Quelle delle migrazioni è stata una delle questioni più dibattute e polarizzanti in Italia negli ultimi decenni. Le narrazioni che ne hanno offerto i media e gli attori politici hanno svolto un ruolo significativo nel contribuire a formare delle opinioni pubbliche sul tema, e a porre quest’ultimo al centro delle contese elettorali nel Paese. La questione ha recentemente riguadagnato le prime pagine, soprattutto in riferimento al sovraffollamento del centro di accoglienza di Lampedusa, riportando l’attenzione pubblica sul fenomeno, in modalità che però continuano a rafforzarne un immaginario distorto e che quindi meritano un approfondimento.
La letteratura scientifica interessata alla relazione tra media e migrazione ha analizzato il ruolo della stampa nella politicizzazione (salienza e polarizzazione) della questiona migratoria in Europa, sottolineando come i media non siano semplici strumenti per trasmettere informazioni su fatti della realtà, bensì agenti capaci di produrre o amplificare rappresentazioni collettive che diventano vere e proprie categorie cognitive attraverso cui i pubblici organizzano la percezione e la comprensione di tali fatti. Come avevano chiarito Adoni & Mane nel 1984, infatti, i media hanno “il potere di definire il quadro entro il quale viene percepita la realtà sociale collettiva, e di conseguenza plasmare le basi dell’azione sociale”.
I processi su cui si basa questo meccanismo sono noti come agenda-setting e framing: i media, cioè, stabiliscono di cosa parlare (agenda-setting) e come parlarne (framing). Dando spazio a fenomeni sociali come l’immigrazione, i media contribuiscono a renderli problemi sociali, e nel farlo attribuiscono ad essi un tono – generalmente allarmistico o pietistico – attingendo a determinati repertori di espressioni e immagini (frames, appunto). Queste tonalità oscurano considerazioni alternative e vengono spesso interiorizzate dal pubblico come chiavi interpretative per dare senso ai fatti narrati, soprattutto se di essi non hanno un’esperienza diretta, come nel caso delle migrazioni.
Linguaggi e ‘frame’ sulle migrazioni
Come confermano diversi studi che hanno analizzato il contesto italiano, nelle narrazioni mediali degli arrivi dei migranti, la stampa nazionale da decenni utilizza frame interpretativi spesso basati sui toni dell’allarme, della sicurezza e dell’indesiderabilità, cui ha fatto da debole contraltare il ricorso a cornici narrative di tipo pietistico-umanitario. Come fa notare l’ultimo rapporto (2022) dell’associazione Carta di Roma – che monitora la corretta informazione della stampa sull’immigrazione – la situazione non ha subito particolari evoluzioni; a parte la flessione di termini fortemente stigmatizzanti (come wu cumprà e clandestino), le modalità narrative (allarmistiche) e le icone mediali (come lo sbarco) sono rimaste le stesse. Ciò ha portato a una normalizzazione dell’emergenza, divenuta una “crisi infinita”, con l’effetto di essenzializzare la presunta natura emergenziale del fenomeno e l’immagine stereotipata del migrante, ossia quella di un corpo in pericolo ma pericoloso come sottolineava già nel 2012 il sociologo Gatta. Persino il crollo dei toni securitari e della polarizzazione politica che ha caratterizzato il racconto mediale dell’immigrazione nel 2022 è rimasto circoscritto al conflitto russo-ucraino. Non appena l’attenzione dei media sulla questione dei profughi ucraini si è attenuata, le notizie sull’immigrazione si sono riassestate sui soliti stili narrativi (soprattutto allarmistici), e l’immagine dei migranti (non ucraini) è pertanto tornata a essere – come recita il già citato rapporto – “stretta tra il ritratto minaccioso di coloro che vivono al di fuori delle regole e quello passivo delle vittime bisognose di assistenza”.
