Pubblichiamo qui di seguito la testimonianza di Sante Scardillo, un artista milanese che da quarant’anni abita a Manhattan.
C’è già chi lo chiama “Black Giuliani”, e la formula di governo che sta emergendo non è diversa da quella dell’ex “Sindaco d’America”: tough on crime (tosto con i criminali) per ripulire la città dagli indesiderabili. Sulla Bowery, viale che dà nome alla zona storica di diseredati, alcolisti all’ultimo stadio, e artisti e poeti che mezzo secolo fa e più si accasavano in loft industriali a poco prezzo (nessuno voleva abitare sulla Bowery… allora) sembra sia scoppiata una bomba N (al neutrone) al contrario.
Uno scoppio al rallentatore, come quello del finale di Zabriskie Point, ma spalmato sui quarant’anni che ci abito: mentre la bomba N ha fama di lasciare intatti gli edifici, e fare un’ecatombe umana, la bomba $ che è scoppiata (non solo) sulla Bowery, ha cambiato completamente il volto (e i prezzi) dell’architettura, mentre la fauna umana che vedo da 40 anni è pressoché immutata, benché più numerosa che mai, nei bivacchi improvvisati. Alberghi, naturalmente di lusso, incluso uno di Herzog e De Meuron con un balcone che mi fa sentire come una scimmia nella fossa di uno zoo quando ci passo vicino (ci manca solo che i visitatori abbienti lancino le noccioline ai residenti, mentre si godono il fresco dell’ora del cocktail in bella stagione); e c’è il New Museum, il più politically correct, dove Massimiliano Gioni è Direttore Artistico.
La catena di supermercati di proprietà di Bezos, (che se l’è comprata in toto) ha aperto ormai da un decennio, su un terreno che era stato un malfamato parcheggio comunale all’aperto: gli amici mi dicevano che trovavano siringhe e preservativi usati nelle macchine che non chiudevano nemmeno per non dover riparare serrature e finestrini. Ora è diventato il supermercato sotto casa, prima non ne avevo: dovevo camminare un chilometro per arrivare al più vicino.
La storia di Nadine
Ma la recrudescenza degli effetti di pandemia e di una crisi che serpeggiava già prima, nell’economia reale che si svolge fuori dai mercati finanziari, ha reso ancora più visibili, nella zona dove i ricoveri e le flophouses sono ancora numerosi, quelli che a vivere “normalmente”, proprio non ce la fanno. Nadine, laureata a Berkely con un Master in Antropologia e candidata phD alla European Graduate School di Malta, da anni sta sull’angolo del supermercato, non è la tipica homeless: articolata, vestita decentemente e sempre profumata di olii con cui mantiene una difficile routine di pulizia personale, non chiede nemmeno: la gente che la conosce si ferma e le dà qualcosa. Ci facciamo lunghe conversazioni (per questo ho notato gli sponsor regolari).
Lei non andrebbe mai nei ricoveri, che sono pericolosi e fatiscenti: entrai in uno più di vent’anni fa, all’inseguimento di due che avevano derubato un altro diseredato peggio in arnese, e ne rimasi sconvolto. I poliziotti alla porta non diedero nessun rilievo alla mia denuncia verbale, e mi dissero che, se volevo, potevo cercarli io. Io entrai in questo enorme e affollato stanzone male illuminato, dove i due malviventi si erano già mimetizzati, e capii subito che non li avrei mai identificati. Pochi altri niuiorchesi che non ci vanno a dormire hanno visto l’interno di un ricovero.
Un paio di settimane fa, Nadine mi ha parlato di un incontro fra istituzioni e comunità in cui si è discussa la costruzione di un altro rifugio per senza casa nel Lower East Side, a cui la comunità si oppone: i residenti dicono di averne già troppi. Nadine si è presentata per parlare, ma le hanno detto che era troppo tardi, il limite massimo per registrarsi per intervenire era un’ora e mezza prima dell’inizio dell’incontro. A me che a questi eventi vado regolarmente, sembra una scusa: il limite di solito è mezz’ora.
