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Il successo dell’estrema destra lepenista arriva da lontano


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Il dato elettorale del primo turno delle elezioni francesi non è un incidente di percorso. È un dato che era stato annunciato con precisione molti anni fa da due studiosi di grande rilievo: da una parte Hervé Le Bras, demografo attento ai comportamenti; dall’altra Emmanuel Todd, un antropologo che studia la trasformazione dei sentimenti e la loro interpretazione. 

A metà del 2013, Le mystère français, Seuil, Paris 2013 un libro ricco di dati e di riflessioni su quella che è una crisi di lungo periodo della Francia attuale. I dati a su cui lavorano Le Bras e Todd riguardano le propensioni di voto alla vigilia delle presidenziali del 2012, quelle che mandano all’Eliseo François Hollande. 

Il malessere e il voto populista

La Francia dei Lumi e dei diritti esprime i disagi dello squilibrio propri di un Paese che in quel momento è affetto da un malessere profondo. Già in quel frangente nei sondaggi il Front National (ora Rassemblement National) sarebbe il primo partito con il 24% dei consensi, seguito dai gollisti (Ump) con il 22 e i socialisti con il 19. 

Ripeto siamo nel 2012. È un quadro che già allora contraddice quello che siamo soliti identificare quando diciamo Francia. 

È questo il mistero francese cui alludono Hervé Le Bras ed Emmanuel Todd nel titolo di questo libro. La domanda è: perché il voto populista attrae? Per rispondervi Le Bras e Todd indagano la trasformazione della Francia degli ultimi trenta anni (ovvero dalla prima presidenza Mitterand) affrontando con metodo, ma soprattutto con molti dati, la crisi della società francese nell’epoca della globalizzazione. 

 

Le ragioni di una crisi

Molti pensano che la causa principale sia la crisi economica. Ma la crisi non spiega tutto. La crescita esponenziale della dichiarazione di voto a favore del RN fino a farlo divenire primo partito, ha origini lontane, significa proporre un’analisi multifattoriale che prenda in carico varie cause. 

Alcune sono squisitamente economiche. Per esempio il prodotto interno lordo passa da una media di 4,3% fino agli anni ‘70 a 1,8 nel 1984 senza mai superare da allora la soglia del 2%. Dunque da una parte sta la sensazione di essere un’economia in declino.  

Altre sono sociali. Per esempio il fatto che aumenti la massa dei diplomati rispetto cinquant’anni fa (dal 23 al 65 %), ma senza che si dia un avanzamento o che il merito sia premiato. 

Altre sono invece culturali, per esempio l’abbassamento del cattolicesimo praticato. Un aspetto che è molto importante in un paese in cui i cattolici non sono mai stati partito, ma hanno sempre rappresentato uno stile di vita, caratterizzato da pratiche culturali e sociali e da luoghi di eccellenza che formavano comportamenti, classe dirigente, cultura. 

Cultura e postmodernità

Altri dati dominano su questi fattori.  

Le donne, prima di tutto. S’innalza la scolarizzazione femminile, ma poi questa non significa eguaglianza reale, perché la filiera del sapere scientifico come di quello tecnico rimangono ancora a supremazia maschile. Dunque le donne di domani non hanno ridotto quel gap 

Un secondo aspetto su cui Le Bras e Todd richiamano l’attenzione è il tasso dei suicidi. Fenomeno in crescita in quella fascia di età che sta in mezzo, tra 45 e 55 anni, segno evidente che la società francese, che pure ha avuto un processo di conversione di massa alla tecnica e al digitale (tra i più alti in Europa), fa fatica a convertirsi, quando la “crisi morde”. Ma anche scelta che indica solitudine e anomia sociale. 

