Articoli e inchieste

La NATO oltre la Guerra Fredda


Tempo di lettura: minuti

In foto: Bandiere, tra cui quella della NATO, dispiegate al Checkpoint Charlie, posto di blocco situato a Berlino tra il settore sovietico e quello statunitense


Si discute molto della NATO e del suo allargamento in queste settimane.

E se ne discute ahimè quasi sempre male: dentro schemi molto binari e invariabilmente deterministici.

Per i quali la progressiva estensione dell’Alleanza Atlantica verso i confini della Russia post-sovietica avrebbe costituito un’inutile minaccia, irrispettosa delle esigenze di sicurezza di Mosca e che giustifica se non la guerra in Ucraina di certo le accuse di Putin agli Usa e ai loro alleati.

Ovvero che avrebbe costituito uno strumento efficace, e storicamente validato, per garantire stabilità e sicurezza in Europa, aperto – se solo lo avesse voluto – alla stessa Russia.

Si tratta di schemi che cercano facili causalità tra la storia e l’oggi, laddove l’allargamento della NATO ha costituito invece un processo complesso, opaco, in parte accidentale e di certo non predeterminato.

Che non ha prodotto un pericolo securitario in senso stretto per la Russia, protetta da una capacità deterrente totale grazie alla sua forza militare e al suo arsenale nucleare.

Ma che ha di certo alimentato un nazionalismo russo, vittimista ma potente ed efficace, spesso centrato sull’umiliazione che le sarebbe stata inflitta con la fine della Guerra Fredda e la perdita non solo della sua sfera d’influenza, ma anche di pezzi storici del suo impero “naturale”.

Umiliazione simboleggiata dalla malcelata sufficienza con la quale Washington accolse negli anni Novanta le proposte della Russia post-sovietica di costruire una nuova architettura di sicurezza pan-europea fondata sull’asse russo-statunitense: su un bipolarismo collaborativo stridente, in realtà, con la debolezza russa, con le posizioni degli alleati vecchi e nuovi degli Usa in Europa e, progressivamente, con lo stesso contesto politico statunitense.

NATO
Informal meeting of Nato Defense Ministers

Perché la NATO – creatura in fondo della Guerra Fredda – alla Guerra Fredda non solo sopravvisse, ma fece seguire un allargamento che portò dentro il suo perimetro ultimo non solo i vecchi nemici del Patto di Varsavia, ma anche alcune ex repubbliche sovietiche (i baltici)?

E che legami vi sono tra l’allargamento e questi rigurgiti neo-imperiali russi, così drammaticamente in azione in Ucraina?

Alla prima domanda possiamo offrire risposte diverse raggruppabili, per comodità esplicativa, in 3 grandi categorie: storiche, strategiche e politiche.

La nascita della NATO

Trent’anni fa la struttura di sicurezza transatlantica, federata dall’egemone statunitense, sembrava offrire garanzie certificate dalla sua stessa storia.

Aveva permesso di gestire la questione tedesca, di rendere permanente un impegno statunitense in Europa e di contenere qualsivoglia ambizione espansionistica sovietica.

Le tante alternative prospettate a inizio anni Novanta – un nuovo ruolo per la CSCE, uno smantellamento dell’Alleanza Atlantica, una qualche neutralità europea – apparivano tutte come dei balzi verso un ignoto pericoloso e imprevedibile.

Anche perché, secondo aspetto, le fondamentali motivazioni strategiche che avevano determinato la nascita della NATO non erano venute meno.

In un contesto di certo diverso, rimaneva in una qualche misura valido il vecchio assioma di Lord Ismay, il primo Segretario Generale della NATO, per il quale l’organizzazione serviva per “tenere dentro gli americani, fuori i russi e sotto i tedeschi” (to keep the Americans in, the Russians out and the Germans down).

L'entrata dei peasi europei nella NATO in ordine cronologico
L’entrata dei peasi europei nella NATO in ordine cronologico

Rimanevano cioè l’esigenza d’imbrigliare la nuova Germania unita dentro una struttura capace di contenerne velleità di potenza ed eccessiva autonomia; di trattenere gli Usa in un’Europa che – come le guerre jugoslave evidenziarono – non era in grado di produrre e fornire sicurezza; e di fronteggiare una Russia ben presto catturata da pulsioni autoritarie e revanscismi nazionalisti (che che una certa mitologia dell’umiliazione nutriva ed esacerbava).

La cifra politica dell’allargamento si manifestava infine nel convincimento che esso sarebbe stato funzionale alla transizione democratica in Europa centro-orientale: offrendo la fondamentale cornice di sicurezza e stabilità di cui questa abbisognava; rafforzando – tanto sul piano interno che su quello internazionale – le nuove élites politiche dei paesi dell’ex blocco sovietico; rispondendo a una sollecitazione che, dal basso, originava in quegli stessi paesi dove elezioni e sondaggi evidenziavano come vi fosse un sostegno ampio all’ingresso nella NATO, in particolare nei primi tre Stati ad accedervi nel 1999, Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria.

Allargamento della NATO

Vari escamotage istituzionali furono creati per rendere l’allargamento accettabile a Mosca.

E i rapporti con la Russia conobbero numerosi alti e bassi tra il 1991 e il 2014, quando ci fu la prima crisi ucraina, l’annessione della Crimea e l’adozione delle sanzioni contro il regime russo.

In Russia, però, l’espansione della NATO divenne uno degli elementi centrali di una narrazione nazionalistica che Putin avrebbe cavalcato, rielaborato ed esasperato.

Narrazione poco credibile, si diceva, laddove si denuncia un pericolo, quello della sicurezza della Russia, che l’Alleanza Atlantica non è davvero in grado di minacciare.

Ma che acquista forza e concretezza quando s’inseriscono altre variabili nell’equazione: l’unilateralismo statunitense del dopo 11 settembre 2001; i doppi standard adottati da Washington in materia di sovranità, diritti e legalità internazionale; l’abbandono statunitense di alcuni dei pilastri dell’ordine internazionale, in particolare l’uscita sempre nel 2001 dal fondamentale trattato ABM, che limita le capacità di difesa missilistica e formalizza, anche simbolicamente, il meccanismo della deterrenza nucleare.

Un ordine globale dolosamente destabilizzato dagli Stati Uniti medesimi, che non giustifica in alcun modo Putin ma aiuta in una qualche misura a spiegarlo.

 

La Fondazione ti consiglia

Restiamo in contatto