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Dal 1948 alla 2ª crisi energetica: una cronologia necessaria


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Dal 1948 alla 2ª crisi energetica: I precari equilibri in Palestina e Medio Oriente analizzati attraverso una necessaria rilettura cronologica.


Preambolo

Dopo la fine della Prima guerra mondiale la Palestina viene amministrata dalla Gran Bretagna, che riceve un mandato dalla Società delle Nazioni. Già dal 1936 al 1939 verso questa terra si intensificano gli ingressi clandestini degli ebrei, in fuga dalle persecuzioni e dallo sterminio nazista.

Se si può parlare di una cifra pari a 25 mila persone entrate nella Regione senza regolare visto, il numero cresce poi tra il 1939 e il 1948, con più di 100 mila ebrei che tentano di forzare i controlli inglesi, anche via mare, dando vita all’aliya beth (nome dato all’immigrazione illegale degli ebrei, la maggior parte dei quali sono rifugiati in fuga dalla Germania nazista, e successivamente sopravvissuti all’Olocausto).

La situazione in Palestina

Questa massiccia immigrazione crea una discrepanza tra il numero di immigrati e l’incremento della capacità di assorbimento del paese stesso. Nel 1945 la Palestina è abitata in maggioranza da arabi e da poco più di un milione e mezzo di ebrei che si rifugiano in questo luogo con la speranza di trovare la “terra promessa”.

La loro presenza è sempre stata percepita dagli arabi come una minaccia ma, nonostante questo, il 29 novembre del 1947 l’ONU, con 33 voti favorevoli, 13 contrari e 10 astenuti dà il via alla partizione della Palestina in due Stati indipendenti, uno arabo e uno ebreo, all’istituzione di un regime internazionale per la città di Gerusalemme e alla fine del mandato britannico nella zona.

Palestine

Il 29 novembre 1947, il piano di spartizione della Palestina, elaborato dal Comitato speciale dell’ UNSCO fu approvato dall’Assemblea generale di New York

Lo Stato di Israele

Il 14 maggio del 1948 Ben Gurion legge la Dichiarazione d’indipendenza e proclama la nascita dello Stato di Israele, che poche ore dopo viene attaccato dalle forze della Lega araba. Il cessate il fuoco negoziato dall’ONU impone un sequestro di armamenti ai rispettivi contendenti.

Per promuovere la pace vengono istituite ulteriori soluzioni a entrambi gli schieramenti con esito sfavorevole, fino a quando nel dicembre del 1948 le Nazioni Unite approvano la risoluzione 194 che ha l’obiettivo di facilitare la pace nella regione, auspicando il ritorno dei rifugiati “alle loro case”. Si giunge quindi alla firma degli accordi armistiziali con l’Egitto il 24 febbraio, con il Libano il 23 marzo, con la Transgiordania il 3 aprile e con la Siria il 20 luglio.

 

Spartizione della Palestina

La separazione dei confini, dopo i vari armistizi, porta Israele ad avere il 78% della Palestina mandataria, ovvero il 50% di terra in più rispetto al precedente piano di spartizione dell’Onu. La conclusione della guerra lascia aperta anche la questione della nakba (catastrofe): l’abbandono della popolazione araba residente nella propria terra d’origine tra il 1947 e il 1950. Molti, tra cui le famiglie dei componenti dell’Alto comitato arabo, avendone la possibilità, decidono di andare a vivere a distanza di sicurezza dal nuovo Stato.

La popolazione araba quindi, abbandonata dalla sua élite e priva di leadership, viene lasciata al proprio destino, con il conseguente aumento dei disservizi (chiusura di scuole, ospedali, problemi nei commerci, ecc.). Il problema dei profughi ha portato l’Assemblea generale delle Nazioni Unite a istituire l’United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near Est (Unrwa), una struttura sussidiaria che da allora si è adoperata per fornire assistenza, soccorso, aiuto e sostegno in tutti gli ambiti della vita associata.

David Ben-Gurion (primo primo ministro di Israele) pronuncia pubblicamente la Dichiarazione dello Stato di Israele, 14 maggio 1948, Tel Aviv, Israele

Palestina: il fronte egiziano

Dopo un breve periodo di tregua la guerra si sposta sul fronte egiziano. Qui nella notte tra il 22 e il 23luglio del 1952 un colpo di stato porta al potere il generale Naguib e il comandante Gamal Abdel Nasser, che dal 1954 diventa l’unico leader. Dalla metà degli anni ’50 la situazione peggiora nuovamente, le forze di difesa israeliane, nello specifico dal 1953 al 1956, lanciano consistenti attacchi di rappresaglia contro il paese egiziano, facendo aumentare ulteriormente la tensione.

Il 20 luglio del 1956 l’Egitto, al fine di costruire ad Assuan una grande diga in grado di regolare i flussi del Nilo, annuncia la nazionalizzazione del canale di Suez, gestito dalla Compagnie universelle du canal maritime de Suez, con sede a Parigi. Inizialmente il paese è sostenuto dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra, i quali poi ritirano il loro appoggio perché Nasser acquista armi dalla Cecoslovacchia comunista.

