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Accordi Ue-Egitto: dove sta la giustizia, dove sta la ragion di Stato


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Una nuova partnership

L’Unione europea e l’Egitto hanno firmato, il 17 marzo 2024, al Cairo, una nuova partnership dal valore di 7,4 miliardi di euro per quattro anni. Contiene accordi per lo sviluppo di politiche energetiche comuni, finanziamenti per bloccare i flussi migratori irregolari e per potenziare i confini, investimenti nel settore agricolo, opportunità di studio per studenti. È un programma corposo, sostenuto soprattutto dalla presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen e dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Solo l’Italia ha firmato dieci accordi bilaterali per progetti di varia natura.

«Questa iniziativa è il modo migliore per far fronte al flusso migratorio: investimenti e assistenza per prevenire l’immigrazione illegale, per aiutare questi Stati a fronteggiare i trafficanti di migranti», commenta Meloni.

I rischi di mantenere le relazioni inalterate

I Paesi dell’Europa legano sempre di più i loro destini economici futuri all’Egitto. Il presidente Abdel Fattah al-Sisi è un partner sempre più accreditato e influente, dopo un processo di legittimazione durato anni.

Dopo la morte di Giulio Regeni, la Commissione parlamentare d’inchiesta aveva già riconosciuto i rischi di mantenere inalterate le relazioni tra Italia ed Egitto a dicembre 2021: «La Commissione ha potuto però accertare come, a partire dal 2018, le relazioni bilaterali tra i due Paesi abbiano subito una nuova evoluzione iniziando un lento processo di normalizzazione testimoniato dalla ripresa di visite ad alto livello che seppur caratterizzate dalla richiesta di cooperazione sulla ricerca di verità e giustizia hanno ingenerato un equivoco destinato a segnare una soluzione di continuità gravida di conseguenze per gli sviluppi del caso Regeni».

Verità e giustizia sono state parte di un negoziato

«Se dalla parte italiana la ripresa dei contatti ad alto livello era intesa come ulteriore forma di sensibilizzazione della leadership egiziana alla soluzione del caso nell’auspicio di un rinnovato partenariato strategico – prosegue la relazione finale della Commissione -, nella controparte si è invece ingenerata l’opinione che la questione fosse chiusa o almeno confinata ad una dimensione laterale, consentendo di tornare al business as usual». A vincere le trattative è stata evidentemente la presidenza di al-Sisi.

Nuova udienza del caso Giulio Regeni

Il giorno dopo la visita a Il Cairo, il 18 marzo, si è tenuta una nuova udienza del processo per l’omicidio di Giulio Regeni. Gli imputati sono quattro agenti degli apparati di sicurezza egiziana a cui non è stato possibile finora notificare nemmeno gli atti processuali. Una delle innumerevoli irritualità del processo. A osteggiare il normale svolgersi delle procedure del dibattimento è stato prima di tutto il governo egiziano, accusano i magistrati italiani.

La maggior parte dei testimoni che vorrebbero chiamare a deporre è in Egitto. «Lo diciamo sin da ora – ha dichiarato il pm Sergio Colaiocco durante l’udienza – servirà un proficuo lavoro del ministero degli Esteri che dovrà suscitare la collaborazione delle autorità egiziane. Solo la polizia egiziana, infatti, può notificare gli atti e dare il via libera per ascoltare a processo i 27 testimoni inseriti nella nostra lista e che vivono in Egitto. Questa collaborazione sarà fondamentale per una compiuta ed esaustiva ricostruzione dei fatti». Difficile essere ottimisti.

Le due dottrine politiche

L’Egitto di al-Sisi è plasmato seguendo due dottrine politiche: la necropolitica e la realpolitik. Secondo il filosofo camerunese Achille Mbembe, la prima è il potere di decidere chi può vivere e chi deve morire. È un’arma nelle mani di autocrati che silenziano il dissenso, come al-Sisi. La realpolitik è il conseguimento degli obiettivi del potere, al di là dei principi. La fusione di necropolitica e realpolitik è la necropolitik, la cifra del potere di al-Sisi. Cairo Necropolitik è un podcast delle giornaliste Marta Bellingreri e Costanza Spocci, co-prodotto da IrpiMedia e Fondazione Feltrinelli, che ne racconta gli effetti, a partire dall’Egitto che sarebbe potuto nascere dalla rivoluzione di piazza Tahrir.

«Naturalmente avevamo sentito notizie del genere molte volte – ricorda nel podcast Lina Attallah, direttrice della più importante testata d’inchiesta online egiziana, Mada Masr -, la
sorpresa era forse perché era bianco e non era di qui, quello che è successo a Giulio accade alle persone locali egiziane che sono più vulnerabili… Ma la morte di Giulio ha reso così evidenti tutte queste altre morti invisibili e la violenza invisibile della polizia, la violenza del sistema di sicurezza».

 

Gas e geopolitica

«Non si può parlare di gas, senza parlare di geopolitica e non si può parlare di geopolitica senza parlare di gas», racconta nel podcast Leonardo Bellodi, professore alla Luiss e a lungo dirigente di Eni, tra le principali aziende coinvolte nel partenariato Italia-Egitto. Nel podcast prof. Bellodi ricorda che in politica estera esiste una scuola di pensiero, la dottrina Mitterand, secondo cui l’interesse nazionale deve prevalere sull’interesse dei singoli.

Nonostante sia stata la morte di un ricercatore italiano a far cadere il velo su omicidi politici e carcerazione dei dissidenti egiziani, l’Italia sembra aver scelto dove sta la ragion di Stato.

Le prime due puntate del podcast, Cairo calamita e Dai di gas! sono disponibili su tutte le piattaforme di streaming. Le prossime due puntate sono programmate per sabato 30 marzo e sabato 6 aprile.

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→ascolta il podcast

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