gli eroi dello sforzo bellico sovietico, dal cecchino-eroe ai soldati comuni, al coraggioso commissario, dai generali impegnati nelle loro baracche in prima linea, scavate nelle rive del Volga, al compagno Stalin dalla calma preterintenzionale al lavoro con lo Stato Maggiore. Crearono nuova immagine della donna impegnata tanto quanto gli uomini nella resistenza ad oltranza, con piloti e cecchini, infermiere in prima linea, e giovanissime operaie.

Tutto ciò fu immesso nelle prodigiose reti di comunicazione globale di Mosca per generare solidarietà e aiuti materiali per lo sforzo bellico sovietico. E i maggiori utilizzatori furono di gran lunga proprio questi alleati, la Gran Bretagna e, dal dicembre 1941, gli Stati Uniti, un tempo isolazionisti, che a loro volta utilizzarono i notiziari, i cinegiornali, i film, la letteratura e i tour di propaganda per mobilitare il proprio popolo alla guerra totale nella prospettiva di montare il secondo fronte a lungo promesso per alleggerire la pressione sul fronte orientale.

L’appello alla solidarietà lanciato da Stalingrado diede passione morale e spina dorsale al pallido appello all’azione della Carta Atlantica di Churchill e FDR dell’agosto 1941, con le sue promesse di mari aperti, libero commercio, libertà dalla tirannia (per l’Europa, non per i domini coloniali europei), e nessun accrescimento territoriale per i vittoriosi. Gli alleati anglo-americani, a loro volta, comunicarono l’esperienza sovietica della guerra in modo capillare attraverso i film di Hollywood, l’AP e la Reuters, la BBC e la Voice of America in un centinaio di lingue.

La vittoria di Stalingrado

Ovunque, la notizia della vittoria di Stalingrado annunciò che Il nazifascismo poteva essere sconfitto.
Dal suo quartier generale nelle caverne sui monti Quinlaing della provincia dello Yunan, rintanato per resistere al Kuomintang e ai giapponesi, Mao-Tse Tung ci arrivò prima.
Già il 12 ottobre 1942, dopo aver decifrato un cablogramma del Comintern, scrisse sul
Liberation Daily: “Fin dalla sua nascita, uno Stato fascista come quello di Hitler costruisce la sua vita politica e militare sull’offensiva, e una volta che l’offensiva si ferma, si ferma anche la sua stessa vita”.

Dal novembre 1942, Palmiro Togliatti parlò quasi ogni notte, attraverso La Voce di Mosca, sollecitando gli organizzatori clandestini a ricollegarsi agli operai delle fabbriche lombarde (che ascoltavano anche la BBC), aprendo la strada ai primi grandi scioperi del marzo 1943.
Così Jawaharlal Nehru, leader del movimento indipendentista indiano a Calcutta, imprigionato dagli inglesi, esultò alla notizia della vittoria come segnale dell’apertura del fronte unito contro l’imperialismo britannico.

Allo stesso modo, la gioia dei tanti neri dell’America segregata, a cui la poesia di Langston Hughes, scrittore di Harlem, ricordava il significato della vittoria: “Buon dì Stalingrado! / Sei all’altro capo del mondo, ancor più. / Ma quando rombano i tuoi cannoni / Rombano per me –/e per tutti coloro/che vogliono essere liberi”.

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