L’avvento di Macron alla presidenza della Repubblica nel 2017 è stato una cosa inattesa per molti, ma spiegabile dopo i fallimenti della presidenza del socialista Hollande e la crisi dei partiti tradizionali e della sinistra in particolare, incapaci di esprimere un’adeguata rappresentanza politica in sintonia con i bisogni e le aspettative dei francesi. Macron l’inattendu titolavano alcuni giornali in quei giorni, ma abile e capace di cogliere lo spazio lasciato dalla vecchia politica da lui definita come étoiles mortes che non mandano più luce, leaders e soggetti politici inadeguati senza più capacità organizzativa e politica.3
La sua ascesa politica è stata una vera e propria disruption, una marcia veloce con strumenti adeguati ed innovativi che ha spiazzato il mondo politico d’antan, assicurandogli una netta vittoria in una competizione in cui i suoi avversari principali sono stati l’estrema destra populista di Marine Le Pen e la sinistra estrema di Jean Luc Mélenchon, destinati a contendergli il passo negli anni.
Macron capitolo I: da rivoluzionario a neoliberista
Il suo primo mandato (2017-2022), partito con la promessa di un profondo mutamento, ha segnato un momento di discontinuità nella vita politica francese, svecchiandone le tematiche, potenziando il rapporto con l’Europa e, sul piano interno, cercando di coniugare istanze populiste con una forte componente tecnocratica e quindi la capacità di maneggiare abilmente dossier importanti. Questo aspetto è importante e lo si ritrova nel contesto italiano durante il governo di Mario Draghi, leader cui lo legano affinità di formazione (educazione superiore dai Gesuiti, poi percorso universitario nelle discipline economiche e un iter professionale simile, esterno alla politica)4.
Le sfide poste da Macron hanno però trovato molti intoppi e la sua tensione ed esibita volontà innovativa si sono arenate per varie ragioni: una forte verticalizzazione nella sua concezione del potere, quindi un iperpresidenzialismo che lo ha reso distante dalla realtà sociale e dal dialogo con i poteri locali; il suo appoggiarsi, una volta arrivato al potere, a pezzi della classe politica tradizionale sotto la parvenza di un radicale rinnovamento e, da ultimo, l’esplosione del fenomeno dei Gilets jaunes. Questo fenomeno, nato nelle zone periurbane attorno a Parigi, si è esteso rapidamente come movimento composito socialmente ed ideologicamente e di particolare ampiezza, segno di un disagio profondo della società francese, di una frattura sociale non limitata all’alto prezzo del carburante o ad altre rivendicazioni specifiche e capace per due anni di aggregare attorno a sé la protesta di ampi strati sociali, come da anni non si vedeva in Francia.5 Tutto questo ha spento le aspettative che la sua elezione aveva acceso e messo in evidenza gli aspetti neoliberali della sua politica che lo hanno spesso fatto definire come le président des riches. La sua révolution si era presto dileguata come tutti i fenomeni in cui lo stile e la comunicazione non sono tutto.
Macron II: il voto “barrage contro l’estrema destra”
Il Grand Débat National, promosso dal presidente dopo la tempesta dei Gilets jaunes per avviare un meccanismo partecipativo, lo aveva in qualche modo rilegittimato, riaccendendo speranze. Con queste premesse Macron si è ricandidato, per un secondo mandato: viene rieletto il 24 aprile 2022 con il 58,5% dei voti; la sua sfidante Marine Le Pen, estrema destra, ne ha ottenuti il 41,5%. Lo stacco fra il presidente e la sua sfidante è stato di circa 17 punti, ma ben lontano dall’esito del 2017 quando venne eletto con il 66,2% dei voti e un’astensione più bassa dell’elettorato.
Questo dato dice chiaramente che il voto a Macron, dopo una presidenza tempestosa e segnata da forti proteste sociali, è stato in primo luogo un “barrage” contro la estrema destra populista del RN (Rassemblement National), quindi un accorrere del fronte repubblicano per evitare il peggio; Melenchon è la vera sorpresa di queste elezioni e mostra di controllare un’ampia porzione di elettorato: almeno il 23% dei suoi voti dopo il primo turno sono passati a Marine Le Pen, ma il 40% di essi, soprattutto nei quartieri difficili di Parigi, hanno trovato convergenza su Macron per evitare una vittoria della destra estrema.
L’esito del voto per la presidenziale dice però soprattutto una cosa: il voto a Macron è venuto in prevalenza da fasce sociali urbane, con reddito medio-alto, molto alfabetizzate, da coloro cioè che sono al centro della società e non alla periferia di essa; il voto a Marine Le Pen si è invece concentrato fra le fasce popolari ed in territori più svantaggiati consentendole un traguardo mai prima raggiunto dal suo partito in una competizione presidenziale. Mélenchon avrà la sua rivincita alle legislative del giugno successivo, opponendo al presidente in parlamento due tenaci opposizioni a destra e a sinistra e cancellando il predominio incontrastato della maggioranza presidenziale.6
Le sfide di un Paese diviso
La Francia appare un paese diviso, lacerato da molti clivages e la destra estrema è riuscita a tradurre politicamente alcune di queste fratture mescolando sovranismo e nazionalismo con un ammodernamento del partito (RN) ed una ostentata professione di fede repubblicana; questo proprio in questi giorni si ripete con le dichiarazioni di Marine Le Pen che, mettendo da parte l’antiebraismo tradizionale del suo partito sotto la precedente guida del padre, difende inequivocabilmente lo stato di Israele.
