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“Non posso venire via proprio adesso”: la guerra e il coraggio di raccontarla. A vent’anni dalla morte di Maria Grazia Cutuli


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#19novembre2001

Ha trentanove anni Maria Grazia Cutuli quando muore per un attentato in Afghanistan, a Sarobi, sulla strada fra Jalalabad e Kabul. Con lei muoiono tre colleghi: lo spagnolo Julio Fuentes di «El Mundo» e due corrispondenti dell’agenzia Reuters, l’australiano Harry Burton e l’afghano Azizullah Haidari. L’attentato è opera dei talebani, il cui governo a Kabul è appena caduto.

Cosa sta accadendo?afghanistan 2001 a cosa è servuta questa guerra

È in corso da sei settimane la guerra che il 7 ottobre Stati Uniti e Gran Bretagna hanno deciso di portare in Afghanistan, in reazione alla mancata consegna dei responsabili dell’attacco alla Twin Towers, dell’11 settembre.

La guerra che si è conclusa il 15 agosto 2021 e il cui bilancio, osserva nel suo intervento Emanuele Giordana, andrebbe tentato da almeno due angoli visuali, non solo quello della coalizione occidentale, ma anche da quello posto a Est, che apre a decisive questioni geopolitiche.

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Maria Grazia Cutuli è in Afghanistan perché vuole capire e raccontare senza fare sconti a nessuno.

Ficca il naso, indaga e traccia le due rette parallele di quella che si delinea come una “sporca guerra”: da una parte Bush e le ragioni per cui ha voluto la guerra; dall’altra i talebani oscurantisti, signori e padroni di un territorio senza pace, nel quale sono soppresse anche le più elementari forme di libertà.

Come scrive David Bidussa in questo speciale, nell’ultimo secolo l’inviato di guerra non si limita a descrivere la “guerra-battaglia” ma descrive la “guerra-sistema”: “mette a nudo i sistemi politici, le strutture economiche, le credenze culturali che intorno alla guerra si muovono e che definiscono il senso della politica”.

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Capire, raccontare, informarescene di guerra spazi di disorientamento

Maria Grazia Cutuli non compiace nessuno, di conseguenza non piace a nessuno.

Muore mentre sta svolgendo il suo mestiere con la perizia e la scrupolosità che è propria dell’etica del giornalista.

Quell’etica che, con le parole di Francesca Mannocchi, è “la capacità di ascolto, la disposizione a farsi traduttori di mondi, liberando il reale dal rischio di diventare un magazzino degli orrori.

La disposizione a restituire al reale tutte le sue sfumature, che abbiamo ingabbiato in stereotipi e semplificazioni”.

Approfondimento multimediale

Ascolta l’intervento durante l’iniziativa We Women del 2021 in Fondazione Feltrinelli della scrittrice e giornalista britannica Christina Lamb.

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Perché rischiare?

Quel giorno non cade solo una donna ma anche una certa idea di giornalismo, di un giornalismo che “vuole andare a vedere”, che va nei luoghi in cui i fatti si svolgono anche a costo della vita.

Come scrive Serena Marotta,
“perché rischiare?
Per fare il proprio dovere, quello di informare.
Anche se questo lo si può pagare con la vita”.

Prima di Maria Grazia, abbiamo assistito a un’altra morte atroce in Africa, a Mogadiscio.

Era il 1994 e nonostante l’esperienza sul campo, anche Ilaria Alpi e Miran Hrovatin trovarono la morte per le strade di Mogadiscio. Ilaria come Maria Grazia sentiva forte il dovere di informare: “è la storia della mia vita, devo concludere, devo fare, voglio mettere la parola fine”, aveva detto al suo collega Calvi mentre cercava di convincerlo a partire. Così decise di affrontare quel settimo viaggio, l’ultimo. Come Ilaria anche Maria Grazia ha insistito per restare in Afghanistan e raccontare ciò che aveva scoperto”.

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