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Bologna, le zecche rosse e la legittimazione del neofascismo

Da Almirante a Meloni, dall’opposizione al governo: come la destra del MSI e di FDI è entrata nelle istituzioni


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Quel sabato a Bologna

Bologna, sabato 9 novembre: un corteo neofascista sfila per le strade della città, nei pressi della stazione dove un altro sabato, quello del 2 agosto 1980, una bomba piazzata da un gruppo neofascista uccideva ottantacinque persone e ne feriva duecento: si trattò dell’attentato terroristico più grave della storia italiana.

A distanza di quarantaquattro anni dalla strage, nella città si sono tenute due manifestazioni contemporaneamente. La prima, di matrice fascista, è stata organizzata da CasaPound e dalla Rete dei Patrioti. La seconda ha coinvolto collettivi di sinistra e cittadini antifascisti. Quando questi ultimi hanno tentato di avvicinarsi alla zona occupata dalla prima, sono scoppiati violenti scontri con la polizia, caratterizzati dal lancio di oggetti, fumogeni e petardi. Nessun esponente del governo ha condannato la matrice neofascista del corteo bolognese. La critiche sono state invece mosse alla sinistra tout court, accusata con una generalizzazione di avere “foraggiato i facinorosi”, definiti “zecche rosse”. Un atteggiamento simile è stato poi adottato da alcuni membri del governo nei confronti delle manifestazioni studentesche svoltesi in diverse città italiane venerdì 15 novembre.

Dal pestaggio del giornalista de “La Stampa” Andrea Joly, avvenuto nel luglio di questo anno, da parte di alcuni esponenti di CasaPound – vicenda la cui responsabilità il presidente del Senato ed esponente di FdI Ignazio La Russa addossò implicitamente al reporter, reo di “non essersi identificato” – alla censura del monologo sul fascismo dello scrittore Antonio Scurati sono molti i casi che parlano di una delegittimazione della sinistra e di una legittimazione, più o meno esplicita, di posizioni neofasciste o comunque intolleranti delle opposizioni e del lavoro giornalistico.

Si pensi alla sospensione dello scrittore e insegnante Christian Raimo per le critiche mosse al ministro dell’Istruzione durante una manifestazione e ai diversi casi di censura riportati dai giornalisti Rai e alla creazione di un sindacato giallo, filogovernativo. Si pensi all’inchiesta di Fanpage sui giovani di Fratelli d’Italia che aveva svelato la diffusione del razzismo, dell’antisemitismo e degli inneggiamenti al fascismo e a Mussolini tra i giovani meloniani. Inchiesta che nonostante la gravità delle sue rivelazioni venne criticata e in questo modo screditata da Giorgia Meloni.

Legittimazione del neofascismo che ha portato Fabio Barsanti, ex candidato sindaco di CasaPound nel 2017, a essere nominato vicesindaco di Lucca, che diviene così il primo comune italiano con un vicesindaco proveniente da un movimento neofascista. Si potrebbe risalire ancora più indietro, ad esempio all’assalto alla sede della CGIL di Roma il 9 ottobre 2021 compiuto da esponenti di Forza Nuova insieme ad alcuni partecipanti a una manifestazione contro il Green Pass. Rimanendo, invece, su episodi più recenti e che hanno coinvolto la strage di Bologna si può ricordare quando Marcello De Angelis, ex militante dei movimenti eversivi di estrema destra e responsabile della comunicazione istituzionale della Regione Lazio, aveva sostenuto nell’agosto 2023 l’innocenza dei tre condannati per la strage: Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, la cui sorella è sposata con De Angelis. Quest’ultimo era stato indagato in merito alla strage di Bologna, motivo per cui trascorse un periodo di latitanza a Londra e che al suo ritorno aveva scontato tre anni di carcere per associazione sovversiva e banda armata.

Berlusconismo e neofascismo

La legittimazione del neofascismo e la delegittimazione della sinistra sono fenomeni che risalgono a un trentina di anni fa, alla discesa in campo” di Silvio Berlusconi il 26 gennaio 1994 e alla creazione del suo primo governo con cui vennero assegnati cinque ministeri e dodici sottosegretari al Movimento Sociale Italiano (MSI) fondato da Giorgio Almirante nel 1946. Era la prima volta nella storia della Repubblica che al partito erede del fascismo –  di cui FdI è oggi in rapporto di filiazione diretta, come si nota anche dalla fiamma nel simbolo – venivano assegnati incarichi governativi.

Silvio Berlusconi e il MSI trovarono una convergenza di interessi nel desiderio di ridisegnare l’architettura dello Stato italiano. Oggi come allora la destra italiana vuole, infatti, riscrivere la Costituzione cancellandone le forme di welfare, la tassazione progressiva, proponendo una riforma presidenziale che limiti il peso e la centralità del Parlamento, dei partiti e dei sindacati, riducendo in questo modo la democrazia a una questione plebiscitario-elettorale che misconosce la mediazione e il dialogo.

