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A chi deve guardare la sinistra?


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Il voto del 25 Settembre ci ha consegnato l’immagine di un’Italia saldamente ancorata a un centrodestra in cui si fatica a vedere il centro.

Nelle forze progressiste, invece, il ruolo della sinistra cosiddetta radicale è estremamente ridotto, sia nella sua forma più collaborativa (l’Alleanza Verdi Sinistra, capace di superare la soglia di sbarramento) che nella sua versione più di rottura (Unione Popolare, inchiodata a un risultato di poco superiore all’1%).

Un risultato che appare deludente, ma che segue una crisi ormai cronica della sinistra italiana. Eppure, sarebbe sbagliato pensare che questa sia una situazione immodificabile e inerente alle società del capitalismo avanzato. 

Pochi mesi fa, il 10 aprile 2022 i francesi sono stati chiamati alle urne per il primo turno delle elezioni presidenziali. Una delle principali sorprese è stato il risultato del candidato de La France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon. Raccogliendo il 21,95%, il leader della sinistra radicale francese ha ottenuto non solo il proprio miglior risultato, alla terza candidatura all’Eliseo, ma anche il miglior dato per una candidatura a sinistra dei socialisti nella storia della V Repubblica, superando Jacques Duclos, dirigente del Parti Communiste Français, che ottenne il 21,27% nel 1969.  

Erano quindi più di 50 anni che un candidato della sinistra d’alternativa non superava il 20%.

Questo è successo grazie a una mobilitazione dell’ultima ora, percepita solo leggermente dai sondaggi. Tra le rilevazioni pre-voto, quella più favorevole, condotta tra il 7 e l’8 aprile da Harris Interactive, lo collocava a quota 18%, una previsione comunque di 4 punti inferiore al dato finale.

Il risultato non è stato sufficiente per garantirsi un posto al secondo turno, a cui invece hanno avuto accesso Emmanuel Macron e Marine Le Pen, ma è stato comunque storico ed è importante capire meglio la base sociale dietro questo successo inatteso.  

Per fare questo, ci basiamo su due tipi di dato che ci aiuteranno a tracciare un profilo dell’elettorato mélenchoniano.

Da un lato, la geografia del voto di Mélenchon, a partire dai dati ufficiali del Ministero dell’Interno. Dall’altro, le analisi pubblicate dal CEVIPOF, laboratorio di Sciences Po Parigi specializzato nello studio delle elezioni francesi, a partire dei dati dell’Enquête électorale 2022 di IPSOS e dalle rilevazioni condotte dall’istituto Elabe il giorno stesso del voto. 

Un voto per l’eguaglianza 

Prima di vedere chi ha votato per Mélenchon, conviene chiedersi perché. Cosa vuole questo blocco sociale che si è coagulato intorno a Mélenchon, mancando per un soffio l’accesso al secondo turno? I dati a nostra disposizione permettono di identificare priorità e preoccupazioni di questi elettori.  

Per far ciò, confronteremo le priorità del voto insoumis con quelle espresse dagli elettori dei suoi due principali competitor, il Presidente uscente (e poi riconfermato) Emmanuel Macron e la leader d’estrema destra Marine Le Pen.

Al primo posto dei pensieri dell’elettorato mélenchoniano è il potere di acquisto, indicato come tema preoccupante dal 61%. In questo i tre elettorati sono simili: si tratta in effetti della maggiore preoccupazione sia presso chi dichiarava il voto per Macron (49%, un livello quindi sensibilmente più basso, nonostante resti il tema principale) che per l’elettorato lepenista (67%).   

Questo dato non è particolarmente sorprendente: la campagna elettorale per le presidenziali 2022 si è infatti concentrata molto sul carovita, tema che sta attraversando in maniera trasversale i sistemi politici europei.

Il tratto caratterizzante degli elettori insoumis è, invece, l’attenzione posta alle diseguaglianze sociali: per il 46% di loro la situazione delle diseguaglianze in Francia è un tema preoccupante.

È addirittura la seconda preoccupazione: gli elettori di Mélenchon sono gli unici a dare questa rilevanza alle diseguaglianze, solo il 16% tra gli elettori di Macron ed il 13% tra quelli di Le Pen sono infatti preoccupati alle disparità sociali nel proprio paese. 

