Articoli e inchieste

2024 Voices: Un Think Tank a Bruxelles per unEuropa più inclusiva e sostenibile


Tempo di lettura: minuti

Alessandra Cardaci, Lead Partnership Manager di Debating Europe, ci racconta di cosa può fare un think tank a Bruxelles per incentivare la partecipazione e sostenere un ideale attivo di cittadinanza a livello locale ed europeo.

Ci racconti un po’ del tuo lavoro e di cosa si sta muovendo in Belgio sul tema dell’innovazione democratica?

Devo fare un passo indietro e raccontarti di Friends of Europe (FoE), un think tank tra i più prestigiosi a Bruxelles, la cui azione è volta a mettere insieme attori molto diversi tra loro, dal settore pubblico e privato, con lo scopo di co-produrre idee e con l’ambizione che queste possano poi influenzare il policy making europeo, e internazionale. Abbiamo delle core issues, dei temi caldi che copriamo, quali la digitalizzazione, le politiche ambientali e quelle relative alla pace e alla sicurezza: un esempio tra tutti è il nostro essere tra le organizzazioni co-fondatrici della Fondazione Africa-Europa, che ha l’obiettivo diripensare le relazioni tra l’Europa e il vicino continente africano per trovare risposte globali a problemi altrettanto globali.

Dentro questo think tank, circa undici anni fa è cominciato un esperimento unico nel suo genere, perché FoE si è dotato di una unità dedicata specificatamente al citizen engagement, cioè Debating Europe, per la quale io ricopro il ruolo di lead partnership manager.

La missione è ambiziosa: vogliamo sostenere un’Europa più inclusiva, proiettata sul futuro e che sia davvero sostenibile. Per questo abbiamo tanti interlocutori, dal mondo della ricerca ai decisori politici, passando per il settore privato che non si può escludere se si vuole pensare a un policy-making davvero efficace.

Credo si tratti di una scelta, da parte di FoE, unica nel suo genere: dedicare un’intera unità in house al coinvolgimento dei cittadini sin dalla radice, cioè nel momento della produzione di idee nell’ottica di un multi-stakeholder approach davvero inclusivo.

 

Cos’è cambiato, in Europa e in DE in questi anni?

Tantissimo! Debating Europe nasce come blog, come piattaforma online in cui – anche in totale anonimato – si potevano inviare domande, commenti, e avere riscontro da espertidall’accademia alla politica.

Nel frattempo, c’è stata la vera rivoluzione digitale, la pandemia, e soprattutto un’onda crescente di attenzione verso la democrazia deliberativa e partecipativa. Questo ci ha incoraggiati a sviluppare le nostre modalità di comunicazione verso l’ibrido, per poter accedere in modo più incisivo all’intelligenza collettiva dei cittadini e delle cittadine, includendo le loro prospettive tramite focus group e dentro spazi accessibili e neutri di condivisione di idee, su tematiche certo complesse ma da affrontare portando innanzitutto la propria storia, la propria vita di tutti i giorni.

A cosa state lavorando adesso?

Al progetto ‘2024 Voices – Citizens Speak Up!’, in vista di un anno pieno di elezioni, soprattutto il 6-9 giugno quando eleggeremo il nuovo Parlamento Europeo. Stiamo coinvolgendo circa 2024 cittadini da  7 paesi dell’UE(Belgio, Francia, Germania, Spagna, Italia, Polonia e Svezia), che rappresentano la diversità geografica dell’Unione, per discutere di temi rilevanti come l’economia, la democrazia, il cambiamento climatico, la pace e la sicurezza.

La forza di questo progetto sta nel rendere temi complessi ma estremamente rilevanti accessibili a cittadini non esperti e offrire loro spazi di scambio sicuri e neutri nella propria lingua madre. Abbiamo anche cura di ricompensare i partecipanti per il loro tempo.

Nei primi mesi del 2024 pubblicheremo il rapporto che confronterà i dati, ovvero le idee e le raccomandazioni dei cittadini sui quattro temi principali, con un’analisi comparativa tra paesi, dentro i paesi e tra generazioni.

Qualche spoiler?

