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Il web che fa bene alla democrazia


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Web estrattivo

Per web estrattivo, ha scritto Valerio Bassan, intendiamo «quello stato di Internet in cui il valore creato dalle persone online viene prelevato e sfruttato da aziende terze per fini commerciali che non sono allineati con gli interessi delle persone stesse». Questo “stato possibile” dell’Internet che conseguenze ha per la nostra democrazia? Ne ha nella logica della canalizzazione, il “funnel” dell’attenzione, che induce i cittadini a modellare pseudo-ambienti informativi dentro i quali costruire la propria opinione e, conseguentemente, esercitare una cittadinanza equa e democratica.

Il web estrattivo è però soltanto una possibile configurazione del digitale nell’ottica dataista, una deriva “anti-umana” su larga scala, come l’ha definita Tim Berners-Lee che ha inventato il protocollo web. Ma se vogliamo evitare la trappola del determinismo tecnologico o la tentazione di pensare che la storia sia davvero finita, dobbiamo cominciare a chiederci che tipo di uso facciamo del web e, in particolare, delle piattaforme. Queste possono esercitare poteri cooptativi ingerenti, perché esiste una piattaforma per ogni tipo di attività quotidiana, oppure essere poste al servizio di una partecipazione democratica costruttiva, equa, solidale.

Democrazia elettronica

A tal proposito, a che punto siamo con la e-democracy? Sappiamo che il concetto di cittadinanza digitale è ormai normato anche sul piano europeo, e che la cittadinanza digitale riguarda l’esistenza di strumenti (per esempio le piattaforme), l’accesso concreto a questi, ma anche una padronanza di competenze, valori e attitudini che ci consentano di acquisire l’alfabetizzazione digitale necessaria a farne strumenti di partecipazione democratica elettronica.

Sussiste uno scetticismo diffuso rispetto alle possibilità fornite dalla democrazia digitale: pensiamo alla reticenza nell’accettare i grandi numeri per le firme raccolte online in occasione del referendum sulla cannabis, ma anche a quanto è stato dirimente per l’elezione della nuova segretaria del PD la possibilità di iscrizione online ai seggi per i votanti fuori sede.

A prescindere dalle finalità di utilizzo precipue, le piattaforme possono coadiuvare diversi esperimenti di innovazione democratica. Pensiamo ad esempio al ruolo fondamentale che giocano nell’assicurare pubblicità e trasparenza ai processi deliberativi: anche se questi si basano sulla partecipazione di mini-pubblici in rappresentanza degli interessi di audience più vaste, i media digitali possono intervenire nella creazione di ecosistemi informativi che espandono l’outreach della deliberazione, consentendo a chi non è direttamente coinvolto di seguirne le fasi.

Tentativi di dialogo

In occasione del secondo appuntamento dei webinar di We The People. The Rise of Citizens’Voice, promossi da Fondazione Feltrinelli nell’ambito del progetto PHOENIX, abbiamo provato a delineare potenzialità e sfide sul tema. Pari Esfandiari, fondatrice del Global TechnoPolitics Forum, ha riportato alcuni casi studio di utilizzo delle piattaforme digitali per incrementare il dialogo tra le istituzioni e i cittadini.

Ogni Paese ha provato a individuare il mix vincente di combinazioni e strategie, ma si tratta ancora di processi imperfetti e di continuo apprendimento per i governi. In Islanda, ad esempio, subito dopo la crisi finanziaria del 2008, è stato creato un forum deliberativo online basato sulla partecipazione volontaria, quindi una selezione fortemente randomica, che si è risolta nella creazione di bozze di referendum popolari rimasti per lo più disattesi dai decisori politici.

Il Messico, racconta Esfandiari, ha usato le piattaforme per organizzare una survey online sulla trasformazione in Stato federale, sfruttando change.org per fornire input più sostanziali sui progetti in corso; il Cile ha tenuto conto delle piattaforme nella promozione della riforma costituzionale, partendo da processi deliberativi implementati in assemblee locali.

Strumento e non fine

Insomma, non solo i Comuni, ma Stati interi si stanno mobilitando per ricucire la sfiducia tra rappresentati e rappresentanti, e sebbene si tratti di esperimenti a volte fortemente lacunosi, rappresentano uno sforzo importante per bilanciare la democrazia rappresentativa e quella diretta, e per non cadere nel paternalismo autoritario digitale.

In questo quadro, non potremo non tenere conto dell’Intelligenza Artificiale, ci ricorda Tiago Peixoto dalla World Bank: questa potrà essere di grande supporto ai governi per interpretare e leggere gli input forniti dai cittadini tramite i portali, evitando di incorrere in letture parziali e ideologiche dei dati stessi, funzionali a evitare il “naming and shaming effect”.

Ma la piattaforma, ha ricordato Davide Casaleggio a partire dall’esperienza di Rousseau, non deve essere pensata come il fine ultimo, ma come uno strumento per costruire comunità che si sentano rappresentate. In questo senso, dovremmo forse avere l’ardire di immaginarci che i processi partecipativi comincino ancora prima, e cioè nel co-design partecipato e istituzionale delle piattaforme stesse.

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