La voglia di una società più eguale si riflette anche nelle priorità che gli elettori indicano quando gli si chiede dove vorrebbero maggiori investimenti.

Mentre la maggioranza dei francesi intervistati è contraria ad aumentare i fondi per le allocs, i sussidi, che si tratti del sussidio di disoccupazione o di altre forme di sussidi, così non è per l’elettorato di Mélenchon.  

Il 42% degli elettori di Mélenchon vuole quindi più fondi per i sussidi, il 17% ne vorrebbe meno. Queste percentuali si invertono nell’elettorato di Macron (20% per più spese, 36% per tagliare la spesa) e di Marine Le Pen (18% per più spese, 51% per tagliare la spesa).

Tra le spese a cui gli elettori mélenchoniani sono meno favorevoli invece troviamo la costruzione di nuove centrali nucleari (23% favorevoli ad un aumento, 41% favorevoli ad un taglio) e il finanziamento delle politiche di controllo alle frontiere (26% per incrementare la spesa pubblica al riguardo, 33% per diminuirla).   

Un voto urbano 

Sappiamo quindi che l’elettorato insoumis appare chiaramente come portatore di valori e cultura che possiamo ricollocare nella sinistra europea: l’interesse per l’uguaglianza, l’attenzione alle tematiche sociali, la difesa del welfare state, l’ecologismo etc. Passiamo ora a capire quale sia il profilo sociodemografico dell’elettore della sinistra radicale francese.  

Prima caratteristica del risultato di Mélenchon è la sua particolare distribuzione geografica. Il candidato della sinistra radicale francese, infatti, pur terminando terzo a livello nazionale, è risultato essere il più votato in 22 dei 42 comuni con più di 100mila abitanti, terminando lo scrutinio con un dato sopra la media nazionale in tutte tranne quattro (tra cui Tolone, la più grande città conquistata da Marine Le Pen).  

Se guardiamo ai dipartimenti della Francia continentale (simili, come divisione amministrativa, alle nostre province), possiamo notare come il leader degli insoumis sia finito in testa nella grande banlieue parigina. Su 8 dipartimenti che compongono l’Île-de-France, la regione che include Parigi e le città della cosiddetta grande couronne, Mélenchon risulta il più votato in 5 ed è il candidato con più voti a livello regionale, seppure di pochissimo (30,24% a 30,19%). Anche a Parigi città, roccaforte di Emmanuel Macron, gli elettori mélenchoniani superano il 30%, con punte superiori al 45% nei quartieri della periferia nord-orientale: il 19° (46,5%) ed il 20° arrondissements (47,2%) 

Il messaggio de La France Insoumise è quindi riuscito a penetrare soprattutto in contesto urbano, andando poi meglio nelle zone periferiche piuttosto che nei centri città, dove comunque ottiene spesso risultati superiori alla media nazionale.

La Francia rurale è invece più refrattaria. Usando i dati a disposizione sul sito del ministero dell’Interno, risulta infatti un dato chiaramente sotto la media: solo il 16,3% dei voti espressi nei comuni sotto i 2.000 iscritti nelle liste elettorali sarebbero andati a Jean-Luc Mélenchon, quasi sei punti sotto il dato nazionale.

Decifrare il voto rurale francese (un mondo nel mondo: i micro-comuni in Francia sono infatti decine di migliaia) richiederebbe un articolo a parte ed è vero che questo non è esattamente monolitico: esistono non solo singoli micro-comuni, ma intere aree rurali saldamente ancorate a sinistra, come possono essere varie zone dei Pirenei e delle Alpi Marittime. Tuttavia, queste sono eccezioni: la regola vede nella Francia rurale un mondo più conservatore e poco incline sposare il messaggio mélenchoniano. 

Un voto giovane e istruito 

Subito dopo il cleavage urbano/rurale, l’altro elemento che salta maggiormente all’occhio nel risultato del leader della sinistra radicale francese è il successo raccolto presso le generazioni più giovani.