Macron ha iniziato da più di un anno la sua seconda presidenza ma questo nuovo quinquennato si è subito trovato di fronte a molte sfide che il neoeletto presidente ha promesso di affrontare già la sera della vittoria nel suo discorso alla Tour Eiffel. Lo scenario nazionale ed internazionale è sempre più complicato; i problemi che la Francia deve affrontare sono molti e spinosi, da quelli di politica interna (politica economica e pouvoir d’achat che assieme al terrorismo e alla sicurezza sono nella testa dei francesi quotidianamente) a quelli di rapporto con l’Europa ed in genere di politica estera.
La riforma delle pensioni voluta da Macron è stato un potente acceleratore del dissenso. Ultimamente negli ultimi cinque, sei mesi la riforma portata avanti da Macron e dal suo governo, ha riacceso la protesta, ha mobilitato milioni di persone, insegnanti, operai, personale medico e infermieristico, lavoratori dello spettacolo sotto la guida tenace dei sindacati uniti, disfacendo nelle piazze la tela che il potere costruiva nei palazzi. Un braccio di ferro, finito con l’approvazione della legge con l’aumento dell’età pensionabile a 64 anni: una vittoria della seconda presidenza Macron, ma fragile, contestata, con un’Assemblée Nationale mutata dove il presidente non ha più le due spade del suo potere. La riforma è stata approvata in parlamento, essendo state respinte le mozioni di censura presentate dalle opposizioni (in particolare quelle presentate dalla Nupes, principale bersaglio del presidente e del suo governo) e promulgata subito dal presidente, di notte, nonostante il dissenso ed il conflitto con i sindacati che chiedevano spazi possibili di contrattazione.
2023: Rabbia e malcontento, le “Fratture francesi”
L’ultimo risultato di Fractures Françaises, inchiesta realizzata da Ipsos-Sopra Steria, la Fondation Jean Jaurès, il Centre de recherches politiques de Sciences Po (Cevipof) e l’Institut Montaigne, dà un quadro cupo e inquietante della società francese presa da un senso di declino e sfiducia che tocca punte alte: l’82% degli intervistati, si dice molto insoddisfatto e deluso, un picco mai raggiunto durante la presidenza Macron e vicino a quello espresso nel 2016 sotto la presidenza Hollande; ancor più preoccupante è che un terzo dei francesi considera questo declino irreversibile e che questi “declinistes” comprendono un elettore su due di Marine Le Pen ed altre fasce sociali (quadri 35% ,pensionati 29%)7.
I tre quarti dei cittadini mostrano una spinta nostalgica per il passato, distribuiti in varie fasce di età e, cosa allarmante, soprattutto in quella sotto i 35 anni. Dalla attenta lettura dei dati dell’inchiesta e dall’incrocio delle varie risposte emerge un sentimento di rabbia e malcontento, di protesta che le mobilitazioni degli ultimi mesi hanno costantemente evidenziato, tanto che solo il 4% dei francesi si dichiara soddisfatto della situazione esistente. I francesi scontenti e critici sono oltre il 51% e la collera sociale che ne deriva è cresciuta, passando dal 31% nel 2021 al 45% di oggi, toccando quasi tutte le categorie sociali e professionali: 58% operai, 46% impiegati, 39% pensionati, 41% i quadri.
Fra le preoccupazioni che affliggono il paese il potere d’acquisto è al primo posto (46% degli intervistati), prima della disoccupazione, del terrorismo o di altri problemi presenti nel paese.
L’effetto “rabbia” sui partiti
Par contre fra gli elettori del RN è l’immigrazione ad essere in testa, la causa dei mali, è il vero problema, prima ancora del potere d’acquisto e questo, insieme ad altri fattori, spiega l’avanzare della destra estrema non solo in termini di voti, ma nella percezione che i francesi ne hanno. La preoccupazione identitaria avvantaggia sempre più Marine Le Pen che oggi, pur considerata di destra estrema, è ritenuta capace di governare nei prossimi anni dal 44% degli intervistati (una percentuale che nel 2019 era del 33%).
La sinistra nel suo complesso appare sempre fragile; le aspettative create dalla Nupes, alleanza delle sinistre sotto l’ala di Mélenchon, dopo il successo alle legislative del giugno 2022 sembrano essersi arenate poiché, dopo i primi mesi, le divergenze fra i socialisti di Olivier Faure, i Verdi, il PCF e la France Insoumise non sono più componibili. Ciò che ha funzionato per un cartello elettorale, si disfa nei tempi lunghi e duri della politica. E Mélenchon, pur usando a suo buon conto una parte dell’alfabeto populista, conserva il riflesso della sinistra estrema, non sa rispondere alla domanda di sicurezza, ordine e protezione che viene da una larga parte degli elettori ed essi lo giudicano pericoloso per la salute della democrazia, sono diffidenti ormai verso i partiti (solo il 17% dà fiducia ad essi) e non entusiasti dell’attuale presidente (34% è il consenso a Macron). Inoltre, il suo partito, LFI non è un buon esempio di democrazia interna, limitata è la partecipazione a decisioni dal prevalere del leader come negli ultimi mesi affiora da proteste e defezioni di molti iscritti e di alcuni dei suoi quadri che denunciano il personalismo di un capo che non lascia spazio.
Si potrebbero aggiungere altri dati da un’inchiesta così ricca ed articolata, ma già questi fanno emergere un’atmosfera di declino, di disaffezione non nuova nella storia e cultura politica francese, un pessimismo che trova puntualmente sbocco e riparo nella richiesta “un vrai chef pour remettre de l’ordre “, una necessità sostenuta dall’82 % dei francesi.
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