Ma la comunità ha sbagliato su due fronti: quello etico e la causa che Nadine avrebbe perorato, che probabilmente i residenti hanno mal interpretato. Nadine avrebbe detto che nemmeno lei vuole rifugi. I soldi pubblici dovrebbero essere spesi invece per residenze permanenti, dove chi è nella sua condizione può vivere dignitosamente. Ma questo al sindaco non serve: con i rifugi, dati in gestione a privati consociati, si crea una struttura di patronato politico, e contribuzioni alla campagna per la sua rielezione. Agli immobiliaristi e costruttori che hanno finanziato la sua elezione (ne dirò oltre), costruire per i diseredati non interessa: vogliono strutture di lusso, molto più redditizie.
Il problema delle armi da fuoco
All’altro estremo c’è lo sconosciuto omicida che, ospite a lungo termine della Bowery Mission, un’augusta istituzione che svolge la sua missione da un secolo e mezzo, durante il capodanno cinese ha seguito una giovane donna che rincasava tardi, fin nel suo appartamento, e la trucidò brutalmente. Altri due omicidi consumati qualche mese prima, perpetrati contro due fattorini in ciclomotore, anch’essi di origine asiatica, rimangono irrisolti: tutti e tre sono avvenuti lungo lo stesso parco Sarah Roosvelt, storicamente frequentato da tossicomani violenti. Il primo, a due isolati a nord dell’appartamento della giovane; l’altro, a un isolato a sud.
I media locali non hanno fatto alcun collegamento: forse perché tutti e tre gli omicidi erano all’arma bianca, mentre Black Giuliani è in prima linea contro le armi da fuoco. Ieri (4 aprile 2022) la stampa locale ha dato ampio rilievo alla sua partecipazione a un funerale a Brooklyn: un bambino di 12 anni è stato “giustiziato” a colpi di pistola mentre aspettava un familiare in macchina da un killer inetto che probabilmente intendeva uccidere il ventenne che era con lui, che invece è rimasto ferito.
Ma nonostante l’evento mediatico, con la famiglia distrutta e membri che hanno parlato ai media, la presunta risolutezza di Adams potrà fare ben poco. Il secondo emendamento alla costituzione americana è sbandierato dalla agguerritissima e ricchissima lobby degli armaioli, che ad ogni tentativo di regimentare il traffico di armi, grida al costituzionicidio. I tribunali, e i politici repubblicani, ne fanno una questione di “libertà” e di tentativo di diniego dei diritti civili, ogni volta che si tenta, a qualunque livello, di introdurre misure anche leggere, come una matricolazione nazionale delle armi da fuoco. Se c’è per le automobili, perché non dovrebbe esserci per le armi?
C’è solo in caso di guerra: la costituzione stessa è nata da quella che in Italia viene chiamata Guerra d’Indipendenza; qui guerra rivoluzionaria. È finita sei anni prima della Rivoluzione francese, ed è stata la prima volta, nella storia moderna che un popolo ha dichiarato la sua indipendenza, deposto un monarca e congegnato una democrazia (anche se nella costituzione questa parola non c’è). E prima di scrivere e promulgare la costituzione quattro anni dopo, ci sono state grandi discussioni sulla necessità o meno di avere un esercito permanente.
Questo per dire: il problema delle armi da fuoco illegali non può essere risolto da nessun Adams. New York, stato e città, hanno passato a livello locale alcune fra le leggi più severe e stringenti su acquisto e possesso di armi da fuoco; che in ogni caso vengono sfidate nei tribunali locali e federali dalla lobby delle armi da fuoco, che ha anche una sua associazione, sul modello dell’Automobil club: si chiama National Rifle Association.
Come nel caso di Giuliani, Adams sta utilizzando gli homeless e gli omicidi con arma da fuoco come armi di distrazione di massa. Intanto continua i grandi progetti di sviluppo ereditati da De Blasio, che a sua volta ha finito di realizzare quelli di Bloomberg, come Hudson Yard: grattacieli e malls di lusso utilizzando un gigantesco cavillo per beneficiare di quattro miliardi di dollari in sovvenzioni pubbliche e sgravi fiscali, perché l’area era da considerarsi svantaggiata, in quanto costituita da binari ferroviari a cielo aperto.