Guardando ai dati del voto per classe di età forniti dall’istituto Elabe, Mélenchon emerge come il candidato più votato dagli under 35 (36% tra i rispondenti tra i 18 ed i 24 anni, 33% nella classe 25-34 anni). Un effetto di età così marcato che ritroviamo solo, invertito, in Emmanuel Macron che passa dal 40% dei consensi raccolti tra i intervistati più di 65 anni, al 21% ottenuto nella classe 25-34.

Questo si riflette ovviamente sulla composizione dell’elettorato mélenchoniano, che è quello più giovane: il 36% di chi ha votato per il candidato insoumis ha meno di 35 anni, contro il 23% dell’elettorato nel suo insieme ed il 18% degli elettori macroniani. 

L’età non è l’unico elemento caratterizzante del voto per il candidato della sinistra francese. Da un punto di vista dell’istruzione, l’elettorato di Jean-Luc Mélenchon alle elezioni presidenziali 2022 appare come il più istruito tra quello dei tre candidati maggiori: il 39% di chi ha votato per Jean-Luc Mélenchon possiede almeno un Bac+3, equivalente alla laurea triennale in Italia.

Presso l’elettorato di Marine Le Pen, questa cifra crolla al 18%, poco meno della metà. Questa forte caratterizzazione in termini di istruzione non deve però trarre in inganno sulla condizione sociale dell’elettorato mélenchoniano, che appare molto lontano dallo stereotipo della cosiddetta “sinistra ZTL”, concentrata nella borghesia intellettuale. 

Un voto déclassé 

Anche in Francia, come ovunque in Europa, il titolo di studio è un buon indicatore di condizione sociale. Tuttavia, la giovane età del voto Mélenchoniano fa sì che l’elettorato del leader degli insoumis occupi una posizione sociale particolare: alto livello di istruzione, ma posizione lavorativa precaria e reddito poco elevato. Sempre i dati dell’inchiesta CEVIPOF/IPSOS mostrano come solo il 19% dei voti proviene da appartenenti alle cosiddette catégories supérieures, mentre il più grosso bacino di voti è nelle catégories populaires con il 44%.  

L’elettorato mélenchoniano è quindi chiaramente più popolare nella sua composizione di quello di Emmanuel Macron, un’indicazione che già abbiamo riscontrato guardando la distribuzione geografica del voto insoumis, e lo è anche, seppur lievemente, rispetto agli altri candidati di sinistra e centrosinistra (Roussel, Jadot, Hidalgo).  

A tal proposito, Luc Rouban, direttore di ricerca al CNRS, parla espressamente di un fenomeno di declassamento sociale.

(trad. Vi paghiamo per proteggerci, non per ucciderci.)

Caratteristica dell’elettore mélenchoniano sarebbe quindi quella di essere in una posizione lavorativa percepita come inferiore rispetto a quanto una persona potrebbe attendersi dato il proprio livello di istruzione. Questa deprivazione relativa potrebbe quindi essere uno dei fattori capaci di mobilitare l’elettorato mélenchoniano.

Sempre Rouban, andando più a fondo nei dati CEVIPOF, scopre infatti che quelli che chiama i déclassés (lavoratori a tempo parziale e disoccupati) costituiscono il 56% degli elettori insoumis al primo turno delle elezioni presidenziali 2022 ed alta è anche la proporzione di elettori che si dichiarano insoddisfatti della propria vita (20%). 

Da Mélenchon alla NUPES.. e ritorno? 

Il risultato di Jean-Luc Mélenchon alle elezioni presidenziali francesi del 2022 è quasi un unicum nel panorama recente delle forze progressiste e radicali in Europa occidentale. Se guardiamo agli ultimi 5 anni, l’unica forza a essere andata vicina a uno score simile è stata Unidos Podemos in Spagna nel 2019, quando ha raccolto il 14,3% dei consensi.  

Una grande prova di forza, quindi, che ha condotto alle successive legislative a unificare il fronte progressista francese creando la NUPES, la Nuova Unione Popolare Ecologista e Solidale.

La sociologia dell’elettorato non cambia particolarmente, se non per una relativa ‘borghesizzazione’ che si spiega sia per l’ingresso di forze meno di rottura (i verdi e i socialisti francesi), sia per un’astensione crescente nei ceti popolari alle elezioni legislative rispetto a quelle presidenziali, vissute come più importanti da parte dell’elettorato.  