Su tutti tuttavia domina un fenomeno che costituisce un indicatore significativo della profondità della crisi e su cui Le Bras e Todd insistono. Arretra il processo d’integrazione nelle grandi aree urbane, mentre si mantiene uno spirito comunitario nelle aree maggiormente periferiche. L’ineguaglianza culturale, e dunque il disagio, non si colloca nelle regioni più arretrate (per esempio la Bretagna), ma in quelle maggiormente investite dai processi di postmodernità (per esempio l’Ile de France, ovvero Parigi). Un dato che esprime la rivincita del villaggio sulla città; dello spirito comunitarista su quello liberale e individualista. Diversamente si potrebbe dire: la famiglia-ceppo torna a prevalere su quella mononucleare. 

Questo dato indica che il malessere che tutti avvertono si ritiene sia più efficacemente contrastato dalle scelte di vita più tradizionaliste e in quelle realtà dove il controllo sociale è più forte. 

Cosa esprime il voto per Le Pen

Dunque la crisi sociale della Francia è prima di tutto crisi dei percorsi emancipativi individuali, fondati sul rifiuto della tradizione, propri delle rivolte giovanili degli ultimi cinquant’anni. Sentimenti che significano ricerca della “Vecchia Francia”.  

Il RN vince perché è avvertito come espressione autentica della storia di Francia. Un aspetto che richiama il mito della Francia di Vichy anch’esso fondato sul riscatto della tradizione e sul primato della provincia contro la città industriale. Una realtà in cui l’insediamento agrario e la divisione del campo per appezzamenti come ha rilevato Marc Bloch in uno studio classico (I caratteri originari della storia rurale francese, Einaudi), esigono una “grande coesione sociale, una mentalità comunitaria”.  

Infine il voto al RN esprime sia un sentimento locale sia una condizione collettiva. 

Quel voto denuncia l’angoscia delle periferie terrorizzate dall’eventualità che il legame sociale della comunità si spezzi, attraversate dalle paure di ciò che può arrivare da “fuori”. La sua geografia è collocata nell’estremo Est della Francia e nella zona mediterranea; ha una barriera di contenimento nella Francia occidentale che RN conquista solo al primo turno delle presidenziali del 2012. Nella stessa occasione il RN conquista il voto operaio nelle roccaforti comuniste di un tempo – Alta Normandia, Pas de Calais, Picardia – con percentuali intorno al 40% (27% su tutto il territorio nazionale). 

Dal rosso al nero

Trenta anni fa, nel 1995, un rapporto sulla condizione minorile nelle periferie francesi evidenziava molti malesseri della società nel suo complesso. In quel rapporto si metteva in guardia anche da un doppio fenomeno conseguente alla condizione d’incertezza: insorgenza dell’islamizzazione delle periferie; crescita del fenomeno lepenista. Nelle periferie del terzo anello contigue a quei quartieri cresceva la solitudine dei “beurs”, cioè dei nipoti della grande ondata maghrebina degli anni ’50 che non vedevano un futuro davanti a loro. Nei quartieri operai, un tempo roccaforti tradizionali della sinistra, il voto operaio già allora iniziava a rivolgersi verso Jean-Marie Le Pen. È la silhouette del malessere europeo postindustriale. 

È significativo cosa risponde un operaio sindacalizzato a proposito della sua scelta di vita. Siamo nel 2011, ovvero prima delle elezioni presidenziali che nel 2012 portano François Hollande all’Eliseo: “Votare RN è votare per il posto di lavoro. Votare socialista o UMP è votare per i padroni. Votare all’estrema sinistra significa difendere il lavoro degli immigrati. Io voto l’estrema destra” [Michel Wieviorka, Le Front national, entre extrémisme, populisme et démocratie , p. 40] 

Davvero sorprendente il voto di domenica e quello che probabilmente sarà confermato domenica prossima? In piccolo non è anche il fenomeno che colpisce e travolge le roccaforti popolari e operaie delle aree industriali italiane? Alcune chiavi di lettura sono contenute nel libro di Alessandro Portelli “Dal rosso al nero” (Donzelli editore), che ripercorre la svolta a destra della città operaia di Terni. 

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