Ahimè non posso rivelare i risultati prima della pubblicazione del rapporto a inizio 2024, ma posso dirvi che i partecipanti hanno dimostrato consapevolezza del bisogno di innovazione dei processi istituzionali in senso più genuinamente democratico. Si è parlato molto anche di ripensare l’educazione civica nelle scuole per viverla nella quotidianità e trovare modi pedagogici creativi per trasmetterla come materia viva. Un altro tema caldo è stato il voto a partire dai 16 anni e il bisogno di spazi fisici di adesione e confronto. Quanto all’economia, abbiamo testato un certo consenso nei confronti dell’insostenibilità dell’attuale modello capitalistico produttivo: non si tratta di eliminare l’idea stessa di business, bensì di riscriverne le regole di funzionamento e superare alcuni modelli economici evidentemente fallimentari. Al contempo, la domanda sul come garantire un certo livello di produzione e benessere che deriva dal modello capitalistico rimane… Insomma, ci sarà tanta materia interessante da scoprire a inizio 2024!

Qual è l’ambizione di questi progetti?

L’attivazione dei cittadini è un processo lungo ma sempre in formazione: stiamo già tentando di garantire supporti informativi accessibili e gratuiti, di consentire occasioni per fare rete, per scambiarsi opinioni, apprendere e contribuire collettivamente. E nel lungo periodo, questo mira a ripensare il ‘contratto sociale’ europeo in accordo con le sfide del nostro tempo. Tutto ciò costituisce un bacino da cui far attingere la futura leadership europea, e in questo senso noi facciamo del soft lobbying.

 

Ma come, il lobbying non è “quella cosa cattiva che fanno le imprese e i potenti”?

Capisco che in Italia sia percepito così ma a Bruxelles è una pratica regolata su vari livelli. Si può fare in modo più o meno strutturato ma l’assunto è che sia una pratica trasparente e disciplinata, e soprattutto a disposizione di diversi attori in gioco. Noi ci limitiamo a far incontrare persone e a produrre idee da sottoporre ai decisori per influenzare gli orientamenti e la produzione di policies, in linea con la nostra missione di un’Europa più inclusiva, sostenibile e che guarda al futuro.

E i decisori in questione come stanno reagendo?

Ho avuto l’opportunità di lavorare come facilitatrice perla recente Conferenza sul Futuro dell’Europa (primo esercizio di democrazia partecipativa e liberativa a livello pan-europeo tra il 2021 e il 2022), che spero sia un segno positivo di apertura a sperimentare nuove forme di democrazia da parte dell’Unione. E d’altro canto, le organizzazioni civili a Bruxelles sono molto attive nel monitorare e criticare costruttivamente questi processi, pensiamo a Citizens take over Europe.. Insomma, non si perde di vista un sano spirito critico, ma è anche bene ricordare che il processo lo stiamo costruendo adesso e non è pensabile come già perfetto.

È un fatto però che una società civile vibrante e dinamica si sia organizzata per creare consorzi e alleanze a livello europeo, e che questa attivazione non può essere ignorata dall’Unione. Bruxelles resta un luogo in cui si corre il rischio di portare avanti dinamiche selettive e decisioni distanti dalla realtà quotidiani dei cittadini – il che è lontano dai nostri propositi di inclusione, ma è per questo che associazioni, think tank, partners come noi esistono e non esitano a formare alleanze.

Insomma, la questione della sinergia e del fare rete resta cruciale…

Lo è, così come affidarsi a community partners e associazioni locali che sono davvero il nostro ponte di inclusione e coinvolgimento sul territorio. Nel lungo periodo questi rapporti mostrano tutta la loro ricchezza e capitalizzano un tessuto di proposte e prospettive che è già esistente.

Vogliamo credere che i governi se ne accorgeranno?

Monitorare gli impatti è sempre una grossa sfida, ma stiamo già facendo qualcosa che non era pensabile fino a qualche anno fa. Ad esempio, supportati dalla European Investment Bank abbiamo coinvolto giovani europei e africani per ascoltare le loro opinioni in tema di sicurezza, energia, e della salute. Una reazione quasi immediata alle loro aspettative è stata quella di invitare alcuni partecipanti di entrambi i continenti a una sessione ad hoc alla COP27 del 2022, facendo ascoltare direttamente la loro voce a profili decisionali alti. Oltre l’esperienza in se, crediamo che questo tipo di attività contribuisca in modo significativo a motivare i giovani a partecipare in prima persona e sentirsi cittadini attivi.

Insomma, per rispondere alla tua domanda – si ci crediamo, altrimenti non faremmo questo lavoro. Ma per rispondere ancora meglio, magari richiedimelo fra un anno, dopo la pubblicazione del rapporto 2024 Voices!

La Fondazione ti consiglia

Restiamo in contatto