Con i soldi pubblici ottenuti sono stati costruiti “trampoli” architettonici giganteschi, fra un binario e l’altro, sui quali poggia l’intero quartiere. La legge relativa era stata scritta per incentivare progetti ad Harlem, Bronx, la Brooklyn del bambino ammazzato l’altro ieri (non quella che vedono i turisti); dove invece non si è costruito nulla.
A Governor’s Island
Durante gli ultimi mesi del regime De Blasio hanno finito di consumarsi dei clamorosi scandali ai danni degli abitanti presenti e futuri di New York City. A Governor’s Island, 70 ettari a mezzo miglio di baia a Sud di Manhattan, è stato tolto il limite in altezza di tre piani e i vincoli storici e monumentali: quello che era un parco nazionale con installazioni militari del XVIII secolo ora potrà avere palazzi anche di dieci piani. Questa è stata solo la prima variante allo status di monumento che l’isola (di fatto) aveva dai tempi della colonia olandese; le altre arriveranno.
L’ isola, di proprietà del governo federale, era stata “venduta” al comune di New York per il prezzo simbolico di un dollaro, al termine dell’amministrazione Clinton (2000). Il National Parks Service continua ad amministrare quello che ora resta il parco storico dell’isola: 9 ettari. Gli altri 61 sono in mano all’ente quasi-governativo incaricato del suo sviluppo.Simile rimozione di limiti e delle protezioni (faticosamente acquisite dopo decenni di lotte, la Loft Law) per gli artisti che ancora risiedono a Soho. La zona è da tempo un grande mall di lusso a cielo aperto: a Spring Street, l’isolato fra Greene e Wooster ha i flagship stores di Chanel, di fianco a Valentino, di fianco a Burberry e a chiudere la serie (e l’isolato), Etro. E gli unici spazi espositivi rimasti interessanti per chi ama l’arte sono quelli della DIA Art Foundation, che ebbe la lungimiranza di comprarseli negli anni ’70, e da allora presenta una istallazione permanente di Walter De Maria in ciascuno spazio.
Stessa sorte per il primo insediamento europeo a Brooklyn (1636), che ha un nome Algonchino olandesizzato, la ex-zona industriale dell’ex fiume, diventato canale, di Gowanus a Brooklyn. Nonostante le agguerrite proteste della comunità (come anche a Soho), sono stati rimossi i limiti di altezza agli 82 isolati inquadrati nella variante passata a novembre dell’anno scorso (nonostante l’opposizione del consigliere comunale che rappresenta la zona che subisce il grosso della variante).
Nel 2010 il governo federale aveva inserito Gowanus fra i superfund sites: zona di catastrofico inquinamento ambientale da riabilitare. Aveva poi stanziato 506 milioni di dollari per rimuovere quella che in linguaggio locale viene chiamata “maionese”: strati profondi di liquami che si sono accumulati sul fondo del canale nel secolo in cui la zona era uno dei centri di attività industriali non regolate più febbrili. Mentre procedeva la “bonifica” del canale, conclusione prevista nel tardo 2022, i soldi del governo federale vengono spesi anche per la ricostruzione e fortificazione delle sponde, per poter costruire grattacieli alti fino a 30 piani, in riva a quello che sarà venduto come un pittoresco canale con 6 ettari di parco nuovo: 8.500 nuovi appartamenti (superfluo aggiungere: di lusso, o “market rate”) sono previsti nella variante.
Incidentalmente, il limite di altezza è di soli 17 piani lungo la Quarta Avenue: il confine tra Gowanus e Park Slope, il quartiere dove ha casa e si vanta di abitare (anche per potersi presentare alle elezioni di novembre come candidato alla camera bassa del Congresso degli Stati Uniti, quale rappresentante del distretto) l’ex sindaco, e artefice della “riforma”, Bill De Blasio.
E non solo: anche Brad Lander, ex consigliere comunale che ha votato anche lui per la variante, e che a novembre è stato “promosso” alla carica di revisore fiscale del comune di New York, da un elettorato che dalla stampa ha solo ricevuto sbandieramenti delle sue “credenziali progressiste”; nulla dell’imperdonabile tradimento dei suoi ex costituenti, che la variante la stanno combattendo in tribunale.