In linea con quanto emerso nelle rilevazioni scientifiche cui si è fatto riferimento, il lessico e le immagini che ricorrono nelle notizie di questi giorni in relazione agli arrivi a Lampedusa attingono al repertorio dei frame allarmistici, ricorrendo a un linguaggio bellico (“sicurezza”, “invasione”, “assedio”, “tregua”, etc.), cataclismico (“tsunami”, “ondate”, “catastrofe” ecc.), persino biblico (“apocalisse”, “esodo”, ecc.). A titoli e articoli di simili tonalità, si accostano immagini di profughi dietro fili spinati, di masse di uomini avvolti da coperte termiche, di divise delle forze dell’ordine, nonché video di rivolte dei migranti e delle comunità di arrivo. E poi i numeri, quelli (presunti) delle partenze e quelli (decontestualizzati) degli sbarchi, ma anche quelli dei naufragi e dei morti.
Dramma: istruzioni per l’uso
Tutto concorre alla messinscena di un dramma come notava Cuttitta nel 2012, alla spettacolarizzazione di un fenomeno che perde nella percezione pubblica la complessità tipica di ogni fenomeno sociale e diventa qualcosa di distante ma minaccioso, i cui protagonisti diventano masse, “non-persone” per dirla come Dal Lago. In questa rappresentazione, l’immigrazione si riduce a una questione di sicurezza (frame bellici), al di fuori del nostro controllo e della nostra responsabilità (frame cataclismici), e dalla natura ineluttabile (frame biblici). Rispetto a una rappresentazione così potente, le contro-narrative umanitarie risultano deboli e spesso finiscono anch’esse per contribuire a stereotipizzare il fenomeno, invece di restituirgli complessità e spessore.
Questo accade, per esempio, quando le telecamere si concentrano su donne e bambini, la cui vulnerabilità, enfatizzata, li rende simbolo della condizione del povero rifugiato, come sottolineava la studiosa Szczepanik nel 2016. Le immagini del corpo esanime del piccolo Alan Kurdi nel 2015 furono un caso emblematico al riguardo. E su scala nazionale lo è, per tornare all’attualità di questo settembre 2023, anche l’immagine del carabiniere con in braccio una bimba somala. Per quanto potente nella sua tonalità pietistica e umanitaria, molte testate ne hanno sottolineato il carattere straordinario, accostandola a titoli di allarme o di dolore: uno stridore, una contaminazione resa possibile dal caos della situazione, la cui emergenzialità ha così finito per essere rafforzata se non legittimata: Lampedusa, l’umanità del carabiniere di fronte all’emergenza (La Stampa, 14/09/2023), Il carabiniere Pasquale, il ‘gigante buono’ di Lampedusa (Adnkronos, 18/09/2023).
I media e l’agenda politica
L’immigrazione rimane, quindi, una questione di sbarchi, di arrivi irregolari, quindi illegali, e fuori controllo, un fenomeno che non necessità di approfondimenti e richiede tutto sommato soluzioni semplici: chiusura dei confini e fermezza nei rimpatri. Emblematica al riguardo è la reazione della giornalista Lilli Gruber durante l’intervista alla segretaria del Partito Democratico Elly Schlein: “Ma chi la capisce se lei parla così?” esclama la giornalista in riferimento alle critiche della leader all’esternalizzazione della gestione della crisi da parte del governo (puntata del 14/09/2023). E ciò mentre dominano nelle testate giornalistiche e televisive nazionali le retoriche della sicurezza promosse dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, all’unisono (o per lo meno così è apparso nei titoli dei giornali) con la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen: “Chi entra in Europa lo decidiamo noi” (Corriere della Sera, 17/09/2023). E cosi anche le soluzioni poste sul tavolo fanno massicciamente leva su toni e aspetti allarmistici e securitari, sia quelle proposte dal governo nazionale, come l’aumento del numero dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio e dell’estensione a 18 mesi al loro interno (peraltro di dubbia legittimità giuridica), che dalla Commissione Europea, la cui proposta di supporto all’Italia prevede in 7 punti su 10 il potenziamento dei rimpatri, del pattugliamento delle frontiere, della lotta ai trafficanti e soprattutto della collaborazione con i paesi terzi, definita, appunto, “esternalizzazione”.
Appare quindi chiaro il senso il tentativo di Lecheler, Matthes e Boomgaarden di chiarire il ruolo centrale che i media svolgono nella produzione di problemi sociali e nell’interferenza non solo rispetto alla percezione pubblica, ma anche nella formulazione di risposte politiche: i media – argomentavano gli autori nel 2019 – “stabiliscono l’agenda per il discorso pubblico, identificano i problemi o le sfide e forniscono soluzioni”.
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