Per scardinare l’assetto costituzionale era necessario delegittimare il processo storico che aveva portato alla scrittura della Costituzione e l’attacco ai “comunisti” era un passaggio fondamentale. I “comunisti”, infatti, non solo avevano partecipato alla Resistenza e avevano più volte difeso la democrazia – dai concitati momenti che seguirono l’attentato del 14 luglio 1948 al leader del Partito comunista Palmiro Togliatti, all’opposizione ferma al terrorismo degli anni di piombo, al compromesso storico di Berlinguer solamente per citarne alcuni esempi – ma avevano anche avuto un ruolo centrale nella scrittura della Costituzione.  Fu per questo motivo che Silvio Berlusconi diffuse la narrazione che identifica nella sinistra – e in chi in generale si oppone alla destra – nei comunisti, a loro volta paragonati a dei delinquenti, espressione di un mondo che era stato contraddetto dalla storia. Nel 1994 l’Unione Sovietica si era sciolta da poco (l’8 dicembre del 1991) e stava diffondendosi il clima trionfalistico della “fine della storia” che identificava nel capitalismo un sistema capace in sé per sé di portare benefici diffusi, a differenza del comunismo ormai sconfitto dalla storia e travolto dagli scandali sovietici di malaffare a malagestione dello Stato. Sotto questo punto di vista i comunisti rappresentavano un nemico credibile, un nemico irrazionale perché avrebbero avuto una mentalità anacronistica, ma oggettivamente pericoloso per ciò che avrebbe rappresentato.

È all’interno del perimetro di delegittimazione dell’assetto istituzionale, infine, che vanno letti i numerosi attacchi alla magistratura, spesso accusata di essere di sinistra come quando nel 2023 il ministro Salvini postò delle foto e poi dei video che ritraevano la giudice di Catania Iolanda Apostolico durante una manifestazione a favore dei migranti nel 2018. Attacchi iniziati da Silvio Berlusconi e che hanno portato oggi al braccio di ferro, per la questione del centro per rimpatri in Albania e per il rinvio del decreto sui Paesi sicuri alla Corte di giustizia dell’Unione Europea, tra magistratura e governo, con il rischio di uno strappo istituzionale.

Neofascismo

Il fascismo è stato anche un insieme di valori, idee, comportamenti e interpretazioni della realtà: una mentalità e una forma identitaria che è perdurata nel tempo perché è stata adattata ai cambiamenti intercorsi dalla fine del Ventennio e che oggi si richiama soprattutto all’esperienza del Movimento Sociale Italiano e della destra extraparlamentare degli anni di Piombo. È per questo che si parla di neofascismo, un’ideologia da cui il partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, non ha mai veramente preso le distanze.

L’abiura dell’estrema destra italiana sul fascismo, iniziata con Gianfranco Fini, si è parzialmente rivolta al Ventennio, alle leggi razziali e all’antisemitismo – sottacendo quella distinzione, spesso presente in Italia, tra un fascismo tutto sommato benevolo precedente al patto con la Germania nazista e uno successivo a quella “scellerata” idea – ma non ha mai preso realmente le distanze dal neofascismo della prima repubblica e degli anni di piombo.

Anche in questo caso, gli esponenti di destra e del governo attaccano la sinistra, riducendo il terrorismo a un fenomeno “rosso”, nonostante negli ambienti neofascisti dell’epoca abbiano militato i terroristi della strage di Bologna, della strage dell’Italicus (4 agosto 1974, dodici morti), della strage di piazza della Loggia a Brescia (28 maggio 1974, nove morti). Del resto, durante il giovedì nero di Milano (12 aprile 1973), quando i neofascisti sfilarono verso la prefettura lanciando due bombe a mano, una delle quali uccise il poliziotto Antonio Marino, erano presenti anche Ignazio La Russa con suo fratello Romano (poi assessore regionale): i due fratelli erano allora due esponenti di spicco dell’area neofascista e vennero indagati come responsabili morali di quei fatti.

ll futuro è sicuro, il passato imprevedibile

Nel 2019 Ignazio La Russa partecipò ad una manifestazione di CasaPound per “dare legittimazione culturale a questo movimento”, affermando inoltre la “necessità che a 70 anni dalla fine della guerra e dell’esperienza politica italiana che aveva condiviso i venti anni precedenti si possa ancora cercare di emarginare chi non la pensa come la cultura dominante”.

La storia, soprattutto quando parliamo di memoria e di narrazione della storia del paese, è spesso un terreno di dispute. Non potrebbe essere altrimenti: è nella storia che si cercano la legittimità dello Stato, le motivazioni per il futuro, le risposte alla domanda “chi siamo”, dunque i criteri di inclusione ed esclusione che definiscono il concetto di cittadinanza. Se il fascismo e la Resistenza sono argomenti divisivi – basta pensare alle polemiche sul 25 aprile o su via Rasella – è perché non sono fenomeni che appartengono a un’epoca passata che si è definitivamente chiusa. Al contrario, vi è una divisione dovuta al fatto che ancora quella stagione, per certi aspetti, non si è del tutto conclusa. Si tratta di una battaglia istituzionale e culturale per la legittimità della Costituzione e dello Stato.

Viene da chiedersi perché la sinistra, e in generale quelle forze politiche che dovrebbero difendere l’architettura costituzionale e l’antifascismo, non riesca a reagire. Forse perché la destra sembra possedere una chiara visione sul futuro per cambiare l’Italia e l’Europa. E proprio per questo una risposta forte e coerente sarebbe necessaria: come dimostra la storia del berlusconismo, i mutamenti culturali, come l’affermazione di una nuova narrazione, garantiscono effetti sul breve e, soprattutto, sul lungo periodo perché sedimentano, soprattutto nelle nuove generazioni, idee che divengono poi parte di un pensiero di massa.

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