La scommessa della NUPES si basava sull’idea del “terzo turno”, riuscire a ottenere in Parlamento un risultato superiore a quello di Renaissance (la nuova incarnazione del partito di Emmanuel Macron) per forzare la mano verso un governo guidato da Jean-Luc Mélenchon. L’obiettivo non è stato raggiunto, nonostante un risultato comunque largo (25,7%).  

Il doppio voto legislative/presidenziali ha quindi il sapore delle occasioni mancate:

nonostante il largo supporto, è sempre venuto meno qualcosa che permettesse di fare il passo in più.

Il cuore del blocco sociale mélenchoniano, simile a quello di molte forze della sinistra radicale europea, pur essendosi mobilitato non è apparso sufficiente in nessuna delle due tornate elettorali. I dubbi per la sinistra francese non sono pochi. Come segnala il professor Marco Damiani, il futuro stesso di una sinistra senza il suo leader, ormai invecchiato, è un interrogativo importante. Ma ce ne è uno che parla a tutta la sinistra europea: a chi allarghiamo?  

Il, per usare un ossimoro, fallimentare successo del leader insoumis riposa proprio in questo: è mancato un pezzo di società. Piccolo, ma rilevante. È venuto a mancare anche quando la sinistra si è unita, perdendo un importante numero voti rispetto alle Presidenziali. E nonostante un risultato largo e storico, il blocco sociale che si è costruito non è abbastanza per arrivare al potere.

La situazione italiana

Questo fallimentare successo, agli occhi della sinistra italiana, risulterebbe già un risultato storico se pensiamo che mai nella storia della Seconda Repubblica, né in quella della mai nata Terza, una forza politica a sinistra del Partito Democratico (o dei suoi predecessori) è riuscita superare il 10% a livello nazionale a una elezione politica.  

Questo, a meno di non considerare il Movimento 5 Stelle, in particolare nella sua ultima incarnazione guidata da Giuseppe Conte, come una forza progressista e di alternativa. Cosa che rimane comunque difficile se pensiamo ad alcuni momenti che hanno caratterizzato il governo Conte I, come l’adozione dei decreti sicurezza.  

Se mettiamo da parte il giudizio politico e ci concentriamo sul profilo dell’elettore, è probabilmente vero che da un punto di vista sociologico vi sono delle sovrapposizioni tra il M5S in Italia e l’elettorato mélenchoniano in Francia.

Se osserviamo i dati dell’Instant Poll Quorum/YouTrend  per SKYTG24, per esempio, vediamo come quello 5 stelle sia un elettorato giovane (addirittura il M5S risulta prima lista presso i votanti tra i 18 e i 24 anni).  

Allo stesso modo, la distribuzione geografica del voto per il Movimento 5 Stelle, con la sua grande forza al Sud, mostra una presa importante tra le classi popolari, o almeno una parte di esse.

L’impasse in cui si trova la sinistra italiana oggi è quindi, almeno in parte, spiegata dalla presenza di una forza populista senza etichette capace di mobilitare sullo stesso blocco sociale giovane e déclassé (sull’istruzione invece sarebbe necessario aprire un altro discorso ancora più ampio) che in Francia si è ritrovato su Mélenchon.  

Limitare le difficoltà della sinistra italiana al fatto che esista un competitor sarebbe riduttivo.

In 4 anni, il M5S ha perso oltre 6 milioni di voti, e un numero rilevante di questi elettori si invece rifugiato nell’astensione e persino nelle schede nulle e bianche, aumentate nonostante il crollo dell’affluenza, quando non è andato verso il centrodestra.  

Le forze politiche della sinistra radicale non sono riuscite a intercettare quasi nulla di questo voto in uscita. Anzi, come voti assoluti, AVS e UP insieme hanno perso voti rispetto al 2018. Esiste quindi una difficoltà più profonda, da investigare, che probabilmente riguarda la credibilità stessa che la parola “sinistra” ha presso le classi popolari.  

Mélenchon prima e la NUPES poi, sono riusciti a risultare credibili e a convincere questo elettorato e nonostante questo hanno fallito la corsa all’Eliseo e a Matignon. L’Italia in questo senso è ferma, da tempo, all’anno zero 

Fotografia: julien Tromeur

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