Nei programmi politici, nelle rivendicazioni sindacali, di “Democrazia economica” non se ne parla ancora abbastanza. Come cambierebbe il dibattito su salario minimo – in questo momento più vicino all’ideologia che al paese reale – se nelle aziende i lavoratori avessero più potere contrattuale, di dire la loro senza mediazioni? Dalla gestione cooperativa dell’impresa fino al corporativismo d’impresa, la “Democrazia economica” è un concetto ampio, simile a un sistema di pesi e contrappesi che ha l’obiettivo di bilanciare il potere economico all’interno di un sistema caratterizzato dal libero mercato attraverso la partecipazione attiva dei cittadini e delle cittadine all’arena economica.
Questa filosofia propone di spostare la proprietà e il potere decisionale dagli azionisti e dai dirigenti aziendali a un gruppo più ampio di soggetti pubblici interessati, che comprende i lavoratori, i consumatori, i fornitori, le comunità e il pubblico in generale. Essa avanza rivendicazioni pratiche, come quella di poter compensare l’effettivo divario di domanda insito nel capitalismo.
Welfare, reddito di base e altro
L’idea che sta dietro questa filosofia è molto semplice: nelle imprese, i lavoratori sono i più coinvolti nelle attività quotidiane e si assumono il rischio legato a posti di lavoro e condizioni di lavoro precarie, i fornitori si assumono i rischi legati alla domanda instabile e ai ritardi dei pagamenti, i clienti quelli legati alla scarsa qualità e ai prezzi variabili e le comunità locali i rischi legati all’inquinamento del territorio e alle fluttuazioni delle entrate e delle imprese locali. Considerato questo scenario con molteplici stakeholder, risulta complesso pensare che il processo decisionale possa essere concentrato nelle mani di pochi attori, dal momento in cui tutti si assumono i rischi dell’impresa (La sfida dell’uguaglianza. Democrazia economica e futuro del capitalismo, a cura di Enrica Chappero Martinetti).
Un presupposto fondamentale per la democrazia economica è la fornitura a tutte le persone di una sostanziale sicurezza economica e di servizi pubblici di buona qualità, oltre a norme e regole chiare che assicurino una forte partecipazione dei lavoratori al processo decisionale. Autori come Van Parijs e Vanderbroght sostengono che il reddito di base universale sia la forma di sicurezza economica più compiuta anche se, da solo, non basterebbe a creare le condizioni per un sistema decisionale realmente democratico per l’economia. Sono necessarie normative e istituzioni più specifiche per garantire l’effettiva emancipazione e partecipazione degli stakeholder economici alle decisioni che riguardano i loro interessi.
Proprio al tema della democrazia economica e, più in particolare, della partecipazione strategica dei lavoratori e delle lavoratrici nella governance di imprese ed organizzazioni è stato dedicato un workshop presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, in collaborazione con il dottorato “Law Ethics and Economics for Sustainable Developmente” dell’Università degli Studi di Milano.
Il ruolo dell’Intelligenza artificiale
A fronte della crescente digitalizzazione del mercato del lavoro, includere i lavoratori nel processo decisionale e nella ridefinizione dell’organizzazione aziendale sembra la migliore opzione. Il cambiamento tecnologico e la digitalizzazione indurranno molto probabilmente un cambiamento strutturale. L’intelligenza artificiale (IA) e le tecnologie digitali hanno dato origine a nuove forme di gestione dei lavoratori. La ricerca in questo settore individua ed esamina le opportunità offerte da questi nuovi sistemi per la gestione basata sull’IA, in quanto capaci di sostenere le decisioni volte a migliorare la SSL (Secure Sockets Layer – protocollo per browser Web e server che consente l’autenticazione, la crittografia e la decrittografia dei dati inviati su Internet) sul luogo di lavoro quando sono concepite e attuate in modo trasparente e i lavoratori sono informati e consultati.
Anche in Italia, sulla scorta dei modelli di co-gestione già ampiamente noti nei contesti aziendali tedeschi e scandinavi, sono in sperimentazione modalità di coinvolgimento attivo dei lavoratori nei processi decisionali interni. È infatti dimostrato che spazi di partecipazione conducono alla reciproca soddisfazione degli interessi tanto della parte datoriale quanto dei lavoratori e rispondono a pressanti esigenze di giustizia nonché di sostenibilità – non solo ambientale ma anche sociale – dei sistemi produttivi.
Esempi concreti di democrazia economica
Alcune esperienze sono in grado di offrire una prospettiva concreta all’idea di democrazia economica.
Dopo essere entrata a far parte del Gruppo Volkswagen nel 2012, Ducati Motor ha dato attuazione, attraverso un contratto integrativo e di partecipazione, ai principi della Carta dei rapporti di lavoro del Gruppo chericonosce ai lavoratori diritti di informazione, consultazione e contrattazione. Si è giunti così alla definizione di un modello “all’italiana” – o, se si preferisce, “all’Emiliana” – di co-determinazione, nell’ambito di un rapporto permanente di cooperazione tra Fiom Cgil e la federazione sindacale tedesca IG Metall. L’accordo prevede il diritto dei lavoratori e dei loro rappresentanti a una informazione tempestiva ed esauriente rispetto alle circostanze destinate a impattare sulla realtà aziendale, nonché a contrattare ogni aspetto della vita lavorativa. Pilastri della partecipazione sono, inoltre, un sistema informativo aziendale con incontri periodici e sei Commissioni Tecniche Bilaterali su temi prestabiliti.
L’esperienza di ActionAid Italia è diversa da quella di Ducati, se non altro per il fatto che si tratta di un’organizzazione non profit dove un conflitto tra capitale e lavoro per definizione manca. Dalla propria missione di migliorare la democrazia e la partecipazione ai processi decisionali, ActionAid Italia ha fatto discendere l’obiettivo di democratizzare la propria vita associativa anche attraverso un modello di contrattazione inclusiva fondato sulla messa in opera di organismi di rappresentanza istituzionalizzata quali i Consigli del Lavoro e della Cittadinanza, sull’onda di quanto proposto dal Forum Disuguaglianze e Diversità nel 2019.
La via non è certamente semplice, né le esperienze esaminate si prestano a facile e automatica replicazione. L’idea di democrazia economica può giocare un ruolo importante nella costruzione di un modello di sviluppo sostenibile e partecipato. Pertanto, spazi di confronto e scambio forniscono spunti interessanti per rendere imprese e organizzazioni più inclusive e democratiche, così come auspicato dall’articolo 46 della Costituzione. Il raggiungimento di tale obiettivo prevede la promozione di valori quali l’inclusione e l’impegno sociale, necessari per una partecipazione dal basso che consenta la condivisione di esigenze e bisogni. A ciò, si aggiungono una necessaria capacità ricettiva delle istituzioni ai cambiamenti della società ed una adattabilità dei modelli di welfare oggi promossi.