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Ilaria Salis: quali prospettive?

Il ritorno di Ilaria Salis in un’aula di tribunale è previsto per il 28 marzo*. Fino ad allora la prospettiva, per lei, è quella del carcere, luogo dove si trova da ormai un anno. Tutto questo nell’ambito di un’assurda custodia cautelare che è già di per sé una condanna. È noto che la donna è accusata di aver partecipato all’aggressione di due neonazisti l’11 febbraio 2023, in occasione del “Giorno dell’onore” – manifestazione ideata per celebrare l’“eroismo” delle SS durante l’assedio di Budapest – e di far parte di un’organizzazione criminale tedesca che sarebbe attiva nella caccia ai devoti della svastica.

Di seguito, con le parole di Massimo Congiu, proviamo a entrare in profondità di questa vicenda.

*L’udienza era inizialmente fissata a fine maggio, ma anticipata di due mesi dalla magistratura ungherese (ndr)

Raduni neonazisti

Da diversi anni gruppi di neonazisti si incontrano a Budapest per il “Giorno dell’onore” al quale non partecipano solo fanatici ungheresi ma anche austriaci, tedeschi e di altro passaporto. In Germania e in Austria i raduni neonazisti sono vietati mentre a quanto pare, in Ungheria, sono stati finora tollerati. Stiamo parlando di un paese la cui comunità ebraica è stata decimata con deportazioni nei lager nazisti e brutali esecuzioni a sangue freddo da parte delle Croci Frecciate.

Va detto che quest’anno la commemorazione è stata vietata dalla polizia. Risulta però che i militanti della svastica intendano incontrarsi lo stesso e dar vita a diverse iniziative dedicate alla ricorrenza, forse a mo’ di gita fuori porta, forse in un luogo privato, ma ancora segreto.

Questo è quanto si vocifera. Nella giornata del 10 febbraio, sono comunque previste a Budapest due manifestazioni antifasciste, una, la mattina, al memoriale della Shoah, sulla riva del Danubio, l’altra, nel pomeriggio, a piazza Széll Kálmán (quella che un tempo si chiamava Moszkva tér, ossia piazza Mosca). Come già accennato, non ci sono, invece, notizie precise sul fronte dell’organizzazione dei movimenti nazisti.

Carceri ungheresi in condizioni da incubo

Salis ha dichiarato da subito la sua non colpevolezza ed estraneità all’organizzazione tedesca, e anche secondo l’avvocato ungherese che le è stato assegnato non ci sono prove a suo carico.

È inoltre noto che, in occasione dell’udienza dello scorso 29 gennaio, la procura ha formalizzato una richiesta di undici anni di pena. Essa considera potenzialmente mortali le ferite provocate ai due neonazisti, ma si tratta di lesioni guarite in sei e otto giorni. Oltretutto, a fronte di esse non vi è stata alcuna denuncia da parte delle vittime e, come già precisato, la donna continua a dichiararsi non colpevole, né ci sono prove concrete, a tutt’oggi, contro di lei.

Ilaria Salis in aula a Budapest durante il processo in Ungheria

I resoconti da lei fatti nei mesi scorsi sulle condizioni di detenzione alle quali è costretta sono da incubo.

L’amministrazione penitenziaria ungherese aveva reagito a tali denunce definendo “triste e immorale” che alcuni media italiani avessero partecipato al “getto di fango” nei confronti del sistema carcerario in oggetto.

Negavano quanto scritto da Salis ai suoi avvocati e affermavano che il sistema detentivo ungherese rispetta rigorosi standard igienici e di rispetto della persona.

Le descrizioni della donna erano, però, circostanziate, e in anni recenti le carceri del paese sono state oggetto di critiche, da parte di Bruxelles, per standard evidentemente non proprio corrispondenti a quelli dichiarati da Budapest.

Negli anni scorsi c’è stata, per esempio, una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che imponeva allo Stato danubiano di indennizzare sei cittadini ungheresi detenuti nel 2006. Questi ultimi avevano denunciato condizioni di detenzione caratterizzate da pesanti criticità in diversi ambiti e comunque riguardanti il livello di vivibilità nelle strutture che li ospitavano.

Vi sono senz’altro problemi di sovraffollamento (non solo in Ungheria, beninteso) ai quali contribuisce in modo determinante quello che, secondo testimonianze di attivisti e operatori di ONG attive nel paese, risulta essere un troppo facile ricorso alla carcerazione. Misura, quest’ultima che verrebbe adottata anche per reati punibili con semplici sanzioni pecuniarie.

L’amministrazione penitenziaria ungherese ha quindi protestato difendendo le sue prassi ma tutti abbiamo visto Ilaria con catene ai polsi e alle caviglie, tenuta al guinzaglio secondo modalità che non sono da presunzione di innocenza e costituiscono la negazione del progresso civile e del rispetto della persona.

Catene ai polsi e alle caviglie, un trattamento degradante che non poteva certo passare inosservato. Sembra, però, che il clamore mediatico e politico dovuto alle immagini di Ilaria incatenata abbiano contribuito a migliorare in qualche modo le condizioni di detenzione in cui si trova.

Pare infatti che ora la donna possa comunicare regolarmente con l’esterno e che sia anche riuscita a ottenere l’utilizzo di un asciugacapelli. Resta, invece, critica la sua situazione dal punto di vista della giustizia danubiana.

Il governo chiude la bocca alla stampa

In linea di massima, secondo quanto riferiscono giornalisti ungheresi, risulta che la stampa del paese si occupi poco della faccenda. Sembra che tendenzialmente la gente ne sappia poco o nulla e che gli interessati si documentino sul caso seguendo i media italiani; almeno gli ungheresi che parlano la nostra lingua e hanno un qualche legame con l’Italia. Si apprende anche che il nutrito fronte della stampa filogovernativa che domina la scena mediatica ungherese ha espresso grande soddisfazione per la severità con cui vengono trattati questi violenti “antifa”. Si unirebbero al coro giornali di estrema destra e post sui social di gente accomunata da analoga fede politica che, a quanto pare, esultano e chiedono punizioni esemplari. Quello che resta della stampa non asservita al sistema concepito e guidato da Viktor Orbán si sarebbe limitato a riferire i fatti e a raccontare l’udienza di fine gennaio.

Questo scenario mediatico non deve meravigliare quando si pensi che, come già accennato, le forze che governano il paese da ormai quasi quattordici anni si sono assicurate il controllo della stampa e hanno fatto del loro meglio per silenziare le voci dissidenti.

A livello di informazione prevale, pertanto, la narrazione del regime in termini di politica interna, estera e sociale.

Il pensiero critico viene scoraggiato e le manifestazioni antigovernative descritte come parto di gente scalmanata e infettata dai virus progressisti e liberali.

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