Ma il peggio va all’East River Park, un nastro di 20 ettari di verde che si snodava lungo il Lower East Side, dopo le case popolari (alcune ghetti pericolosi, altre condominii ben tenuti dalla middle class) e lo FDR Drive, l’autostrada che percorre tutto il contorno est di Manhattan, da cima a fondo, e costeggiava il braccio di mare che si chiama East River. Aperto nel 1939, aveva 993 alberi di alto fusto con almeno 80 anni di età; piste di atletica, campi da calcio, baseball e tennis; un teatro, immortalato nel film Wildstyle (1983, manifesto di Hip-hop e graffitismo dei tempi); persino un roseto, che a novembre dell’anno scorso era in fiore. De Blasio ha spinto un progetto di “resilienza per il prossimo Sandy”, in contrapposizione a uno che avrebbe mantenuto il parco quasi come era, commissionato da conservazionisti, residenti e attivisti della zona.
Incredibilmente, per un politico che ha sempre vantato “credenziali verdi”, il suo progetto prevede l’abbattimento dei quasi 1000 alberi, la più grande foresta urbana mai piantata dall’uomo a essere distrutta, secondo il detto mutuato dalla guerra del Vietnam: per salvare il villaggio abbiamo dovuto distruggerlo. E così, quando i petali delle rose nella foto non erano ancora caduti, e nel mezzo di battaglie legali ancora in corso, con il sindaco in violazione di ordinanze giudiziarie (non applicate dalle polizie: del comune e dello stato, nonostante chiamate e appelli, fra gli altri, del sottoscritto) e davanti a un pubblico affranto, sono arrivate ruspe e motoseghe e hanno fatto un’ecatombe di alberi, che sono stati tagliati e ridotti in trucioli negli ultimi giorni dell’amministrazione De Blasio, nonostante battaglie giudiziarie, manifestazioni e arresti di chi si è incatenato agli alberi.
La distruzione, secondo il piano De Blasio, dovrebbe essere il preludio all’arrivo di miliardi di tonnellate di detriti (non si sa di che provenienza o tossicità) e terra di riporto, per “rialzare” di 3 metri sul livello dell’East River il parco e ricostruirlo a un costo di un miliardo e mezzo di dollari (senza contare i 200 milioni che vanno persi nella distruzione di quanto era stato concluso pochi anni fa). Consegna: 2027. Nessuno ci crede. Gli altri progetti, per quanto avidi e crudeli, sono stati presentati pubblicamente come tali, hanno causato grandi lotte politiche e giudiziarie non ancora risolte, e chi li ha votati in Consiglio Comunale, pur indorando le proprie motivazioni, lo ha fatto apertamente.
Ma vox populi, fra attivisti e residenti non creduloni della zona, che includono anche la ex consigliera comunale ed ex giudice Kathryn Freed, è che fra qualche anno l’autorità di turno (se non Adams, il suo successore) ci dirà che i soldi per la ricostruzione del parco sono finiti, e che bisogna far intervenire investitori privati; che in cambio di terreni edificabili (certo non per case popolari) in riva all’East River, erogheranno fondi per completare un parco molto ridotto rispetto ai 20 ettari che i non abbienti di New York hanno goduto per più di 80 anni.
Quale sarà la parte non recuperata è già chiaro ora: nella foto di qualche giorno fa è chiaramente visibile il confine fra il distretto consiliare 2 (con gli alberi), rappresentato dalla ambiziosa Carlina Rivera, dove gli alberi ci sono ancora, e il distretto consiliare 1 (senza alberi), da gennaio rappresentato da Chris Marte, che ha fatto campagna promettendo di impegnarsi a salvare il parco.
Al momento del voto in Consiglio, però, la rappresentante della zona era Margaret Chin, che, come Rivera, aveva votato a favore. Quando, nonostante la campagna contro Marte condotta al costo di due milioni di dollari da Steve Ross, “sviluppatore” di Hudson Yard e front man della Real Estate Industry niuiorchese, è diventato chiaro che Marte sarebbe stato il prossimo consigliere comunale della zona, le ruspe sono entrate in azione senza neanche l’ombra della legalità.