Canale di Suez

Per ovviare al suo progetto di costruzione, il presidente egiziano ha bisogno dei fondi della
Banca mondiale, che in quel caso gli vengono negati, così come le linee di prestito britanniche e americane. Per portare a termine quindi l’operazione, vitale per un suo consenso interno, Nasser decide diusare come fonte di reddito il canale, adoperandosi successivamente a mantenere libera la circolazione del traffico commerciale tranne quello diretto a Eliat, ad Haifa e in Israele.

Per contrastare l’azione del presidente egiziano, non potendo attaccarlo direttamente, Gran Bretagna e Francia si incontrano segretamente con Israele a Sèvres tra il 22 e il 24 ottobre del 1956 e danno vita all’operazione Muskeeter (gli accordi prevedono un attacco israeliano alle basi difensive egiziane poste sul Sinai, successivamente francesi e britannici sarebbero intervenuti spingendo gli eserciti in lotta ad una distanza di 16 km attorno a Porto Said, vicino al canale).

Nel 1956, paracadutisti britannici e francesi si impadroniscono di porzioni del Canale di Suez in risposta alla nazionalizzazione della via d’acqua da parte dell’Egitto, avvenuta a luglio

 

Equilibri precari

Il 29 ottobre Israele invade la Striscia di Gaza e la Penisola del Sinai, successivamente Regno Unito e Francia occupano l’area e separano le parti in lotta, ma Nasser rifiuta l’offerta di pace e continua a combattere: agli attacchi degli alleati si contrappongono quelli alle navi stanziate nel canale. Preoccupati da un allargamento del conflitto su scala mondiale, gli Stati Uniti costringono le potenze europee a cessare il fuoco. Gli invasori quindi si ritirano nel 1957 e nella zona viene inviata una Forza di Emergenza delle Nazioni Unite (UNEF) con il compito di mantenere la pace.

A sostegno della liberazione della Palestina in quegli anni nasce lOLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina) guidata da Yasser Arafat, che ha al suo interno delle frange estremiste le quali hanno l’obiettivo di annullare lo stato ebraico. Le trattative tra le due parti sono molto ardue e l’ONUcerca di favorire la pace votando una risoluzione che propone a Israele di allontanarsi dai territori occupati avendo in cambio il riconoscimento degli arabi.

Palestina. Yasser Arafat, presidente storico e fondatore dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina)

La guerra dei Sei giorni

Il nuovo Stato, anche dopo gli accordi di pace e nonostante l’appoggio degli Stati Uniti, si trova in una condizione di inferiorità e insicurezza legata all’isolamento politico e diplomatico innescato dalla
Lega araba. Nel 1967, a causa di un blocco navale decretato dall’Egitto, il governo israeliano scatena la guerra dei Sei giorni (5 – 10 giugno) con l’obiettivo di uscire da questo accerchiamento.

L’esercito israeliano prima sconfigge le truppe giordane e siriane, si attesta sulle pianure del Golan e poi avanza fino a Damasco; ad ovest invece invade il Sinai egiziano, spingendo il nuovo confine fino al canale di Suez, mentre a est invade la Cisgiordania.

Temendo un intervento sovietico in aiuto dell’alleato siriano, il governo statunitense cerca di fermare l’avanzata israeliana, che si spinge oltre fino a consolidare nei nuovi territori la propria presenza. Per contrastare questa avanzata, fra i palestinesi si affermano delle formazioni orientate al terrorismo, con l’obiettivo di liberarsi dal dominio straniero.

28 settembre 1952 – Primo volo del Dassault Mystère IV, cacciabombardiere francese utilizzato in combattimenti su larga scala nell’aeronautica israeliana durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967.

“Settembre nero” in Medio Oriente

Si apre un periodo di crisi ancora più acuta perché i palestinesi vengono isolati anche negli stessi paesi, come la Giordania, dove vivono in completa emarginazione. Qui i campi profughi diventano luoghi di reclutamento e di organizzazione delle milizie palestinesi che successivamente si adoperano per la caduta del sovrano giordano, accusato di essere filo-occidentale.

L’11 febbraio del 1970 scoppiano violenti tumulti ad Amman che provocano la morte di 300 persone, vengono poi organizzati due attentati al re Hussein e il dirottamento di alcuni aerei di linea giordani. Il 16 settembre, contro queste operazioni, viene proclamata la legge marziale e il 17 l’esercito assalta le sedi
delle organizzazioni palestinesi ad Amman, entrando nel campo profughi e dando vita a un duro rastrellamento.

Il 27 settembre, dopo il ritiro delle truppe palestinesi, Arafat e Hussein si incontrano al Cairo siglando un accordo che mette fine a quello che poi viene definito “settembre nero”. Il 28 settembre del 1970 muore Nasser e diventa presidente dell’Egitto Anwar al-Sadat, che si distingue dal predecessore per il suo avvicinamento alla politica degli Stati Uniti.

