Il perimetro dell’idea di inclusione è a geometria variabile, nel senso che c’è una forma di integrazione differenziata, una stratificazione a spirale concentrica dell’inclusività, specifica per ognuno di noi. Ci sono nicchie e spazi di cui non desideriamo fare parte, e quindi diritti che scegliamo di non esercitare dentro quei confini.
Cruccio dell’istituzione politica è però essere massimamente inclusiva nella distribuzione dei diritti e delle risorse: compito agevolato dal principio di sussidiarietà verticale che attribuisce varie competenze amministrative ai diversi livelli di governo territoriali.
Nel nostro caso, è il Titolo V della Costituzione a definire gli enti autonomi, tra cui configurano le Regioni, e le materie su cui lo Stato ha potestà esclusiva e/o concorrente.
L’attribuzione verticale di alcune funzioni amministrative è frutto di un ragionamento basato sull’assunto che la prossimità territoriale possa agevolare gli organi di governo nel tracciamento della mappa dell’inclusione, disegnata sui bisogni specifici di chi abita quei territori.
Non avendo un sistema di ripartizione federale delle competenze, la bussola principale che guida le riforme in materia di diritti civili si colloca sul livello del governo centrale, dalle cui scelte dipende la collocazione del paese nello spettro dell’accoglienza e dell’integrazione: all’art. 117 si legge infatti che lo Stato ha legislazione esclusiva nella
“determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.
L’applicazione concreta di questa mappa dei diritti, nel senso dell’implementazione sostanziale dei benefici che ne conseguono – rispetto a dichiarazioni di astratta equity –, necessita della mediazione di una forma sussidiaria di organizzazione, cioè la Regione, dentro un preciso sistema di ripartizione di competenze.
Nel programma “L’orgoglio di fare”, promosso da Attilio Fontana, presidente uscente sostenuto dalla coalizione di centrodestra, la Lombardia è posta “al servizio dei cittadini”, invitati a partecipare attivamente alla vita comunitaria. Si intuisce una visione del welfare come sistema di sostegno basato sul capitale relazionale della comunità, nella forma ideale di una “democrazia intelligente” capace di valorizzare le proprie risorse attraverso progetti di co-partecipazione.
Nell’ottica dell’inclusione anche la promozione di “punti di accesso fisici e virtuali” per promuovere la comunicazione tra cittadini e con le istituzioni. Restano vaghi i riferimenti al sostegno di progetti per contrastare l’esclusione sociale e l’emarginazione e da definire nei dettagli un “Piano regionale per la parità di genere”.
Diversi i punti a sostegno dei bisogni dei più giovani, inteso non nella forma meramente assistenziale ma valorizzandone gli apporti, anche creativi, in termini di domande dal basso: dalla rete Informagiovani alle certificazioni delle competenze informali, dal prestito d’onore a sostegno degli studi al progetto di un Forum dei Giovani, tutto sembra teso alla partecipazione e all’aggregazione dentro i luoghi fisici (e, presumibilmente, da riqualificare). Più concretamente, Fontana preconizza la realizzazione di nuovi campus universitari e l’implementazione di modelli innovativi di offerte abitative, come i contratti di residenza “mobili” nelle città che ospitano studenti universitari.
Ma è anche un diritto sociale, culturale ed economico quello alla casa, dentro città che si distinguono per l’offerta cultura ed economica ma che corrono il rischio di trasformarsi in panacea di privilegi.
Gli obiettivi da raggiungere sono quindi “piena assegnazione e zero alloggi sfitti”, nei casi più emergenziali di assegnazione degli alloggi pubblici, ma anche la tutela dei cittadini più deboli tramite l’effettiva calmierazione dei canoni e varie misure di sostegno alla povertà abitativa e di contributi all’affitto.
Il programma di Pierfrancesco Majorino, candidato di punta del Pd e del M5S, dedica una parte considerevole del suo programma alle politiche pubbliche inclusive, per rendere la Lombardia “una regione di tutte e tutti”.
Ciò che la Regione può fare è l’istituzione di un Osservatorio Regionale per attuare un Piano Antidiscriminazioni, di un Servizio per la promozione di pari opportunità di genere, e una più stretta vigilanza sulla parità di accesso agli organi di amministrazione per le società a controllo pubblico.
Il sostegno alla cittadinanza attiva non ha un focus specifico sull’inclusione generazionale ma sul piano della co-progettazione dichiara di prendere a esempio la Legge Regionale toscana sulla Partecipazione (tra i procedimenti implementati dalla legge c’è il Dibattito Pubblico Regionale, istituito nel 2007 su ispirazione francese e intorno al tema delle grandi opere pubbliche; il supporto finanziario, metodologico e logistico a progetti della durata di sei messi, presentati da enti locali e altri soggetti cittadini e valutati dall’Autorità Regionale; moltiplicazione dei momenti partecipativi in forma semplificata).
Sui giovani, Majorino avvia una battaglia per una retribuzione minima di 800 euro per gli stage e l’introduzione di un Reddito regionale di formazione a integrazione della copertura nazionale. In una regione attrattiva e costosa come la Lombardia, il problema dei salari reali – specie in un contesto di inflazione crescente e assenza di salari minimi – diventa imprescindibile l’introduzione di un Osservatorio sui Salari.
Nel programma, c’è anche l’urgenza di ristrutturare gli alloggi di edilizia residenziale pubblica e sociale, con semplificazione dei contratti e progressività dei canoni, concordati attraverso il supporto di fondi regionali. La speranza è che l’ampliamento di abitazioni in housing sociale o prezzi calmierati possa avere effetti mitigatori del mercato impazzito.
In effetti, come scritto nel programma di Letizia Moratti – candidata sostenuta dal Terzo Polo –, la Lombardia è una regione di giovanissimi, che costituiscono un capitale umano straordinario e soprattutto il futuro della regione e del paese.
Nell’ambito della loro tutela, si scommette sulla famiglia come “ammortizzatore sociale e luogo di unità e condivisione” e a cui indirizzare politiche di promozione di parità di genere, ma anche politiche fiscali che aumentino le risorse per il consumo a loro disposizione, e sostengano spese educative e scolastiche e attività sportive e culturali.
La disciplina della transizione nel mercato del lavoro verte sul potenziamento dei tirocini extracurriculari, interamente materia di competenza regionale, e sui canali di apprendistato e di certificazione delle competenze informali. Rispetto agli altri programmi, più scarni i riferimenti all’housing sociale e all’integrazione tramite partecipazione ed esercizio attivo della cittadinanza.
Ma chi partecipa, se partecipa, è chi vive e frequenta i territori, chi quindi deve essere messo nelle condizioni di abitarli dignitosamente e nella loro interezza, oltre segmentazioni periferiche.