Tra la crisi del debito sovrano iniziata nel 2010 e la crisi COVID-19 iniziata nel 2019, la governance economica europea ha subito una trasformazione impressionante. Se, infatti, la risposta alla crisi del debito è stata nel segno dei programmi di austerity e della condizionalità imposta agli Stati debitori come contrassegno rispetto agli aiuti finanziari, la crisi COVID ha visto varare un impressionante piano di aiuti finanziari di circa 700 miliardi di euro — il Next Generation UE — e programmi come il SURE (State sUpported shoRt-timE work) per contenere la disoccupazione e salvare posti di lavoro.
Entrambe le risposte alle crisi economiche non sono state però scritte nella pietra: anche Next Generation EU rappresenta un programma concordato tra gli Stati europei, e come tale, non necessariamente ripetibile. Con le elezioni del Parlamento Europeo 2024-2029, l’Unione Europea si trova quindi a un bivio. Da una parte, l’Europa dell’austerity si è manifestata nuovamente con la riforma del Patto di Stabilità e Crescita ha reintrodotto parametri stringenti per l’abbassamento del debito pubblico, che necessariamente avranno conseguenze sulla spesa pubblica degli Stati più indebitati, in primis l’Italia che dovrà ridurre il debito dell’1% ogni anno. Dall’altra parte, i rapporti di Draghi e Letta invocano una maggiore capacità di investimento da parte dell’UE, chiedendo meno competizione economica tra Stati, e più competitività verso il mondo esterno.
L’elettorato diviso sul modello economico
La scelta tra una governance economica saldamente nelle mani dei governi nazionali, che quindi replichi e talvolta accentui le differenze economiche, e una governance europea che preveda un maggiore coordinamento, o anche centralizzazione, delle politiche fiscali, rimane una questione controversa. Il sondaggio SOLID (ERC n. 810356) condotto nel 2022 su un campione di circa 32000 residenti provenienti da 15 Paesi UE più il Regno Unito, mostra come circa il 43% dei rispondenti vogliano per la Ue “un ruolo più attivo” nelle politiche fiscali e nella gestione del debito. Tuttavia una fetta consistente del campione non è d’accordo: il 20% che vorrebbe un ruolo meno attivo, mentre il 23% si accontenterebbe di quanto la Ue sta già facendo. Come la pensano le famiglie di voto europee sulla questione?
La governance europea vista dai partiti europei
Rafforzare il welfare attraverso il mercato
La parola chiave usata dal Partito Socialista Europeo (PES) è “economia sociale di mercato“, laddove i diritti sociali prendano la precedenza sui diritti economici e “rafforzando la dimensione sociale Ue”. In tema di crisi economica, il PES si dice contrario a un ritorno all’austerity, indicando come priorità nelle crisi la tutela dei lavoratori, e plaudendo a quanto fatto durante la crisi COVID e proponendo di rendere SURE uno strumento permanente per la sicurezza contro la disoccupazione nelle crisi. Nel contempo, viene proposto il rafforzamento della capacità fiscale dell’Ue attraverso piani di investimento per la doppia transizione (verde e digitale), e, in generale, attraverso un rafforzamento della capacità di investimento Ue tramite l’ampliamento del budget europeo.
Contro il patto di stabilità
L’approccio della Sinistra Europea è incentrato invece sul funzionamento della Banca Centrale Europea, che dovrebbe cambiare il suo mandato in modo a incentivare le aziende a creare posti di lavoro di qualità e ridurre il proprio impatto ambientale tramite tassi di interesse agevolati, punendo al contempo le aziende non sostenibili ambientalmente e socialmente. Un altro caposaldo del programma della Sinistra Europea è quello di abolire il Patto di Stabilità e Crescita, sostituendolo con un patto incentrato su politiche verdi, sociali e anti-crisi. Degna di nota è la proposta di una tassa europea sulla ricchezza i cui proventi andrebbero a finanziare politiche di contrasto alla povertà.
No alla crescita ad ogni costo
Anche il programma dei Verdi Europei tocca punti simili. La proposta di fondo è quella di introdurre una governance macroeconomica basata sul benessere, superando il paradigma della crescita ad ogni costo. A questo scopo, i Verdi propongono di revisionare sia il trattato di Maastricht che il Patto di Stabilità, in modo da rafforzare investimenti pubblici, servizi e coesione sociale. Allo stesso modo, il mandato della Banca Centrale Europea dovrebbe essere rivisto per includere l’obiettivo del pieno impiego. Infine, gli investimenti europei verrebbero reindirizzati attraverso una golden rule verde agli investimenti nell’ambiente, e rafforzati attraverso una tassa europea sulla ricchezza che aiuti a ridurre la diseguaglianza e sostenga la transizione verde.
Economia aperta e transizione
Decisamente orientato sui temi di disciplina e responsabilità è invece il manifesto dei liberali europei (ALDE). Le parole d’ordine sono quelle che ci si potrebbe aspettare: mantenere fedeltà al modello di economia aperta (contro certe pulsioni dipinte come quasi-autarchiche dell’autonomia strategica europea) e promozione di politiche fiscali prudenti, impedendo agli Stati di spendere ‘oltre le proprie capacità’. Tuttavia, data la congiuntura storica, attenzione è posta anche alla necessità di investimenti comuni, sempre nel nome della responsabilità: solo attraverso sforzi comuni, infatti, sfide come la transizione energetica e tecnologica possono essere affrontate al meglio secondo ALDE. A condire il pacchetto di proposte del manifesto, il rituale appello a una maggiore deregolamentazione e ‘sburocratizzazione’ a favore di imprese e investitori.
La ricetta dell’ “economia sociale di mercato”
Termine core del manifesto dei Popolari (PPE) è invece l’economia sociale di mercato, ribadita anche nell’edizione 2024 del programma politico della famiglia di centrodestra. In ragione di essa, il mix proposto combina responsabilità e prudenza nei singoli Stati con la necessità di difendere il modello sociale europeo, sanità in primis: qualcosa che può essere raggiunto solo ridando competitività all’economia dell’Unione, proponendo una precisa strategia per il rilancio dello ‘spirito di imprenditorialità’, agevolando la fioritura di piccole e medie imprese, spingendo per la semplificazione normativa e lanciando una strategia di investimenti per il ‘Made in Europe’. Di fronte alle contingenze storiche, il focus sulla morigeratezza fiscale lascia ora il posto proprio agli sforzi (anche in termini di investimenti comuni) per ridare all’Unione una centralità economica mondiale, facendo emergere prospettive forse inedite per un manifesto Popolare.
Più industrializzazione
Attorno alla lotta alla de-industrializzazione del continente è incentrato anche il manifesto dei Conservatori e Riformisti (ECR). Semplificazione, inseguimento della competitività, promozione dello sviluppo tecnologico (dal 6G al quantum computing) e lode al potere benevolo della concorrenza interna sono le parole chiave della breve sezione che ECR dedica all’economia, dove non viene fatta menzione rilevante dei temi di solidarietà e fiscalità europea (benché i Paesi dei partiti membri dell’ECR, tra Recovery Facility e Fondi Strutturali, siano tra i maggiori beneficiari in assoluto della solidarietà europea). Parola d’ordine e d’ispirazione di ECR, la difesa assoluta della libertà d’impresa dei cittadini europei.
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