 

Yom Kippur

L’avvento del nuovo presidente però non scoraggia ulteriori guerre fra i paesi arabi. Alle 14:00 del 6 ottobre 1973, giorno in cui ricorre la festività ebraica dell’espiazione (Yom Kippur), l’esercito egiziano e quello siriano attaccano insieme Israele lungo il canale di Suez e sulle pianure del Golan. Lo stato israeliano si trova inizialmente in difficoltà, ma subito passa alla controffensiva su entrambi i fronti, riattraversando il canale di Suez.

Il conflitto, che si conclude il 25 ottobre con l’ennesimo appello del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, porta alle dimissioni della premier israeliana Golda Meir, del ministro della difesa e del Capo di stato maggiore.

La guerra ha avuto pesanti conseguenze a causa della decisione dell’OPEC (Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, composta da Algeria, Arabia Saudita, Equador, Iran, Iraq, Kuwait, Libia e
Venzuela) di sostenere l’azione degli aggressori con aumenti del prezzo del barile e un divieto di
esportazione nei confronti dei paesi maggiormente filoisraeliani.

Questa decisione è una delle cause che poi portano alla crisi petrolifera del 1973 con ripercussioni economiche e sociali. L’aumento del costo dei prodotti primari (si passa dal dollaro al barile del 1970 ai 3,2 e 9,2 dollari al barile del 1973) intacca il sistema economico occidentale comportando il crollo di importanti istituti bancari.

La crisi degli anni ’70, dal punto di vista economico porta all’incremento dei tassi di interesse e del costo del denaro, mentre da quello ambientale permette ai rispettivi paesi, dipendenti dal petrolio arabo, di orientarsi verso fonti di energia diverse.

Soldati israeliani attraversano il Canale di Suez durante la guerra dello Yom Kippur in Medio Oriente nel 1973

La crisi energetica in Italia

L’Italia, per affrontare la crisi energetica, dal 2 dicembre del 1973 adotta le seguenti misure:

1) divieto di circolazione dei mezzi motorizzati su tutte le strade pubbliche, urbane e
extraurbane dalle ore 0 alle 24 di tutti i giorni festivi (domeniche o infrasettimanali). La misura viene estesa anche ai rappresentanti delle istituzioni e alla Presidenza della Repubblica;
2) aumento del costo della benzina e del gasolio;
3) vengono stabiliti nuovi limiti di velocità: 50 km/h nei centri abitati, 100 km/h sulle strade extraurbane normali e 120 in autostrada;
4) viene anticipata la chiusura dei negozi e degli uffici pubblici, compresi bar, ristoranti, cinema e teatri;
5) riduzione del 40% dell’illuminazione pubblica in tutti i comuni, e disattivazione delle insegne luminose commerciali poste nelle vetrine e nei negozi.

2 dicembre 1973 – L’Italia va a piedi. Prima domenica di austerity per far fronte alla crisi energetica

In Iran nasce la rivoluzione islamica

Un importante passo nel riconoscimento dello Stato di Israele si ha nel 1977 quando il presidente Sadat si reca a Gerusalemme, dando poi vita al trattato di pace israelo-egiziano del 1979. La pace non mette fine però ai continui focolai di guerra che caratterizzano l’area mediorientale, portati avanti dalle masse popolari estranee al tipo di cultura democratica di stampo occidentale che si apre nella regione.

È in questo clima culturale che nasce nel 1979 la rivoluzione islamica avvenuta in Iran. Il paese, in quel periodo governato dallo scià Reza Pahlavi, avvia una notevole espansione industriale che orienta i profitti verso le multinazionali statunitensi. Il malcontento delle masse popolari verso questo tipo di gestione della ricchezza porta alla formazione dei mujaeddin (i combattenti per la fede) che mirano a instaurare in Iran un regime teocratico.

Crisi tra Iraq e Iran

Queste condizioni portano poi all’ascesa al potere dell’ayatollah Khomeini, fino a quel momento in esilio a Parigi. I mujaeddin, sostenuti dal nuovo regime, danno vita ad azioni di stampo terroristico, tra le quali la più importante è la cattura e la prigionia, all’interno dell’ambasciata statunitense, di cinquantadue ostaggi. L’episodio assume una grande importanza in quanto gli Stati Uniti, avendo perso un alleato molto importante come lo scià iraniano, iniziano a sostenere militarmente l’Iraq di Saddam Hussein.

È in questo scenario quindi che si instaura la crisi fra Iraq e Iran e la guerra nel 1981 per il possesso dell’area di Bassora, un’area ad alta concentrazione di pozzi petroliferi e il più grande porto di smistamento del greggio verso i paesi produttori. La guerra, che dà vita alla seconda crisi energetica, si protrae fino al 1988, terminando poi con l’intervento dell’ONU e la cessazione delle ostilità.

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