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Cosa ne sarà del Green Deal


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Sono passati cinque anni dal lancio della grande strategia europea per la transizione ecologica: il Green Deal (o Patto Verde). Considerato da alcuni troppo ambizioso, da altri poco ambizioso, il futuro del Green Deal dipenderà moltissimo dall’esito delle elezioni europee del 6-9 giugno.

Lo sviluppo della transizione ecologica

Il 2019 fu un anno cruciale per l’Europa. Gli scioperi climatici di Fridays for Future e la disobbedienza civile di Exctintion Rebellion mobilitarono milioni di persone nella richiesta di affrontare seriamente la crisi climatica mentre le proteste dei gilet gialli francesi mettevano in luce la necessità di una transizione ecologica giusta. Nel dicembre 2019, la nuova Commissione Europea guidata da Ursula von der Leyen presentò una delle sue sei priorità per il periodo 2019-2024: il Green Deal, un quadro strategico di obiettivi e politiche pensato per favorire la transizione ecologica del continente. Si trattava di una svolta notevole, sostenuta non solo dai socialisti, dai liberali e dai verdi europei ma anche dai popolari di von der Leyen, tradizionalmente vicini agli interessi dell’industria e distanti dai valori dell’ecologismo.

L’ambizione del Green Deal è quella di coniugare crescita economica, protezione dell’ambiente e benessere delle persone. Gli obiettivi cardine sono la riduzione delle emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030 e il raggiungimento di zero emissioni nette per il 2050. Si tratta di un livello di ambizione che l’Unione Europea non ha mai avuto.

Un Piano, 167 iniziative

In termini concreti, il Green Deal si è convertito in decine di atti normativi su temi quali l’energia rinnovabile, l’efficientamento energetico, l’elettrificazione, il miglioramento della qualità dell’aria, la transizione del settore agricolo, il contrasto al greenwashing, lo scambio di quote di emissione, i dazi ambientali, la lotta alla deforestazione, la protezione degli individui più vulnerabili, la riconversione dei territori maggiormente colpiti dalla decarbonizzazione e così via. Attualmente, il Green Deal si compone di 167 iniziative così ripartite:  

 

I limiti di una rivoluzione annunciata

Lanciato dalla Commissione come il momento “Uomo sulla Luna” dell’Europa, il Green Deal è stato gradualmente annacquato dalla pressione di vari settori economici e forze politiche conservatrici. Anche per questo, il Patto Verde ha vari limiti che sono stati sollevati in report elaborati da centri di ricerca e organizzazioni della società civile.

Un primo tipo di critica è relativa agli obiettivi del Green Deal. Secondo l’analisi del Climate Action Tracker, un progetto collaborativo dei think tank Climate Analytics e NewClimate Institute, l’obiettivo di riduzione del 55% delle emissioni al 2030 è insufficiente rispetto agli obiettivi dell’accordo sul clima di Parigi del 2015 e dovrebbe aumentare ad almeno il 62%. 

In secondo luogo, oltre agli obiettivi, la stessa analisi considera che le politiche e azioni messe in campo dagli stati ad oggi sono insufficienti, in quanto porterebbero ad una riduzione delle emissioni pari solamente al 43% entro il 2030. Se il Green Deal è un po’ il quadro di riferimento, spetta infatti ai paesi membri la sostanziale formulazione e applicazione di politiche pubbliche nazionali. Il Climate Change Performance Index è uno strumento che compara la performance climatica di 63 paesi e dell’UE. Nessun paese viene ritenuto con una performance molto alta mentre i paesi europei con una performance alta sono Danimarca, Estonia, Paesi Bassi, Svezia, Germania e Lussemburgo. La performance italiana viene invece classificata come bassa.

Critica al metodo

Va segnalato infatti che varie iniziative prese dall’Ue o dai paesi membri sono in decisa contraddizione con gli obiettivi del Green Deal e dell’accordo di Parigi, a partire dalla Politica Agricola Comune che sussidia enormemente agricoltura e allevamenti intensivi o alla scelta di sviluppare nuove infrastrutture fossili come gasdotti e rigassificatori. Lo spostamento a destra dei popolari europei, anche per via delle proteste dei trattori, ha portato ad alcuni passi indietro sul fronte ambientale, per esempio sulla riduzione dei pesticidi (proposta ritirata) o sulla Legge sul ripristino della natura (proposta in stallo).

Una terza critica è in termini di metodo, in particolar modo si considera il Green Deal un processo troppo verticale. Un gruppo di organizzazioni della società civile ha richiesto di aprire maggiori spazi partecipazione civica che siano accessibili, trasparenti e in grado di garantire rappresentatività, inclusività (in primo luogo per i/le giovani) ed eguaglianza di opportunità. In questo senso, va segnalato Phoenix, una serie di 11 progetti pilota di innovazione democratica sostenuti dall’Unione Europea e dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a partire dai quali si auspica di diffondere e scalare metodologie di democrazia deliberativa e partecipativa rivolte al Green Deal.

Un quarto tipo di critica si riferisce al modello economico di “crescita verde” basata sul mercato su cui si fonda il Green Deal europeo. Ciò che viene criticata è l’assenza di una messa in discussione del sistema capitalista/colonialista e la priorità data all’economia rispetto ai diritti sociali, l’equità e la giustizia. Le organizzazioni di Real Deal sottolineano che la poca priorità data alla riduzione dei consumi energetici e dell’estrazione di estrazione di materie prime produce una serie di impatti negativi sui paesi extra-europei e in particolar modo sui popoli indigeni.

Le elezioni europee di giugno

Una delle poste in gioco principali delle elezioni del Parlamento Europeo di giugno (8-9 in Italia) è proprio il futuro del Green Deal, apertamente contestato dall’estrema destra e da parte del centro-destra europeo, molto spesso cavalcando argomentazioni fallaci e notizie false. Nonostante i suoi limiti, il Green Deal europeo rimane una delle strategie di decarbonizzazione più ambiziose al mondo e un suo ulteriore annacquamento significherebbe mettere ancora più a rischio i diritti dei più vulnerabili nonché gli ecosistemi e la biodiversità della Terra. Al contrario, abbiamo bisogno di un Green Deal più ambizioso, democratico, inclusivo e giusto.

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