Steve Ross è anche lo sponsor principale di Eric Adams, e cliente di una pletora di ditte di pubbliche relazioni, consulenti mediatici e pollsters politici, che hanno architettato la sua “elezione”. Grazie all’escamotage del nuovo sistema elettorale – che, come “nei paesi europei” avrebbe dovuto, in teoria, comportare più pluralismo, indicando preferenze in ordine decrescente fino alla quinta –, il parto degli immobiliaristi è riuscito a manipolare un sistema bizantino che, contrariamente a quanto pubblicizzato, di fatto era congegnato per la manipolazione e l’estromissione dei candidati più veramente progressisti.
L’elezione di Chris Marte è stata un’eccezione: il suo distretto è il più politicizzato e i residenti conoscono i propri nemici. Qualcun altro dei 53 seggi del consiglio è andato all’underdog, il candidato che ha vinto inaspettatamente con il solo supporto popolare; ma la lobby immobiliare ha a sua disposizione un Consiglio Comunale pronto a dare l’imprimatur ai suoi progetti futuri, dei quali non si sa ancora nulla. Intanto, Adams fedelmente continua a implementare quelli che negli ultimi, terribili mesi del suo mandato De Blasio ha spinto al voto consiliare, e a meno di sentenze si secondo grado (e probabilmente anche più alto: la Corte Suprema degli Stati Uniti, in questi casi ha funzioni di Corte di Cassazione in Italia), proseguiranno.
New York è in continuo cambiamento, ma a giudizio di molti, l’omogeneizzazione culturale e sociale che sarà la risultante di queste varianti sarà profonda. Ma i media, nella campagna elettorale conclusasi con il voto di novembre, hanno seguito il copione dettato dai patroni di Adams: la città non è sicura, il crimine è in aumento; e gli homeless sono antiestetici. Ora che è sindaco, Adams continua a usare queste armi di distrazione di massa, mentre il terreno viene letteralmente rubato da sotto i piedi di ignari niuiorchesi dabbene.
Del resto, i 12 candidati alle primarie dello stesso partito (democratico, ma non fa differenza: gli affari sono affari) hanno cercato disperatamente di differenziarsi senza causare scompiglio: l’elettorato è un animale sensibile e delicato, bisogna trattarlo con cautela, non causargli mal di testa facendolo pensare troppo… mantenere semplicità di messaggio e linguaggio.
Farsi riconoscere, senza farsi conoscere, e portare a casa il voto, che era già predestinato, visti gli strumenti e la potenza dei mandanti. Se Adams riesca o meno a imporre il vecchio ordine giulianesco, sarà il banco di prova dell’avvenuta maturazione (o meno) dei movimenti germogliati durante la pandemia.
Il tragico attacco del 12 aprile al treno della metropolitana a Sunset Park, Brooklyn non cambia le dinamiche che descrivo. Lo squilibrato che lo ha perpetrato ha fatto un regalo alla retorica del sindaco, che non si farà scrupolo di utilizzarlo per alimentare l’inevitabile psicosi da paura di attacchi simili, difficilmente prevenibili. Copycat è il termine utilizzato nello slang mediatico: gli squilibrati non mancano, ma mancano di immaginazione. Quando il genio di turno elabora una ricetta che trova risonanza mediatica, c’è sempre il pericolo che qualcuno trovi il modo di imitarlo. Per inciso, da 40 anni uso la bicicletta (ne ho due, e nessuna automobile) come mezzo di trasporto principale, come un numero crescente di niuiorchesi; prendo la metro solo quando vado all’aeroporto, o in inverno quando piove.
Nonostante il “raddoppio” (nessuno andrà a verificare) della presenza di poliziotti nelle subways già sbandierato dal sindaco da casa, dove è confinato col Covid, non cambierà il potenziale di attacchi, ma farà sicuramente sentire i pendolari più sicuri, se sarà visibile. I “rinforzi” peraltro sono già stati immediatamente condannati dal Public Advocate (difensore civico, carica elettiva comunale; e candidato governatore dello Stato di New York alle primarie democratiche) Jumaane Williams: come è storicamente provato, a suo dire, questo produrrà una recrudescenza di tensioni fra la polizia e le comunità più svantaggiate, che aumenterà la violenza da parte della polizia nell’applicazione della legge.